Adoriamo il Signore nella Settimana Santa, ringraziamo il Signore nella Settimana Santa, abbracciamo il Signore nella Settimana Santa Lode, Onore, Gloria, Adorazione, Venerazione, Riparazione, Benedizione, Ringraziamento, Amore a Te DIO UNO e TRINO


Indice - Settimana Santa
Adoriamo il Signore nella Settimana Santa, ringraziamo il Signore nella Settimana Santa, abbracciamo il Signore nella Settimana Santa

Meditando giorno e notte la passione, i dolori e la morte di Gesù crocifisso.

Questa è la sapienza dei santi, ignorata dagli uomini del mondo;
questo è il pane della vita e dell'intelletto, che sazia i piccoli e dà loro scienza, lasciando vuoti e famelici i superbi amatori del secolo


Si propone la meditazione del documento numero:
  1. Domenica delle Palme. Il pianto su Gerusalemme e l'entrata trionfale nella Città santa. Morte di Annalia
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  2. La sera al Getsemani. Gli apostoli richiamati alla realtà dopo l'ebbrezza del trionfo
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  3. Lunedì Santo. Conforto alla madre di Annalia e incontro con il milite Vitale. Il fico sterile e la parabola dei vignaioli perfidi. Le domande sull'autorità di Gesù e sul battesimo di Giovanni
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  4. Lunedì notte al Getsemani con gli apostoli
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  5. Martedì Santo. Lezioni dal fico seccato. I quesiti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  6. Martedì notte al Getsemani con gli apostoli
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  7. Mercoledì Santo. Il maggiore dei comandamenti, l'obolo della vedova, l'invettiva contro scribi e farisei. Pausa di riposo con la Madre e le discepole. L'edificazione della Chiesa e i tempi ultimi
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  8. Mercoledì notte al Getsemani con gli apostoli
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  9. Giovedì Santo. Preparativi per la Cena pasquale. La voce del Padre. Il segno convenuto con il traditore. L'ossequio di persone ragguardevoli
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  10. L'arrivo al Cenacolo e l'addio di Gesù alla Madre
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  11. L'ultima Cena pasquale
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  12. Ora santa
    [Maria Valtorta: Quaderni del 1944: 14 giugno 1944]


  13. Passione e morte di Gesù: Introduzione
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  14. Verso il Getsemani con undici apostoli. L'agonia spirituale e la cattura
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  15. Riflessioni sull'agonia nel getsemani e premessa agli altri dolori della Passione
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  16. La conoscenza del tormento del Getsemani
    [Maria Valtorta: Quadernetti - 6 luglio 1944]


  17. I processi e il rinnegamento di Pietro. Considerazioni su Pilato
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  18. Disperazione e suicidio di Giuda Iscariota. Avrebbe ancora potuto salvarsi se si fosse pentito
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  19. Gesù e Maria sono l'antitesi di Adamo ed Eva. Giuda Iscariota è il nuovo Caino. La vera evoluzione dell'uomo è quella del suo spirito
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  20. Giovanni va a prendere la Madre
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  21. La via dolorosa dal Pretorio al Calvario
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  22. La crocifissione, la morte e la deposizione dalla croce
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  23. Prima Parola sulla croce: Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  24. Seconda Parola sulla croce: In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  25. Terza Parola sulla croce: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  26. Quarta Parola sulla croce: Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  27. Quinta Parola sulla croce: Ho sete!
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  28. Sesta Parola sulla croce: Tutto è compiuto!
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  29. Settima Parola sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  30. Prima Parola sulla croce: Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!
    [Maria d'Agreda: La Mistica Città di Dio]


  31. Seconda Parola sulla croce: In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso
    [Maria d'Agreda: La Mistica Città di Dio]


  32. Terza Parola sulla croce: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre
    [Maria d'Agreda: La Mistica Città di Dio]


  33. Quarta Parola sulla croce: Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?
    [Maria d'Agreda: La Mistica Città di Dio]


  34. Quinta Parola sulla croce: Ho sete!
    [Maria d'Agreda: La Mistica Città di Dio]


  35. Sesta Parola sulla croce: Tutto è compiuto!
    [Maria d'Agreda: La Mistica Città di Dio]


  36. Settima Parola sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!
    [Maria d'Agreda: La Mistica Città di Dio]


  37. Prima Parola sulla croce: Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!
    [Luisa Piccarreta: Orologio della Passione]


  38. Seconda Parola sulla croce: In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso
    [Luisa Piccarreta: Orologio della Passione]


  39. Terza Parola sulla croce: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre
    [Luisa Piccarreta: Orologio della Passione]


  40. Quarta Parola sulla croce: Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?
    [Luisa Piccarreta: Orologio della Passione]


  41. Quinta Parola sulla croce: Ho sete!
    [Luisa Piccarreta: Orologio della Passione]


  42. Sesta Parola sulla croce: Tutto è compiuto!
    [Luisa Piccarreta: Orologio della Passione]


  43. Settima Parola sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!
    [Luisa Piccarreta: Orologio della Passione]


  44. Angoscia di Maria al Sepolcro e unzione del Corpo di Gesù
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  45. La chiusura del Sepolcro e il ritorno al Cenacolo.pdf
    [Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato]


  46. ------->Stazione I - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  47. ------->Stazione II - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  48. -------> Stazione III - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  49. -------> Stazione IV - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  50. ------->Stazione V - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  51. ------->Stazione VI - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  52. ------->Stazione VII - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  53. ------->Stazione VIII - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  54. ------->Stazione IX - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  55. ------->Stazione X - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  56. ------->Stazione XI - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  57. ------->Stazione XII - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  58. ------->Stazione XIII - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  59. ------->Stazione XIV - Via Crucis - con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  60. ------->Santo Rosario - Misteri del dolore - Pimo Mistero - L’agonia nel Getsemani: con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  61. ------->Santo Rosario - Misteri del dolore - Secondo Mistero - La flagellazione di Gesù: con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  62. ------->Santo Rosario - Misteri del dolore - Terzo Mistero - La coronazione di spine: con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  63. ------->Santo Rosario - Misteri del dolore - Quarto Mistero - La Via Crucis: con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  64. ------->Santo Rosario - Misteri del dolore - Quinto Mistero - Crocifissione e morte di Gesù: con brani di meditazione tratti dai testi di Maria Valtorta

  65. ------->Litanie alla Santa PASSIONE

  66. ------->Prima Ora - Orologio della Passione

  67. ------->Seconda Ora - Orologio della Passione

  68. ------->Terza - Ora Orologio della Passione

  69. ------->Quarta - Ora Orologio della Passione

  70. ------->Quinta Ora - Orologio della Passione

  71. ------->Sesta Ora - Orologio della Passione

  72. ------->Settima Ora - Orologio della Passione

  73. ------->Ottava Ora - Orologio della Passione

  74. ------->Nona Ora - Orologio della Passione

  75. ------->Decima Ora - Orologio della Passione

  76. ------->Undicesima Ora - Orologio della Passione

  77. ------->Dodicesima Ora - Orologio della Passione

  78. ------->Tredicesima Ora - Orologio della Passione

  79. ------->Quattordicesima Ora - Orologio della Passione

  80. ------->Quindicesima Ora - Orologio della Passione

  81. ------->Sedicesima Ora - Orologio della Passione

  82. ------->Diciassettesima Ora - Orologio della Passione

  83. ------->Diciottesima Ora - Orologio della Passione

  84. ------->Diciannovesima Ora - Orologio della Passione

  85. ------->Ventesima Ora - Orologio della Passione

  86. ------->Ventunesima Ora - Orologio della Passione

  87. ------->Ventiduesima Ora - Orologio della Passione

  88. ------->Ventitreesima Ora - Orologio della Passione

  89. ------->Ventiquattresima Ora - Orologio della Passione


  90. ------->Le quindici orazioni di Santa Brigida rivelate da Nostro Signore

  91. ------->Le sette orazioni di Santa Brigida rivelate da Nostro Signore

  92. ------->Preghiera: ispirata dal testo presente nella diciassettesima ora dell'Orologio della Passione

  93. ------->Preghiera: ispirata dal testo presente nella diciottesima ora dell'Orologio della Passione

  94. ------->Preghiera: ispirata dal testo presente nella diciannovesima ora dell'Orologio della Passione - La crocifissione

  95. ------->Preghiera: ispirata dal testo presente nella diciannovesima ora dell'Orologio della Passione - Per disarmare la Divina Giustizia

  96. ------->Preghiera: ispirata dal testo presente nella ventesima ora dell'Orologio della Passione - Prima ora di agonia sulla croce

  97. ------->Preghiera: La croce di Gesù furono le anime

  98. ------->Preghiera: Poema della Croce

  99. ------->Preghiera: dettata da Gesù a Maria Valtorta



Domenica delle Palme. Il pianto su Gerusalemme e l'entrata trionfale nella Città santa. Morte di Annalia

torna all'indice delle preghiere
Gesù passa il suo braccio sulle spalle di sua Madre, che si è alzata quando Giovanni e Giacomo d'Alfeo l'hanno raggiunta per dirle: «Tuo Figlio viene», e poi sono tornati indietro per riunirsi ai compagni che procedono lentamente, parlando, mentre Tommaso e Andrea sono corsi verso Betfage per cercare l'asina e l'asinello e condurli a Gesù.

Gesù intanto parla alle donne.
«Eccoci presso alla città. Io vi consiglio di andare. E andare sicure. Entrate prima di Me in città. Presso En Rogel sono tutti i pastori e i più fidi discepoli. Hanno ordine di farvi scorta e protezione».

«È; che... Abbiamo parlato con Aser di Nazaret e Abele di Betlemme di Galilea e anche con Salomon. Erano venuti fin qui per spiare il tuo arrivo. La folla prepara gran festa. E noi si voleva vedere... Vedi come si scuotono le cime degli ulivi? Non è vento che le agita così. Ma è la gente che coglie rami per spargerne la via e farti velo al sole.
E là?! Guarda là, stanno spogliando le palme dei loro ventagli. Sembrano grappoli e sono uomini saliti sui fusti a cogliere e cogliere... E, sui pendii, vedi curvi i bambini a cogliere fiori. E le donne certo spogliano orti e giardini da corolle e da erbe odorose per giuncarti il cammino di fiori.
Noi si voleva vedere... e imitare il gesto di Maria di Lazzaro, che raccolse tutti i fiori premuti dal tuo piede quando entrasti nel giardino di Lazzaro», prega Maria Cleofe per tutte.

Gesù carezza sulla guancia la sua vecchia parente, che sembra una bambina vogliosa di vedere uno spettacolo, e le dice:
«Nella gran folla non vedresti nulla. Andate avanti. Alla casa di Lazzaro, quella che ha per custode Mattia. Passerò di là e mi vedrete dall'alto».

«Figlio mio... e vai solo? Non posso starti vicino?», dice Maria alzando il volto così triste e fissando i suoi occhi di cielo sul suo dolce Figlio.

«Vorrei pregarti di stare nascosta. Come la colomba nella fessura della rupe.
(Cantico dei cantici 2, 14).
Più della tua presenza mi è necessaria la tua preghiera, Mamma diletta!
».

«Se è così, Figlio mio, noi pregheremo. Tutte. Per Te».

«Sì. Dopo averlo visto passare, verrete con noi nel mio palazzo di Sion. E io manderò dei servi al Tempio e sempre dietro al Maestro, perchè essi ci portino i suoi ordini e le sue notizie», decide Maria di Lazzaro, sempre rapida nell'afferrare ciò che è il migliore da farsi e a farlo senza indugio.

«Hai ragione, sorella. Benchè mi dolga non seguirlo, comprendo la giustizia dell'ordine. E, del resto, Lazzaro ci ha detto di non contraddire il Maestro in cosa alcuna, ma di ubbidirlo anche nelle cose più tenui. E lo faremo».

«E allora andate. Vedete? Le vie si animano. Stanno per raggiungermi gli apostoli. Andate. La pace sia con voi. Vi farò venire nelle ore che giudicherò buone. Mamma, addio. Abbi pace. Dio è con noi».

La bacia e congeda. E le ubbidienti discepole se ne vanno sollecite.
I dieci apostoli raggiungono Gesù.
«Le hai mandate avanti?».

«Sì. Vedranno da una casa la mia entrata».

«Da quale casa?», chiede Giuda di Keriot.

«Eh! sono ormai tante le case amiche! », dice Filippo.

«Non da Annalia?», insiste l'Iscariota.

Gesù risponde negativamente e si incammina verso Betfage, che è poco lontana.
Gli è prossimo quando tornano indietro i due mandati a prendere l'asina e l'asinello. Gridano:
«Abbiamo trovato come Tu hai detto e ti avremmo condotto gli animali. Ma il padrone di essi volle strigliarli e ornarli delle migliori bardature per onorarti. E i discepoli, uniti a quelli che hanno passato la notte nelle vie di Betania per onorarti, vogliono avere l'onore di condurteli, e noi abbiamo annuito. Ci è parso che il loro amore meritasse un premio».

«Avete fatto bene. Andiamo avanti, intanto».

«Sono molti i discepoli?», chiede Bartolomeo.

«Oh! una moltitudine. Non si riesce a penetrare per le vie di Betfage. Per questo ho detto a Isacco di condurre l'asino da Cleante il formaggiaio», risponde Tommaso.

«Hai fatto bene. Andiamo sino a quel balzo del colle. E attendiamo un poco all'ombra di quegli alberi».

Vanno dove Gesù indica.
«Ma ci allontaniamo! Tu superi Betfage girandola alle spalle! », esclama l'Iscariota.

«E se voglio farlo, chi me lo può proibire? Sono forse già prigioniero, che non mi sia lecito di andare dove voglio? E c'è forse fretta che Io lo sia e si teme che Io possa sfuggire alla cattura? E se giudicassi giusto di allontanarmi per luoghi più sicuri, c'è alcuno che lo potrebbe impedire?».

Gesù dardeggia i suoi occhi sul Traditore, che non apre più bocca e si stringe nelle spalle come per dire:
«Fa' ciò che ti pare».

Girano infatti dietro alle spalle del paesello, direi un sobborgo della stessa città, perchè dal lato ovest è proprio poco lontano dalla città, facente già parte delle pendici dell'Uliveto che corona Gerusalemme nel lato orientale. In basso, fra le pendici e la città, il Cedron brilla al sole d'aprile.
Gesù si siede in quel silenzio verde e si concentra nei suoi pensieri. Poi si alza e va proprio sul ciglio del balzo.
Non so come farò a descrivere, perchè mi sento tanto male di cuore che non sto seduta che a fatica. Ma tanto è così. Devo scrivere ciò che vedo.
Mi si illumina il Vangelo di oggi, 9a domenica dopo la Pentecoste.
Da un poggio presso Gerusalemme Gesù guarda la città stesa ai suoi piedi. Non è un poggio molto alto. Al massimo come può esserlo il piazzale di S. Miniato a monte, a Firenze; ma basta perchè l'occhio domini sulla distesa di tutte le case e delle vie, che salgono e scendono su e giù per le piccole elevazioni di terreno che costituiscono Gerusalemme.
Questo colle è certo molto più alto, se si prende il livello più basso della città, di quanto non sia il Calvario, ma è più vicino alla cinta di quello.
Proprio ha inizio appena fuori delle mura e si alza con un balzo ripido dalla parte delle stesse, mentre dall'altra scende mollemente verso una campagna tutta verde che si stende verso est. Almeno mi pare l'oriente, se giudico bene la luce solare.

Gesù e i suoi sono sotto un ciuffo di alberi, all'ombra, seduti. Si riposano del cammino fatto. Poi Gesù si alza, lascia lo spiazzo alberato dove erano seduti e si porta proprio sul ciglio del balzo.
La sua alta persona si staglia netta sul vuoto che lo circonda. Pare ancora più alta, dritta così, e sola. Tiene le mani conserte sul petto, sul mantello azzurro, e guarda serio serio.

Gli apostoli l'osservano. Ma lo lasciano fare senza muoversi nè parlare.
Devono pensare che Egli si sia isolato per pregare.
Ma Gesù non prega.
Dopo aver lungamente guardato la città in ogni suo rione, in ogni suo poggio, in ogni sua particolarità, talora con lunghi sguardi su questo o quel punto, talaltra con minore insistenza, Gesù si mette a piangere.
Senza scosse o rumore. Le lacrime gonfiano l'orbita, poi sgorgano e rotolano sulle guance e cadono...

Lacrimoni silenziosi e tanto tristi. Come di chi sa che deve piangere, solo, senza sperare conforto e comprensione da alcuno. Per un dolore che non può essere annullato e che deve essere sofferto, assolutamente. Il fratello di Giovanni, per la sua posizione, è il primo che vede quel pianto e lo dice agli altri, che si guardano l'un l'altro stupiti.

«Nessuno di noi ha fatto male», dice uno;
e un altro: «Anche la folla non ebbe insulti. Non vi fu fra essa nessuno a Lui nemico».

«Perchè piange, allora?», chiede il più anziano di tutti.

Pietro e Giovanni si alzano insieme e si accostano al Maestro.
Pensano che l'unica cosa da farsi sia fargli sentire che lo amano e chiedere che ha.

«Maestro, Tu piangi?», dice Giovanni posando la sua testa bionda sulla spalla di Gesù, che è più alto di lui di tutto il collo e il capo.

E Pietro, posandogli una mano alla cintura, cingendolo quasi di un abbraccio per attirarlo a sè, gli dice:
«Cosa ti addolora, Gesù? Dillo a noi che ti amiamo».

Gesù appoggia la guancia sulla testa bionda di Giovanni e, disserrando le braccia, passa a sua volta il braccio sulla spalla di Pietro.

Restano così abbracciati tutti e tre, in una posa di tanto amore.

Ma il pianto continua a gocciare.

Giovanni, che lo sente scendere fra i suoi capelli, torna a chiedere:
«Perchè piangi, Maestro mio? Forse da noi ti venne pena?».

Gli altri apostoli si sono riuniti al gruppo amoroso e ansiosamente attendono una risposta.

«No», dice Gesù.
«Non da voi. Voi mi siete amici e l'amicizia, quando è sincera, è balsamo e sorriso, mai pianto. Vorrei che amici mi rimaneste sempre. Anche ora che entreremo nella corruzione, che fermenta e che corrompe chi non ha volontà decisa di rimanere onesto».

«Dove andiamo, Maestro? Non a Gerusalemme? La folla ti ha già salutato con letizia. Vuoi Tu deluderla? Andiamo forse in Samaria per qualche prodigio? Proprio ora che la Pasqua è vicina?».

Le domande sono fatte da diversi contemporaneamente.
Gesù alza le mani imponendo silenzio e poi con la destra accenna la città. Un gesto largo come di uno che semini avanti a sè. E dice:
«Quella è la Corruzione. Noi entriamo in Gerusalemme. Noi vi entriamo. E solo l'Altissimo sa come vorrei santificarla portandovi la Santità che viene dai Cieli.
Risantificarla, questa che dovrebbe essere la Città santa. Ma non potrò farle nulla. Corrotta è e corrotta rimane. E i fiumi di santità che sgorgano dal Tempio vivo, e che ancor più sgorgheranno a giorni sino a lasciarlo vuoto di vita, non saranno sufficienti a redimerla.
Verrà al Santo la Samaria e il mondo pagano. Sui templi bugiardi sorgeranno i templi del Dio vero. I cuori dei gentili adoreranno il Cristo.
Ma questo popolo, questa città gli sarà sempre nemica, e il suo odio la porterà al più grande peccato. Ciò deve avvenire. Ma guai a coloro che saranno strumenti di questo delitto. Guai! ...
».

Gesù guarda fissamente Giuda che gli è quasi di fronte.

«Ciò a noi non avverrà mai. Noi siamo i tuoi apostoli e crediamo in Te, pronti a morire per Te».
Giuda mente spudoratamente e sostiene lo sguardo di Gesù senza impaccio.

Gli altri uniscono le loro proteste.

Gesù risponde a tutti evitando di rispondere a Giuda direttamente.

«Voglia il Cielo che tali voi siate. Ma molta debolezza è ancora in voi, e la tentazione potrebbe rendervi simili a coloro che mi odiano. Pregate molto e molto vegliate su voi. Satana sa che sta per esser vinto e vuole vendicarsi strappandovi a Me.

Satana è intorno a noi tutti.
A Me per impedirmi di fare la volontà del Padre e compiere la mia missione.
A voi per fare di voi dei suoi servi.

Vegliate.

Entro quelle mura Satana prenderà colui che non saprà esser forte. Colui per il quale maledizione sarà stato l'esser eletto, perchè fece della sua elezione uno scopo umano.

Vi ho eletti per il Regno dei Cieli e non per quello del mondo. Ricordatevelo.

E tu, città che vuoi la tua rovina e sulla quale Io piango, sappi che il tuo Cristo prega per la tua redenzione.
Oh! se almeno in quest'ora che ti resta tu sapessi venire a Chi sarebbe la tua pace!
Almeno comprendessi in quest'ora l'Amore che passa fra te e ti spogliassi dell'odio che ti fa cieca e folle, crudele a te stessa e al tuo bene!

Ma verrà il giorno in cui ricorderai quest'ora!

Troppo tardi allora per piangere e pentirti!

L'Amore sarà passato e scomparso dalle tue strade, e resterà l'Odio che tu hai preferito.

E l'Odio sarà verso te, verso i tuoi figli.

Poichè si ha ciò che si è voluto, e l'odio si paga con l'odio.

E non sarà allora odio di forti contro l'inerme. Ma odio contro odio, e perciò guerra e morte.
Stretta da trincee e armati, languirai prima d'esser distrutta e vedrai cadere i tuoi figli per armi e per fame, e i superstiti andare prigionieri e scherniti, e chiederai misericordia, nè più la troverai, poichè non hai voluto conoscere la tua Salute.

Piango, amici, poichè ho cuore d'uomo e le rovine della patria ne traggono lacrime.
Ma ciò è giusto si compia poichè la corruzione supera, fra queste mura, ogni limite e attira il castigo di Dio.

Guai ai cittadini causa del male della patria!

Guai ai rettori che ne sono la principale causa!

Guai a coloro che dovrebbero esser santi per portare gli altri ad essere onesti e invece profanano la Casa del loro ministero e se stessi!
Venite. A nulla gioverà la mia azione.

Ma facciamo che la Luce splenda ancora una volta fra le Tenebre!
».

E Gesù scende seguito dai suoi. Va velocemente per la via con un viso serio e direi quasi accigliato. Nè più parla. Entra in una casetta ai piedi del colle, nè vedo più altro.
Dice Gesù: «La scena narrata da Luca (19, 41-46) pare senza connessione, quasi illogica. Compiango le sventure di una città colpevole e non so compatire le abitudini di detta città?

No. Non le so, non le posso compatire, poichè anzi sono proprio queste abitudini che generano le sventure; e il vederle acutizza il mio dolore.

La mia ira sui profanatori del Tempio è logica conseguenza della mia meditazione sulle prossime sventure di Gerusalemme.

Sono sempre le profanazioni al culto di Dio, alla Legge di Dio, quelle che provocano i castighi del Cielo.

Facendo della Casa di Dio una spelonca di ladri, quei sacerdoti indegni e quegli indegni credenti (di nome soltanto) attiravano su tutto il popolo maledizione e morte.

Inutile dare questo o quel nome al male che fa soffrire un popolo.

Cercate il giusto nome in questo:
"Punizione per un vivere da bruti".

Dio si ritira e il Male si avanza.

Ecco il frutto di una vita nazionale indegna del nome di cristiana.

Come allora, anche ora, in questo scorcio di secolo, non ho mancato con prodigi di scuotere e richiamare.

Ma, come allora, non ho attirato su Me e i miei strumenti che scherno, indifferenza e odio.

Singoli e nazioni però ricordino che inutilmente piangono quando avanti non vollero conoscere la loro salvezza.
Inutilmente mi invocano quando nell'ora in cui ero con loro mi cacciarono con una guerra sacrilega che, partendo dalle singole coscienze, devote al Male, si sparse per tutta la Nazione.

Le Patrie non si salvano tanto con le armi quanto con una forma di vita che attiri le protezioni del Cielo. Riposa, piccolo Giovanni. E fa' di esser sempre fedele alla tua elezione. Va' in pace
».

Che fatica! Non ce la faccio proprio...
Quasi Gesù non fa a tempo ad entrare nella casa benedicendone gli abitanti, quando si sentono un allegro suonar di bubboli e voci a festa. E subito dopo il volto scarno e pallido di Isacco appare nella fessura dell'uscio, e il pastore fedele entra e si prostra davanti al suo Signore Gesù.

Nell'inquadratura della porta spalancata si pigiano volti e volti e, dietro, altri se ne vedono... Un urtarsi, un pigiarsi, un voler farsi largo... Qualche grido di donna, qualche pianto di bambino preso in mezzo alla ressa, e grida di saluto, esclamazioni a festa:
«Felice questo giorno che a noi ti riporta! La pace a Te, Signore! Ben torni, o Maestro, a premiare la nostra fedeltà».

Gesù si alza in piedi e fa gesto di parlare. Tacciono tutti e netta si sente la voce di Gesù.
«Pace a voi! Non vi accalcate. Ora saliremo insieme al Tempio. Sono venuto per stare con voi. Pace! Pace! Non fatevi male. Fate largo, miei diletti! Lasciatemi uscire e seguitemi, chè entreremo insieme nella Città santa».

La gente, bene o male, ubbidisce, e si fa un poco di largo, tanto che Gesù possa uscire e montare sull'asinello.
Perchè Gesù indica il puledro, sino allora mai cavalcato, come sua cavalcatura, e allora dei ricchi pellegrini, che si pigiano fra la folla, stendono sulla groppa di questo i loro sontuosi mantelli, e uno si pone con un ginocchio a terra e l'altro a far da gradino al Signore, che siede sulla groppa del puledro d'asina, e il viaggio si inizia, mentre Pietro cammina a un lato del Maestro e Isacco dall'altro, tenendo le briglie della bestia non doma, che però procede tranquilla come fosse usa a quell'ufficio, senza imbizzarrirsi o spaventarsi dei fiori che, gettati come sono verso Gesù, colpiscono sovente la bestiola negli occhi e sul morbido muso, nè dei rami di ulivo e delle foglie di palma agitate davanti e intorno ad esso, gettate in terra a far tappeto coi fiori, nè dei gridi sempre più forti di: «Osanna, Figlio di Davide!», che salgono al cielo sereno, mentre la folla sempre più infittisce e si accresce per nuovi venuti.

Passare da Betfage, fra le viette strette e contorte, non è facile cosa, e le madri devono prendere in braccio i bambini, e gli uomini proteggere le donne da urti troppo violenti, e qualche padre si pone sulle spalle a cavalluccio il figliolino e lo porta alto sulla folla così, mentre le vocine dei bimbi sembrano belati di agnelli o stridi di rondini e le loro manine gettano fiori e foglie d'ulivo, che le madri porgono, e baci anche, al mite Gesù...

Usciti dalla strettoia della piccola borgata, il corteo si ordina e distende, e molti volonterosi vanno avanti a far da battistrada per preparare sgombra la via, e altri li seguono spargendo di rami il suolo, e uno per primo getta il suo mantello a far da tappeto, e un altro, e quattro, e dieci, e cento, e mille lo imitano.
La via ha al centro una striscia multicolore di vesti stese al suolo e, passato Gesù, le vesti sono raccolte e portate più avanti, con altre, con altre, e sempre fiori, rami, foglie di palma vengono agitati e gettati, e gridi più forti vengono innalzati intorno e in onore del Re d'Israele, al Figlio di Davide, al suo Regno!

I soldati di guardia alla porta escono a vedere che cosa succede. Ma non è sedizione, ed essi, appoggiati alle loro lance, si fanno da lato, osservando stupiti o ironici lo strano corteo di quel Re che cavalca un puledro d'asina, bello come un Dio, umile come il più povero degli uomini, mite, benedicente... circondato da donne e bambini e da uomini disarmati gridanti: «Pace! Pace!», di questo Re che, prima di entrare nella città, sosta un momento all'altezza dei sepolcri dei lebbrosi di Innon e di Siloan (credo di dire bene questi luoghi, dove ho visto miracoli di lebbrosi altre volte) e, puntandosi sull'unica staffa in cui poggia il suo piede, essendo seduto sull'asino, non a cavallo dell'asino, si alza in piedi e apre le braccia gridando in direzione di quelle pendici orrende (dove volti e corpi paurosi si affacciano guardando verso Gesù e alzano il grido lamentoso dei lebbrosi: «Siamo infetti!», a respingere degli imprudenti che, pur di vedere bene Gesù, salirebbero anche sui corrotti e infetti scaglioni):

«Chi ha fede in Me invochi il mio Nome ed abbia salute per quello!», e benedice riprendendo il cammino e ordinando a Giuda di Keriot:
«Comprerai cibi per i lebbrosi e con Simone li porterai ad essi avanti sera».

Quando il corteo entra sotto la volta della porta di Siloan e poi, come un torrente, si riversa entro la città passando per il borgo di Ofel - nel quale ogni terrazza è divenuta una piccola aerea piazza colma di popolo osannante, che getta fiori e rovescia profumi giù, nella via, cercando di gettarli sul Maestro, e l'aria è satura dell'odore dei fiori morenti sotto i passi delle turbe e di essenze che si spargono nell'aria prima di cadere fra la polvere della via - il grido della folla sembra aumentare e farsi forte, come ognuno lo urlasse in una buccina, perchè i numerosi archivolti dei quali è piena Gerusalemme lo amplificano con risonanze continue.

Sento gridare, e credo voglia dire ciò che dicono gli evangelisti:
(Matteo 21, 9; Marco 11, 9-10; Luca 19, 37- 38; Giovanni 12, 12-13)
«Scialem, Scialem melchil! », (o malchit: cerco di rendere il suono delle parole, ma è difficile, perchè hanno aspirazioni che noi non abbiamo).

Un grido continuo, simile all'urlo di un mare in tempesta, nel quale non è ancora caduto il fragor del maroso che schiaffeggia spiagge e scogliere che un altro maroso lo raccoglie e rialza in novello fragore, senza tregua mai.
Ne sono assordita! Profumi, odori, gridi, agitarsi di rami e di vesti, colori, urli... È una visione che sbalordisce.

Vedo rimescolarsi continuamente la folla, apparire e sparire volti conosciuti: tutti i discepoli di tutti i luoghi di Palestina, tutti i seguaci...
Vedo per un attimo Giairo, vedo Jaia il giovinetto di Pella (mi pare) che era cieco come sua madre e che Gesù guarì, vedo Gioacchino di Bozra e quel contadino del piano di Saron coi fratelli, vedo il vecchio e solitario Mattia di quel luogo presso il Giordano (sponda orientale) presso il quale Gesù si rifugiò mentre tutto era inondato, vedo Zaccheo con i suoi amici convertiti, vedo il vecchio Giovanni di Nobe con quasi tutti i cittadini, vedo il marito di Sara di Jutta... Ma chi può tener dietro a volti e nomi, se è un caleidoscopio di visi noti e ignoti, veduti più volte o una sola?... Ecco ora il viso del pastorello preso a Ennon. E, vicino a lui, il discepolo di Corozim che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù; e vicino a lui, per un momento, il padre e la madre di Beniamino di Cafarnao col loro figliolo, che per poco cade sotto le zampe dell'asinello per gettarsi avanti e ricevere una carezza di Gesù.

E - purtroppo! - volti di farisei e di scribi, lividi di ira per questo trionfo, che fendono prepotenti il cerchio di amore che si stringe intorno a Gesù e gli urlano:
«Fa' tacere questi pazzi! Richiamali alla ragione! Solo Dio va osannato. Di' che tacciano!».

Al che Gesù risponde dolcemente:
«Anche se Io lo dicessi di tacere e questi mi ubbidissero, le pietre griderebbero i prodigi del Verbo di Dio».

Perchè infatti la gente - oltre che gridare: «Osanna, osanna al Figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna a Lui e al suo Regno! Dio è con noi! L'Emmanuele è venuto. È; venuto il Regno del Cristo del Signore! Osanna! Osanna dalla Terra sino all'alto dei Cieli! Pace! Pace, mio Re! Pace e benedizione a Te, Re santo! Pace e gloria nei Cieli e in Terra! Gloria a Dio per il suo Cristo! Pace agli uomini che lo sanno accogliere. Pace in Terra agli uomini di buona volontà e gloria nei Cieli altissimi, perchè l'ora del Signore è venuta»
(e chi grida quest'ultimo grido è il gruppo compatto dei pastori che ripetono il grido natalizio) - oltre questi gridi continui, la gente di Palestina narra ai pellegrini della Diaspora i miracoli che hanno visto, e a chi non sa ciò che avviene, perchè straniero di passaggio fortuitamente dalla città e che chiede:
«Ma chi è Costui? Che avviene?»,
spiegano: «È; Gesù! Gesù, il Maestro di Nazaret di Galilea! Il Profeta! Il Messia del Signore! Il Promesso! Il Santo!».

Da una casa, e da poco è sorpassata la porta perchè l'andare è lentissimo in tanta confusione, esce un gruppo di robusti giovani portando alti dei vasi di rame pieni di carboni accesi e di incenso, che arde spargendo nubi di fumo odoroso. E il gesto è raccolto e ripetuto, e molti corrono avanti o tornano indietro, alle case, per farsi dare fuoco e resine odorose da ardere in omaggio del Cristo.

La casa di Annalia appare. La terrazza, inghirlandata di vite dalle foglie novelle tremolanti ad un mite vento di aprile, ha sul lato della via tutta una fila di giovinette biancovestite e biancovelate, al centro delle quali è Annalia, con cesti di petali di rose sfogliate e di mughetti che già volteggiano nell'aria.

«Le vergini di Israele ti salutano, Signore! »,
dice Giovanni, che si è fatto largo ed è ora al fianco di Gesù, attirando la sua attenzione sulla ghirlanda di purezza che si sporge sorridendo dal parapetto a spargere la via di petali rossi come sangue e di mughetti bianchi come perle.

Gesù trattiene per un attimo le redini e arresta il puledro d'asina.
Alza il volto e la mano a benedire quella verginità di Lui innamorata sino a rinunciare ad ogni altro amore terreno.

E Annalia si protende e grida:
«Il tuo trionfo io l'ho visto, o mio Signore! Prendi la mia vita per la tua glorificazione universale!», e con un grido altissimo, mentre Gesùpassa sotto la sua casa e procede, lo saluta: «Gesù!».

E un altro, diverso grido, supera il clamore delle turbe. Ma la gente, pur sentendolo, non si arresta. È; un fiume di entusiasmo, un fiume di popolo in delirio che non può sostare. E mentre le ultime onde di questo fiume sono ancor fuori della porta, le prime onde già assalgono le salite che conducono al Tempio.

«Tua Madre! », grida Pietro accennando ad una casa quasi all'angolo di una via che sale al Moria e per la quale si incanala il corteo.
E Gesùalza il volto a sorridere a sua Madre, che è lassù fra le donne fedeli.

L'intoppo di una numerosa carovana arresta il corteo pochi metri dopo che la casa è superata. E mentre Gesù sosta con gli altri, carezzando i bambini che le madri gli porgono, accorre un uomo e si fa largo urlando:
«Lasciatemi passare! Una donna è morta. Una fanciulla. All'improvviso. La madre invoca il Maestro. Lasciatemi passare! Egli già l'ha salvata una volta!».

La gente fa largo e l'uomo corre presso Gesù:
«Maestro, la figlia di Elisa è morta. Ti ha salutato con quel grido, poi si è piegata indietro dicendo: "Io son felice" ed è spirata. Il suo cuore si è franto nel gran tripudio di vederti trionfante.
Sua madre mi ha visto sulla terrazza accanto alla sua casa e mi ha mandato a chiamarti. Vieni, Maestro!».

«Morta! Morta Annalia! Ma se era sana, florida, felice solo ieri?». Gli apostoli si affollano agitati, i pastori pure. Tutti l'hanno vista ieri in perfetta salute. Poco fa l'hanno vista rosea, ridente... Non si capacitano della sciagura... Chiedono, domandano i particolari...
«Non so. Tutti avete sentito le sue parole. Parlava forte, sicura. Poi la vidi piegarsi indietro più bianca delle sue vesti e udii gridare la madre... Altro non so».

«Non vi agitate. Non è morta. È caduto un fiore e gli angeli di Dio lo hanno raccolto per portarlo in seno ad Abramo. Presto il giglio della Terra si aprirà felice in Paradiso, ignorando per sempre l'orrore del mondo.
Uomo, di' ad Elisa che non pianga la sorte della sua creatura. Dille che essa ebbe una grande grazia da Dio e che fra sei giorni comprenderà qual grazia Dio fece alla figlia sua. Non piangete. Non pianga nessuno.
Il suo trionfo è ancor più grande del mio, perchè alla vergine fanno corteo gli angeli per condurla alla pace dei giusti.
Ed è trionfo eterno che salirà di grado senza mai conoscere discesa.
In verità vi dico che per voi tutti, ma non per Annalia, avete ragione di piangere. Andiamo
».

E ripete agli apostoli e a chi lo circonda:
«È caduto un fiore. Si è adagiato in pace e gli angeli lo hanno raccolto. Beata la pura di carne e cuore perchè presto vedrà IdDio».

«Ma come, di che è morta, Signore?», chiede Pietro che non si capacita.

«D'amore. D'estasi. Di gaudio infinito. Felice morte!».

Chi è molto avanti non sa, chi è molto indietro non sa. E perciò gli osanna continuano anche se qui, presso a Gesù, si è fatto un cerchio di pensoso silenzio. È; Giovanni che lo rompe:
«Oh! vorrei la stessa sorte prima delle ore future!».

«Io pure», dice Isacco. «Vorrei vedere il volto della fanciulla morta d'amore per Te...».

«Vi prego di sacrificarmi il vostro desiderio. Ho bisogno della vostra vicinanza...».

«Non ti lasceremo, Signore.
Ma a quella madre non un conforto?», chiede Natanaele.

«Provvederò ad esso...».

Sono alle porte della cinta del Tempio. Gesùscende dall'asinello, che uno di Betfage prende in custodia.
Occorre tenere presente che Gesùnon si è fermato alla prima porta del Tempio, ma ha costeggiato la cinta, fermandosi soltanto quando è sul lato nord della cinta, vicino all'Antonia.
È; là che scende ed entra nel Tempio, come per far vedere che non si nasconde al potere dominante, sentendosi innocente in ogni sua azione.

Il primo cortile del Tempio mostra la solita gazzarra di cambiavalute e venditori di colombe, passeri e agnelli, soltanto che ora i venditori sono lasciati in asso perchè tutti sono accorsi a vedere Gesù.
E Gesù entra, solenne nella sua veste porpurea, e gira lo sguardo su quel mercato e su un gruppo di farisei e scribi che lo osservano da sotto un portico.
Il suo volto sfolgora di sdegno.
Balza al centro del cortile. Uno scatto improvviso che pare un volo. Il volo di una fiamma, chè di fiamma è la sua veste nel sole che inonda il cortile. E tuona con una voce potente:

«Via dalla casa del Padre mio! Non è questo luogo di usura e di mercato. Sta scritto:
(Isaia 56, 7; Geremia 7, 11)
"La mia casa sarà chiamata casa di orazione".

Perchè dunque l'avete mutata in spelonca di ladroni, questa casa nella quale è invocato il Nome del Signore? Via! Mondate la mia Casa. Che non vi avvenga che, in luogo di usar le funi, Io vi colpisca con i fulmini dell'ira celeste. Via! Fuori di qui i ladri, i barattieri, gli impudichi, gli omicidi, i sacrileghi, gli idolatri della peggiore idolatria, quella del proprio io superbo, i corruttori e i menzogneri. Fuori! Fuori! O che Dio altissimo, Io ve lo dico, spazzerà per sempre questo luogo e farà le sue vendette su tutto un popolo
».

Non ripete la fustigazione dell'altra volta (Vedi Vol 1 Cap 53), ma, visto che mercanti e cambiavalute stentano ad ubbidire, va al banco più vicino e lo ribalta spargendo bilance e monete al suolo.

I venditori e i cambiavalute si affrettano a porre in atto l'ordine di Gesù, dopo che hanno avuto questo primo esempio.

E Gesùgrida dietro a loro:
«E quante volte dovrò dire che questo luogo non deve essere luogo d'immondezza ma di preghiera?».

E guarda quelli del Tempio che, ubbidienti agli ordini ponteficali, non fanno un gesto di rappresaglia.
Mondato il cortile, Gesù va verso i portici dove sono raccolti ciechi, paralitici, muti, storpi e altri malati, che lo invocano a gran voce.

«Che volete voi che Io vi faccia?».

«La vista, Signore! Le membra! Che mio figlio parli! Che mia moglie risani. Noi crediamo in Te, Figlio di Dio!».

«Dio vi ascolti. Sorgete e osannate al Signore!».

Non cura uno per uno i molti malati. Ma fa un gesto largo con la mano, e grazia e salute scende da essa sugli infelici, che sorgono sani con gridi di giubilo che si mescolano a quelli dei molti bambini, che si stringono a Lui ripetendo:
«Gloria, gloria al Figlio di Davide! Osanna a Gesù Nazareno, Re dei re e Signore dei signori!».

Dei farisei, con finta deferenza, gli gridano:
«Maestro, li senti? Questi fanciulli dicono ciò che non va detto. Riprendili! Che tacciano!».

«E perchè? Il re profeta, il re della mia stirpe, non ha forse detto:
(Salmo 8, 3)
"Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai fatto sgorgare la lode perfetta, a confusione dei tuoi nemici"? Non avete letto queste parole del salmista? Lasciate che i pargoli dicano le mie lodi.
Sono loro suggerite dai loro angeli, che vedono costantemente il Padre mio e ne sanno i segreti e li suggeriscono a questi innocenti.
Ora lasciatemi tutti andare ad orare al Signore
», e passando davanti alla gente passa nell'atrio degli Israeliti per pregare...

E poi, uscendo per un'altra porta, rasentando la piscina Probatica, esce dalla città tornando sui colli del monte Uliveto.

Gli apostoli sono entusiasti... Il trionfo li ha fatti sicuri e dimentichi, completamente dimentichi di tutti i terrori che le parole del Maestro avevano suscitato... Parlano di tutto... Ardono di sapere di Annalia. A stento Gesù li trattiene dall'andare, assicurando che provvederà in modo che sa Lui... Sordi, sordi, sordi ad ogni voce d'avviso divino... Uomini, uomini, uomini, che un grido di osanna smemora da ogni cosa...

Gesùparla ai servi di Maria di Magdala, che lo hanno raggiunto al Tempio, e poi li licenzia...

«E ora dove andiamo?», chiede Filippo.

«A casa di Marco di Giona?», dice Giovanni.

«No. Al campo dei Galilei. Forse saranno venuti i miei fratelli e vorrei salutarli», dice Gesù.

«Lo potrai fare domani», gli osserva il Taddeo.

«Buona cosa è fare mentre si può fare. Andiamo dai Galilei. Saranno contenti di vederci. Voi avrete notizie delle famiglie. Io vedrò i bambini...».

«E questa sera? Dove dormiremo? In città? In che luogo? Dove è tua Madre? O da Giovanna?», chiede Giuda Iscariota.

«Non so. Certo non in città. Forse ancora sotto qualche tenda galilea...».

«Ma perchè?».

«Perchè sono il Galileo e amo la patria mia. Andiamo».

Si rimettono in cammino salendo verso il campo dei Galilei, che è sull'Uliveto verso Betania e che è tutto un biancheggiare di tende al lieto sole d'aprile.

La sera al Getsemani. Gli apostoli richiamati alla realtà dopo l'ebbrezza del trionfo

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Gesù è con i suoi nella pace dell'orto degli Ulivi.
È sera. Una tiepida sera di plenilunio. Sono seduti sui naturali sedili che sono i balzi dell'uliveto, proprio i primi, che si affacciano su quella naturale piazzetta che forma la radura posta al principio del Getsemani. Il Cedron fruscia contro i suoi sassi e pare che parlotti fra sè. Qualche canto di usignolo. Qualche sospiro di brezza. E null'altro.
Gesùparla.

«Dopo il trionfo di questa mattina ben diverso è il vostro spirito. Che devo dire? Che è sollevato? Oh! sì! Secondo l'umanità è sollevato. Siete entrati in città tremanti per le mie parole. Pareva che ognuno temesse, per sè, gli sgherri oltre le mura, pronti ad assalirlo e farlo prigioniero.
In ogni uomo vi è un altro uomo che si rivela nelle ore più gravi.
Vi è l'eroe, che nelle ore di maggior pericolo balza fuori dal mite che il mondo sempre vide e giudicò insignificante, l'eroe che dice alla lotta: "Eccomi", che dice al nemico, al prepotente: "Con me misurati".
E vi è il santo che, mentre tutti fuggono terrorizzati davanti ai feroci che vogliono vittime, dice: "Me prendete in ostaggio e in sacrificio. Pago io per tutti".
E vi è il cinico, che sulle sventure generali fa approfitto proprio e ride sui corpi delle vittime.
C'è il traditore che ha un coraggio suo proprio, quello del male.
Il traditore che è l'amalgama del cinico con il vigliacco, che è pure una categoria che si manifesta nelle ore gravi. Perchè cinicamente trae profitto da una sventura e vigliaccamente passa al partito più forte, osando, pur di averne utile, affrontare lo sprezzo dei nemici e le maledizioni degli abbandonati.
C'è infine, ed è il tipo più diffuso, il vigliacco che nell'ora grave non è capace che di rammaricarsi per essersi fatto conoscere di un partito e di un uomo ora colpiti da anatema e di fuggire...
Questo vigliacco non è delinquente quanto il cinico e ributtante come il traditore.
Ma mostra sempre la imperfezione della sua struttura spirituale. Voi... siete tali. Non dite di no. Io leggo nelle coscienze.

Questa mattina fra voi pensavate: "Che ci avverrà? Andremo a morte noi pure?". E la parte più bassa gemeva: "Quanto mai!...".
Sì. Ma vi ho mai ingannati? Dalle prime mie parole vi ho parlato di persecuzione e morte. E quando uno fra voi, per eccesso di ammirazione, volle vedermi e volle presentarmi come un re, uno dei poveri re della Terra, sempre povero anche se re e restauratore del reame di Israele, lo ho subito corretto l'errore e detto:
"Re dello spirito Io sono. Io offro privazioni, sacrificio, dolore. Non ho altro. Qui sulla Terra non ho altro. Ma dopo la mia, e la vostra morte nella mia fede, Io vi darò un Regno eterno, quello dei Cieli".
Vi ho detto forse diverso? No. Voi dite di no.
E voi, allora, dicevate anche: "Questo solo vogliamo. Con Te, come Te, per Te vogliamo essere, ed essere trattati, e patire".
Sì. Dicevate così. Ed eravate anche sinceri. Ma era perchè non ragionavate che da bambini, da svagati bambini. Vi pensavate facile il seguirmi e tanto eravate pregni di sensualità triplice che non potevate ammettere che fosse vero quello che Io vi accennavo.
Pensavate: "Egli è il Figlio di Dio. Lo dice per provare il nostro amore. Ma Egli non potrà essere percosso dall'uomo. Lui che opera miracoli saprà bene fare un grande miracolo in suo favore!".

E ognuno aggiungeva: "Io non posso credere che Egli sia tradito, preso, ucciso". Tanto forte questa vostra umana fede nella mia potenza che giungevate a non avere fede nelle mie parole, la Fede vera, spirituale, santa e santificante.
\ "Lui che fa miracoli ne farà pure uno in suo favore!", dicevate. Non uno, ma molti ancora ne farò.

E due saranno quali nessuna mente d'uomo può pensare. Saranno quali solo i credenti nel Signore potranno ammetterli.

Tutti gli altri, nei secoli dei secoli, diranno: "Impossibile!". E anche oltre la morte Io sarò oggetto di contraddizione per molti.

In un dolce mattino di primavera Io ho annunciato da un monte le diverse beatitudini. Ce ne è ancora una:

"Beati quelli che sanno credere senza vedere". Ho già detto, andando per la Palestina:
"Beati quelli che ascoltano la parola di Dio e l'osservano", e ancora:
"Beati quelli che fanno la volontà di Dio", e altre, altre ne ho dette, perchè nella casa del Padre mio sono numerose le gioie che aspettano i santi.

Ma anche questa c'è.
Oh! beati quelli che crederanno senza avere visto con gli occhi corporali! Tanto santi saranno che, essendo in Terra, vedranno già Dio, il Dio nascosto nel Mistero d'amore. Ma voi, dopo tre anni che siete con Me, a questa fede ancora non siete giunti. E credete solo a ciò che vedete.

Perciò da stamane, dopo il trionfo, dite:
"È; ciò che noi dicevamo. Egli trionfa. E noi con Lui".

E come uccelli che rimettono le penne strappate da un crudele, vi alzate a volo, ebbri di gioia, sicuri, liberi da quella costrizione che le mie parole vi avevano messo sul cuore.

Siete più sollevati allora anche nello spirito?
No.

In questo siete ancora meno sollevati. Perchè siete ancora più impreparati all'ora che incombe. Avete bevuto gli osanna come vino forte e piacente. E ne siete ebbri.

Un ebbro è mai un forte? Basta una manina di bambino a farlo traballare e cadere. Così siete voi. E basterà l'apparizione degli sgherri a farvi fuggire come timide gazzelle che vedono affacciarsi ad una rupe del monte il muso aguzzo dello sciacallo e, ratte come vento, si disperdono per le solitudini del deserto.

Oh! badate di non morire di un'orrida sete in quella arsa arena che è il mondo senza Dio!

Non dite, non dite, o amici cari, ciò che dice Isaia (8, 12-16 anche per le citazioni che seguono) alludendo a questo vostro stato di spirito falso e pericoloso.

Non dite:
"Costui non parla altro che di congiure. Ma non c'è da temere, non c'è da avere spavento. Non dobbiamo temere ciò che Egli ci profetizza. Israele lo ama. E noi l'abbiamo visto".

Quante volte il tenerello piede ignudo di un pargolo calpesta le erbette fiorite del prato, cogliendo corolle per portarle alla mamma, e crede trovare solo steli e fiori, e invece posa il calcagno sulla testa dell'angue, e ne è morso e ne muore!

I fiori celavano il serpente. Anche stamane... anche stamane così!

Io sono il Condannato coronato di rose. Le rose!... Quanto durano le rose? Che resta di esse dopo che la corolla loro si è sfaldata in neve di profumati petali?
Spine.

Io - Isaia l'ha detto - sarò per voi, e con voi dico che sarò per il mondo, santificazione, ma anche pietra d'inciampo, pietra di scandalo e laccio e rovina per Israele e per la Terra. Santificherò coloro che avranno buona volontà e farò cadere e andare in pezzi coloro che avranno mala volontà.

Gli angeli non dicono parole di menzogna e parole di poca durata. Essi vengono da Dio, che è Verità e che è Eterno, e ciò che dicono è verità e parola immutabile.

Essi hanno detto:
"Pace agli uomini di buona volontà".

Allora nasceva, o Terra, il tuo Salvatore. Ora va a morte il tuo Redentore. Ma per avere pace da Dio, ossia santificazione e gloria, occorre avere "buona volontà". Inutile il mio nascere, inutile il mio morire per coloro che non hanno questa volontà buona. Il mio vagito e il mio rantolo, il primo passo e l'ultimo, la ferita della circoncisione e quella della consumazione, saranno stati invano se in voi, se negli uomini, non ci sarà la buona volontà di redimersi e santificarsi.

Ed Io ve lo dico:
"Moltissimi inciamperanno in Me, che sono posto come colonna di sostegno e non come tranello per l'uomo, e cadranno perchè ebbri di superbia, di lussuria, di avarizia, e saranno chiusi nella rete dei loro peccati, e presi e dati a Satana".

Mettete queste parole nei vostri cuori, sigillatele per i futuri discepoli.

Andiamo.
La Pietra sorge. (È; una parafrasi di: Zaccaria 3, 9). Un altro passo in avanti. Sul monte. Deve splendere sulla vetta perchè Egli è Sole, Luce è, è Oriente. E il Sole splende sulle cime. Deve essere sul monte, perchè il Tempio vero deve essere visto da tutto il mondo. E da Me stesso lo edifico con la Pietra viva della mia Carne immolata. Ne collego le parti colla calcina fatta di sudore e di sangue.

E sarò sul mio trono ammantato di una porpora viva, coronato di una corona nuova, e quelli che sono lontani verranno a Me, lavoreranno nel mio Tempio, intorno ad esso. Io sono la base e la vetta. Ma tutto intorno, sempre più grande, si estenderà la dimora.

Ed Io stesso lavorerò le mie pietre e i miei artieri. Come Io sono stato dal Padre, dall'Amore e dall'uomo e dall'Odio lavorato a scalpello, così Io li lavorerò.

E dopo che in un sol giorno sarà stata levata l'iniquità dalla Terra, sulla pietra del Sacerdote in eterno verranno i sette occhi per vedere Iddio e sboccheranno le sette fonti per vincere il fuoco di Satana.

Satana... Giuda, andiamo.

E ricordati che il tempo stringe e che per la sera del Giovedì deve essere consegnato l'Agnello
».

(Giovedì è di immediata comprensione per il lettore di oggi, cui si adatta il linguaggio dell'opera valtortiana. Nei titoli dei capitoli che seguono, come molte volte nel testo dell'opera, si nominano i giorni della settimana [altro esempio: venerdì al Vol 3 Cap 174] che invece non avevano un nome - tranne sabato, vedi nota al Vol 6 Cap 407, e parasceve, vedi nota al Vol 6 Cap 372, - per gli ebrei di quel tempo.



Lunedì Santo. Conforto alla madre di Annalia e incontro con il milite Vitale. Il fico sterile e la parabola dei vignaioli perfidi. Le domande sull'autorità di Gesù e sul battesimo di Giovanni

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Gesù esce presto dalla tenda di un galileo, là sul pianoro dell'Uliveto, dove molti galilei si radunano in occasione delle solennità.
Il campo dorme tutto, sotto il chiarore di una luna che tramonta lentamente fasciando di candore argenteo tende, alberi e pendici, e la città dormente là in basso...

Gesù passa sicuro e senza rumore fra tenda e tenda e, uscito dal campo, scende velocemente per ripidi sentieri verso il Getsemani, lo traversa, ne esce, supera il ponticello sul Cedron, nastro d'argento arpeggiante alla luna, giunge alla porta sorvegliata dai legionari.
Forse una misura precauzionale del Proconsole è questa scolta notturna alle porte chiuse. I militi, quattro, parlano seduti su delle grosse pietre, messe a far da sedili contro il muro potente, e si scaldano ad un fuocherello di sterpi che getta una luce rossastra sulle loriche lucenti e sugli elmi severi, da sotto i quali emergono i visi così diversi, nella loro fisionomia italica, da quelli degli ebrei.

«Chi va là!», dice il primo, che vede apparire l'alta figura di Gesù da dietro l'angolo di una casupola vicina alla porta, e imbraccia l'asta, terminante in lancia puntuta, che teneva appoggiata al muro lì presso, mettendosi in posizione regolamentare, imitato dagli altri.
E senza dar tempo a Gesù di rispondere, dice:
«Non si entra. Non sai che la seconda vigilia è già al termine?».

«Sono Gesù di Nazaret. Ho la Madre in città. Vado a Lei».

«Oh! l'uomo che ha risuscitato il morto di Betania! Per Giove! Lo vedrò finalmente!». E gli va vicino guardandolo curioso, girandogli intorno come per sincerarsi che non è qualcosa di irreale, di strano, ma proprio un uomo come tutti.

E lo dice:
«Oh! Numi! È; bello come Apollo, ma fatto in tutto come noi! E non ha nè bastone, nè berretta, nè alcun segno del suo potere!».

È; perplesso.
Gesù lo guarda pazientemente, sorridendogli con dolcezza.

Gli altri, che sono meno curiosi - forse hanno visto già Gesùaltre volte - dicono:
«Sarebbe stata buona cosa che fosse stato qui a metà della prima vigilia, quando fu portata al sepolcro la bella fanciulla morta al mattino. Avremmo visto risorgere. ..».

Gesù dolcemente ripete:
«Posso andar da mia Madre?».

I quattro militi si riscuotono. Il più anziano parla:
«Veramente l'ordine sarebbe di non lasciar passare. Ma Tu passeresti ugualmente. Colui che forza le porte dell'Ade può ben forzare le porte di una città chiusa. Nè Tu sei uomo da suscitare sommosse. Cade dunque il divieto per Te. Fa' di non essere scorto dalle ronde interne. Apri, Marco Grato. E Tu passa senza rumore. Siamo soldati e dobbiamo ubbidire...».

«Non temere. La vostra bontà non vi si muterà in castigo».

Un legionario apre cautamente lo sportello aperto nel portone colossale e dice:
«Passa presto. Fra poco scade la vigilia e noi siamo cambiati dai sopravvenienti».

«La pace a voi».

«Siamo uomini di guerra...».

«Anche nella guerra la pace che Io do permane, perchè è pace dell'anima».

E Gesù si ingolfa nel buio dell'arco aperto nello spessore delle mura. Passa silenzioso davanti al corpo di guardia che dall'uscio aperto lascia uscire la luce tremolante di un lume ad olio, una comune lucerna, sospeso ad un gancio del basso soffitto, che permette di vedere dei corpi di militi dormenti su stuoie gettate al suolo, tutti avvolti nei loro mantelli, le armi al fianco.

Gesùè in città ormai... e lo perdo di vista, mentre osservo rientrare due dei soldati di prima, che osservano se Egli si è allontanato, prima di entrare a svegliare i dormenti per avere il cambio.
«Non lo si vede già più... Che avrà voluto dire con quelle parole? Avrei voluto saperlo», dice il più giovane.

«Dovevi chiederglielo. Non ci disprezza. L'unico ebreo che non ci disprezzi e che non ci strozzi in alcun modo», gli risponde l'altro, già nel pieno della virilità.

«Non ho osato. Io, contadino beneventano, parlare a uno che dicono Dio?».

«Un Dio su un asino? Ah! Ah! Fosse ebbro come Bacco, potrebbe. Ma ebbro non è. Credo non beva neppure il mulsium. Non vedi come è pallido e magro?».

«Eppure gli ebrei...».

«Loro sì che bevono, benchè mostrino di non farlo! Ed ebbri dei forti vini di queste terre e della loro sicera, hanno visto il Dio in un uomo. Credi a me. Gli dèi sono fole. L'Olimpo è vuoto e la Terra ne è priva».

«Se ti sentissero!...». «Sei ancora tanto fanciullo da non esser candidato e non sapere che lo stesso Cesare non crede agli dèi, nè vi credono i pontefici, gli àuguri, gli arùspici, gli arvali, le vestali nè alcuno?».

«E allora perchè...».

«Perchè i riti? Perchè piacciono al popolo e sono utili ai sacerdoti e servono a Cesare per farsi ubbidire come fosse un Dio terreno tenuto per mano dagli dèi olimpici. Ma i primi a non credere sono quelli che noi veneriamo come ministri degli dèi. Io sono pirroniano. Ho girato l'Orbe. Ho fatto molte esperienze. I miei capelli biancheggiano alle tempie e si è maturato il mio pensiero. Ho per codice personale tre sentenze.
Amare Roma, unica dèa e unica certezza, sino al sacrificio della vita. Nulla credere, poichè tutto è illusione di ciò che ci circonda, eccettuata la Patria sacra e immortale. Anche di noi stessi dobbiamo dubitare, perchè incerto è anche se noi viviamo. Il senso e la ragione non bastano a dare certezza di giungere a conoscere il Vero, e il vivere e il morire hanno lo stesso valore, perchè non sappiamo cosa è vivere e non sappiamo cosa è morire», dice affettando uno scetticismo filosofico di creatura superiore...

L'altro lo guarda incerto. Poi dice: «Io invece credo. E mi piacerebbe sapere... Sapere da quell'uomo che è passato poco fa. Egli certo sa il Vero. Una cosa strana esce da Lui. È; come una luce che entra dentro!».

«Esculapio ti salvi! Tu sei malato! Da poco sei salito alla città dalla valle, e le febbri sorgono facilmente in chi compie questo viaggio nè ancor è acclimatato a questa regione. Tu deliri. Vieni. Non c'è che vin caldo ed aromi per fare uscire in sudore il veleno della febbre giordanica...», e lo spinge verso il corpo di guardia.

Ma l'altro si libera dicendo: «Non sono malato. Non voglio vin caldo drogato. Voglio vegliare là, fuori le mura (accenna il lato interno del bastione) e attendere l'uomo che si è detto Gesù».

«Se l'attendere non ti rincresce... Io vado a svegliare questi per il cambio. Addio...».

Ed entra rumorosamente nel corpo di guardia, svegliando i compagni e gridando: «Già è scoccata l'ora. Su, fannulloni svogliati! Stanco sono!...».
Sbadiglia rumorosamente e impreca perchè hanno lasciato spegnere il fuoco e hanno bevuto tutto il vin caldo, «così necessario ad asciugare la guazza palestinese...».

L'altro, il giovane legionario, addossato alla muraglia che la luna sfiora da ponente, attende che Gesùtorni sui suoi passi. Le stelle vegliano la sua speranza...
Gesùintanto è arrivato alla casa di Lazzaro, sul colle di Sion, e bussa.

Levi gli apre.
«Tu, Maestro?! Le padrone dormono. Perchè non hai mandato un servo, se ti occorreva qualche cosa?».
«Non lo avrebbero lasciato passare».

«Ah! è vero! Ma Tu come sei passato?».

«Sono Gesùdi Nazaret. E i legionari mi hanno lasciato passare. Ma non va detto, Levi».

«Non lo dirò... Meglio loro di molti di noi!».

«Conducimi dove dorme mia Madre e non destare nessun altro della casa».

«Come vuoi, Signore. L'ordine di Lazzaro a tutti i suoi ministri di casa è di ubbidirti in tutto senza discussione e indugio. Era da poco l'aurora quando lo portò un servo, molti servi, a tutte le case. Ubbidire e tacere. Lo faremo. Ci hai reso il padrone...».

L'uomo trotterella avanti per i corridoi, vasti come gallerie, dello splendido palazzo di Lazzaro sul colle di Sion, e il lume che porta fra le mani illumina fantasticamente le suppellettili e le tappezzerie che ornano questi larghi corridoi. L'uomo si ferma davanti ad una porta chiusa:
«Lì è tua Madre».

«Va' pure».

«E il lume? Non lo vuoi? Io posso tornare al buio. Sono pratico della casa. Ci sono nato».

«Lascialo. E non levare la chiave dalla porta. Esco subito».

«Sai dove trovarmi. Chiuderò per precauzione. Ma sarò pronto ad aprirti la porta al tuo venire».

Gesùresta solo.
Bussa leggermente, un tocco così leggero che soltanto uno che è ben sveglio lo può sentire. Un rumore dentro la stanza, come di un sedile che si sposta, e un leggero fruscio di passi, e una voce sommessa:
«Chi bussa?».

«Io, Mamma. Aprimi».

La porta si apre subito. Il lume di luna è il solo lume che illumini la stanza quieta e distende il suo raggio sul letto intatto. Un sedile è presso la finestra spalancata sul mistero della notte.

«Non dormivi ancora? È; tardi!».

«Pregavo... Vieni, Figlio mio. Siedi qui dove io ero», e indica il sedile presso la finestra.

«Non posso fermarmi. Ti sono venuto a prendere per andare da Elisa in Ofel. Annalia è morta. Non lo sapevate ancora?».

«No. Nessuno... Quando, Gesù?».

«Dopo il mio passaggio».

«Dopo il tuo passaggio! (È detto con riferimento a: Esodo 12, 12-13). Fosti dunque per lei l'Angelo liberatore?! Le era così prigione questa Terra! Lei felice! Vorrei essere io al posto suo! Morì... naturalmente? Voglio dire: non per sventura?».

«Morì di gioia d'amore. Lo seppi che ero già sulla salita del Tempio. Vieni con Me, Mamma. Noi non temiamo di profanarci per consolare una madre che ebbe fra le braccia la figlia morta di soprannaturale gioia... La nostra prima vergine!
Quella che venne a Nazaret, a te, per trovare Me e chiedermi questa gioia... Giorni lontani e sereni
».
(Vedi Vol 2 Cap 156, come la stessa Annalia ha rammentato al capitolo 583).

«Ieri l'altro cantava come una capinera innamorata e mi baciava dicendo:
"Io sono felice!", ed era avida di sentire tutto di Te.
Come Dio ti formò.
Come mi elesse.
E i miei primi palpiti di vergine consacrata... Ora comprendo... Sono pronta, Figlio
».

Maria si è, nel parlare, riappuntate le trecce, che aveva giù per le spalle e che la facevano parere così fanciulla, e si è messo il velo e il manto.
Escono facendo il meno rumore che possono.

Levi è già presso il portone. Spiega:
«Ho preferito... Per mia moglie... Le donne sono curiose. Mi avrebbe fatto cento domande. Così non sa...». Apre, fa per chiudere.

Gesùdice:
«Entro questa stessa vigiliaricondurrò mia Madre».
«Veglierò qui presso. Non temere».
«La pace a te».

Vanno per le strade silenziose, vuote, nelle quali la luna si ritira lentamente persistendo sull'alto delle case alte della collina di Sion. Più luminoso è il borgo di Ofel, dalle casette più umili e più basse.
Ecco la casa di Annalia.
Chiusa. Buia. Silenziosa. Dei fiori appassiti sono ancora sui due gradini della casa. Forse quelli gettati dalla vergine prima di morire, o quelli caduti dal suo letto funebre...

Gesùbussa alla porta. Bussa di nuovo... Il rumore di una impannata aperta in alto.

Una voce affranta:
«Chi bussa?».

«Maria e Gesùdi Nazaret», risponde Maria.

«Oh! Vengo! ... ».

Breve attesa e poi il rumore dei paletti rimossi. La porta si apre mostrando il volto disfatto di Elisa, che si regge a fatica allo stipite e, quando Maria entrando le apre le braccia, si abbatte sul suo seno con i singulti fiochi di chi ha già tanto pianto da non aver più voce da dare al suo pianto.

Gesùchiude l'uscio e attende paziente che sua Madre calmi quell'affanno.
Una stanza è vicina alla porta. Entrano in quella, portando Gesùil lume posato da Elisa sul pavimento dell'entrata prima di aprire la porta. Il pianto della madre sembra non possa aver fine. Parla, fra i singhiozzi rochi, a Maria.

Parla la madre alla Madre.

Gesù, in piedi contro una parete, tace...

Elisa non può darsi ragione di quella morte, avvenuta così... E nel suo soffrire fa ricadere la causa di essa a Samuele, il fidanzato spergiuro:
«Le ha spaccato il cuore, quel maledetto! Ella non diceva. Ma certo soffriva da chissà quanto! E nella gioia, nel grido, le si è aperto il cuore. Sia maledetto in eterno».

«No, cara. No. Non maledire. Non è così. Dio l'ha amata tanto da volerla nella pace. Ma anche fosse morta per causa di Samuele - non è, ma supponiamolo per un istante - pensa quale morte di gioia ella ebbe, e di' che l'azione malvagia le procurò morte felice».

«Io non l'ho più! M'è morta! M'è morta! Tu non sai cosa sia perdere una figlia! Io due volte ho gustato questo dolore. Perchè già la piangevo morta quando tuo Figlio la guarì.
Ma ora... Ma ora... Egli non è tornato! Non ha avuto pietà... Io l'ho perduta! Perduta! Già nella tomba è la mia creatura!
Sai tu cosa sia veder agonizzare un Figlio? Sapere che deve morire? Vederlo morto quando lo si credeva risanato e forte? Non sai. Non puoi parlare...
Era bella come una rosa apertasi allora al primo sole mentre si ornava questa mattina. Si era voluta ornare con la veste che le avevo fatta per le nozze. Voleva anche coronarsi come sposa. Poi preferì sfare la ghirlanda già pronta e sfogliare i fiori per gettarli a tuo Figlio, e cantava! Cantava!
La sua voce empiva la casa. Era vaga come la primavera. La gioia le faceva brillanti come stelle gli occhi, e porporine come polpa di melagrana le labbra aperte sul candore dei denti, e le guance le aveva rosee e fresche come rose novelle che la rugiada decora. E divenne bianca come il giglio appena dischiuso.
E mi si piegò sul petto come uno stelo spezzato... Più una parola! Più un sospiro! Più colore. Più sguardo. Placida, bella, come un angelo di Dio, ma senza vita.
"Tu non sai, tu che godi del trionfo di tuo Figlio e lo hai sano e forte, cosa è il mio dolore! Perchè non è tornato indietro? In che lo aveva dispiaciuto, e io con lei, per non aver pietà della mia preghiera?».

«Elisa! Elisa! Non dire... Il dolore ti fa cieca e sorda... Elisa, tu non sai il mio soffrire.
E non sai il mare profondo che diverrà il mio soffrire. Tu l'hai vista placida e bella irrigidirsi in pace. Fra le tue braccia.
Io... Io sono più di sei lustri che contemplo la mia Creatura e, oltre le carni lisce e monde che contemplo e carezzo, io vedo le piaghe dell'Uomo dei dolori che diverrà la mia Creatura.
Sai, tu che dici che io non so cosa è vedere un Figlio andare due volte alla morte, e una entrarvi e rimanervi in pace, sai cosa è vedere per tant'anni questa visione, per una Madre?
Mio Figlio!
Eccolo. È; già vestito di rosso come uscisse da un bagno di sangue.
E presto, fra poco, ancor non sarà fatto oscuro il volto della tua creatura nel sepolcro, che io lo vedrò vestito della porpora del Sangue suo innocente. Di quel Sangue che gli ho dato.
E se tu hai raccolto sul cuore tua figlia, sai quale sarà il mio dolore vedendo morire mio Figlio come un malfattore sul legno?
Guardalo, il Salvatore di tutti!
Nello spirito e nella carne. Perchè la carne dei salvati da Lui sarà incorrotta e beata nel suo Regno. E guardami!
Guarda questa Madre che ora per ora accompagna e conduce - oh! io non lo tratterrei di un passo! - suo Figlio al Sacrificio!
Io ti posso capire, povera mamma.
Ma tu capisci il mio cuore!
Non odiare il Figlio mio. Annalia non avrebbe sopportato l'agonia del suo Signore. E il suo Signore la fece beata in un'ora di tripudio
».

Elisa ha cessato di piangere davanti alla rivelazione. Fissa Maria, dal pallido volto di martire lavato di lacrime silenziose, guarda Gesùche la guarda con pietà... e scivola ai piedi di Cristo gemendo:
«Ma ella mi è morta! Mi è morta, Signore! Come un giglio, un giglio spezzato. Tu sei detto dai poeti che sei colui che si compiace fra i gigli! (Forse alludendo a: Cantico dei cantici 2, 1-2.16; 6, 2-3. Più sotto, Gesùfa un probabile riferimento a: Cantico dei cantici 6, 8-9; 8, 4).
Oh! veramente Tu, nato dal giglio-Maria, scendi sovente fra le aiuole fiorite, e delle rose porpuree ne fai candidi gigli, e li cogli levandoli al mondo. Perchè? Perchè, Signore? Non è giusto che una madre goda della rosa nata da lei?
Perchè spegnerne il porporino nel freddo candore di morte del giglio?».

«I gigli! Saranno il simbolo di quelle che mi ameranno come mia Madre amò Dio. La candida aiuola del Re divino».

«Ma noi madri piangeremo. Noi madri abbiamo diritto alle nostre creature. Perchè levarle alla vita?».

«Non così voglio dire, donna. Resteranno le figlie, ma consacrate al Re come le vergini nei palazzi di Salomone. Ricordati il Cantico... E spose saranno, le beneamate, in Terra e in Cielo».

«Ma la mia creatura è morta! È; morta! ».
Il pianto riprende straziante.

«Io sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in Me, ancorchè venga a morte, vive, e in verità ti dico che non muore in eterno.
Tua figlia vive.
Vive in eterno poichè credette nella Vita. La mia Morte le sarà completa Vita.
Ha conosciuto la gioia del vivere in Me prima di conoscere il dolore di vedere Me strappato alla vita. Il tuo dolore ti fa cieca e sorda. Bene dice mia Madre.

Ma presto dirai ciò che ti ho mandato a dire stamane:
"Veramente la sua morte fu una grazia di Dio". Credilo, donna. L'orrore attende questo luogo. E verrà giorno in cui le madri colpite come te diranno:
"Lode a Dio che risparmiò ai nostri figli questi giorni". E le madri non colpite grideranno al Cielo:
"Perchè, o Dio, non ci hai ucciso i figli prima di quest'ora?".

Credilo, donna.
Credi alle mie parole.
Non alzare fra te e Annalia la vera chiusura che separa, quella della diversità di fede. Vedi? Io potevo non venire. Tu sai quanto sono odiato. Non ti illuda il trionfo di un'ora!... Ogni angolo può celare un'insidia per Me. E sono venuto solo, nella notte, per consolarti e dirti queste parole. Io compatisco il dolore di una madre. Ma per la pace della tua anima ti vengo a dire queste parole.
Abbi pace! Pace!
».

«Dammela Tu, Signore! Io non posso! Non posso nel mio soffrire darmi pace. Ma Tu, che rendi la vita ai morti e la salute ai morenti, dai la pace al cuore di una madre straziata».

«Così sia, donna. A te la pace».

Le impone le mani benedicendola e pregando in silenzio su lei.

Maria si è inginocchiata a sua volta presso Elisa, cingendola con un braccio.

«Addio, Elisa. Io me ne vado...».

«Non ci vedremo più, Signore? Io non uscirò dalla casa per molti giorni e Tu te ne andrai dopo le feste pasquali. Tu... sei ancora un poco parte di mia figlia... perchè Annalia... perchè Annalia viveva in Te e per Te». Piange. Più calma, ma quanto piange!
Gesùla guarda... La carezza sul capo canuto.

Le dice:
«Mi vedrai ancora».

«Quando?».

«Fra otto notti da questa».

«E mi conforterai ancora? Mi benedirai per darmi forza?».

«Il mio cuore ti benedirà con tutta la pienezza del mio amore per quelli che mi amano. Vieni, Madre mia».

«Figlio mio, se lo concedi vorrei rimanere ancora con questa madre. Il dolore è un maroso che torna, dopo che si è allontanato Colui che dà pace... Rientrerò all'ora di prima. Non ho paura ad andare sola. Lo sai. E sai che passerei per tutto un esercito nemico pur di confortare un mio fratello in Dio».

«Sia come tu vuoi. Io vado. Dio sia con voi».

Esce senza far rumore, chiudendosi dietro le spalle la porta della stanza e quella della casa.
Torna verso le mura, alla porta di Efraim o a quella Stercoraria o del Letame, perchè molte volte ho sentito indicare queste due porte vicine con questi tre nomi, forse perchè una si apre sulla via di Gerico che è in fondo, via che conduce a Efraim, e l'altra perchè ha prossima la valle di Innon dove vengono arse le immondizie della città; e sono così uguali che confondo.
Il cielo appena imbianca al confine d'oriente, pur essendo ancor gremito di stelle. Le vie sono avvolte in una penombra più penosa del buio notturno che la luna temperava col suo candore. Ma il milite romano ha buoni occhi e, come vede Gesùavanzarsi verso la porta, gli va incontro.

«Salve. Ti ho atteso...». Si arresta titubante.

«Parla senza paura. Che vuoi da Me?».

«Sapere. Tu hai detto: "La pace che Io do permane anche nella guerra, perchè è pace d'anima". Io vorrei sapere che pace è, e cosa è l'anima. Come può l'uomo che è in guerra essere in pace? Quando si apre il tempio di Giano si chiude quello della Pace. Non possono le due cose essere insieme nel mondo».

Parla addossato al muretto verdastro di un orticello, in una vietta stretta come un sentiero fra i campi, fra povere case, umido, tetro, buio. Tolto un lieve bagliore che indica l'elmo brunito, non si avverte altro dei due che parlano. L'ombra annulla i volti e i corpi in un unico nero.
La voce di Gesùrisuona piana e luminosa nella sua gioia di gettare un seme di luce nel pagano.

«Nel mondo, in verità, non possono essere pace e guerra insieme. Una esclude l'altra. Ma nell'uomo di guerra può esser pace anche se combatte la guerra comandata.
Può essere la mia pace.
Perchè la mia pace viene dal Cielo e non la lede il fragor della guerra e la ferocia delle stragi. Essa, cosa divina, invade la cosa divina che l'uomo ha in sè, e che anima è detta
».

«Divina? In me? Divo è Cesare. Io sono un figlio di contadini. Ora sono un legionario senza alcun grado. Se sarò prode, potrò forse divenire centurione. Ma divo no».

«Vi è una parte divina in te. È; l'anima. Viene da Dio. Dal vero Dio. Perciò è divina, gemma viva nell'uomo, e di divine cose si alimenta e vive: la fede, la pace, la verità. Guerra non la turba. Persecuzione non la lede. Morte non l'uccide.
Solo il male, fare ciò che è brutto, la ferisce o uccide, e anche la priva della pace che Io dono. Perchè il male separa l'uomo da Dio».

«E cosa è il male?».

«Essere nel paganesimo e adorare gli idoli quando la bontà del vero Dio ha messo a conoscenza che c'è il vero Dio.
Non amare il padre, la Madre, i fratelli e il prossimo. Rubare, uccidere, esser ribelli, aver lussurie, essere falsi. Questo è il male
».

«Ah! allora io non posso avere la tua pace! Sono soldato e comandato ad uccidere. Per noi allora non c'è salvezza?! ».

«Sii giusto nella guerra come nella pace. Compi il tuo dovere senza ferocia e senza avidità.
Mentre combatti e conquisti, pensa che il nemico è simile a te e che ogni città ha madri e fanciulle come la tua madre e le tue sorelle, e sii prode senza essere un bruto. Non uscirai dalla giustizia e dalla pace, e la mia pace resterà in te
».

«E poi?».

«E poi? Cosa vuoi dire?».

«Dopo la morte? Che avviene del bene che ho fatto e dell'anima che Tu dici che non muore se non si fa il male?».

«Vive. Vive ornata del bene che ha fatto, in una pace gaudiosa, più grande di quella che si gode in Terra».

«Allora in Palestina uno solo aveva fatto il bene! Ho capito».

«Chi?».

«Lazzaro di Betania. Non è morta la sua anima!».

«In verità egli è un giusto. Però molti sono pari a lui e muoiono senza risuscitare, ma la loro anima vive nel Dio vero. Perchè l'anima ha un'altra dimora, nel Regno di Dio. E chi crede in Me entrerà in quel Regno».

«Anche io, romano?».

«Anche tu, se crederai alla Verità».

«Cosa è la Verità?».

«Io sono la Verità, e la Via per andare alla Verità, e sono la Vita e do la Vita, perchè chi accoglie la Verità accoglie la Vita».

I1 giovane soldato pensa,... tace... Poi alza il volto. Un volto ancor puro di giovane, e ha un sorriso limpido, sereno. Dice:
«Io cercherò di ricordare questo e di sapere più ancora. Mi piace... ».

«Come ti chiami?».

«Vitale. Di Benevento. Delle campagne della città».

«Ricorderò il tuo nome. Fai veramente vitale il tuo spirito nutrendolo di Verità. Addio. Si apre la porta. Esco dalla città».

«Ave! ».

Gesù va lesto alla porta e si affretta per la via che conduce al Cedron e al Getsemani e da lì al campo dei Galilei. Fra gli ulivi del monte raggiunge Giuda di Keriot, che sale anche lui svelto verso il campo che si desta. Giuda ha un atto quasi di spavento trovandosi di fronte Gesù.
Gesù lo guarda fisso, senza parlare.

«Sono stato a portare il cibo ai lebbrosi. Ma... ne ho trovati due a Innon, cinque a Siloan. Gli altri, guariti.
Ancora là, ma guariti, tanto che mi hanno pregato di avvertire il sacerdote. Ero sceso alla prima luce per esser libero poi. Farà rumore la cosa. Un così gran numero di lebbrosi guariti insieme dopo che Tu li hai benedetti al cospetto di tanti!».

Gesùnon parla.
Lo lascia parlare... Non dice nè: «Hai fatto bene», nè altra cosa attinente all'azione di Giuda e al miracolo, ma fermandosi all'improvviso e guardando fissamente l'apostolo gli chiede:

«Ebbene? Che ha mutato l'averti lasciato libertà e denaro?».

«Che vuoi dire?».

«Questo: ti chiedo se ti sei santificato da quando ti ho reso libertà e denaro. E tu mi capisci... Ah! Giuda! Ricordalo! Ricordalo sempre: tu sei stato quello che ho amato più di ogni altro, avendone meno amore di quanto tutti gli altri mi hanno dato. Avendone anzi un odio maggiore, perchè odio di uno che trattai da amico, del più feroce odio del più feroce fariseo.
E ricorda ancor questo: che Io neppure ora ti odio, ma, per quanto sta al Figlio dell'uomo, ti perdono.
Va', ora. Non c'è più nulla da dirsi fra Me e te. Tutto è già fatto
...».

Giuda vorrebbe dire qualcosa, ma Gesùcon un gesto imperioso gli fa cenno di andare avanti... E Giuda, chino il capo come un vinto, va avanti...
A1 limite del campo dei Galilei gli undici apostoli e i due servi di Lazzaro sono già pronti.

«Dove sei stato, Maestro? E tu, Giuda? Eravate insieme?».

Gesùpreviene la risposta di Giuda:
«Io avevo da dire qual cosa a dei cuori. Giuda andò dai lebbrosi... Ma sono guariti tutti meno sette».

«Oh! perchè sei andato? Volevo venire io pure!», dice lo Zelote.

«Per essere libero ora di venire con noi. Andiamo. Entreremo in città dalla porta del Gregge. Facciamo presto», dice ancora Gesù.

Si avvia per il primo, passando per gli uliveti che conducono dal campo, a quasi mezza via fra Betania e Gerusalemme, all'altro ponticello che accavalla il Cedron presso la porta del Gregge.
Delle case di contadini sono sparse per i clivi, e quasi in basso, presso le acque del torrente, una scapigliata pianta di fichi si penzola sul rio.
Gesùsi dirige ad essa e cerca se fra il fogliame largo e grasso sia qualche fior di fico maturo. Ma il fico è tutto foglie, molte, inutili, ma non ha un sol frutto sui rami.

«Sei come molti cuori in Israele. Non hai dolcezze per il Figlio dell'uomo, e non pietà. Possa da te non nascere mai più alcun frutto, e alcuno da te non ne mangi in futuro», dice Gesù.

Gli apostoli si guardano. L'ira di Gesùper la pianta sterile, forse selvatica, li stupisce. Ma non dicono nulla.

Solo più tardi, valicato il Cedron, Pietro gli chiede:
«Dove hai mangiato?».

«In nessun luogo».

«Oh! Allora hai fame! Ecco là un pastore con qualche capra pascolante. Andrò e chiederò latte per Te. Faccio presto», e va a gran passi, tornando cauto con una vecchia scodella colma di latte.

Gesùbeve e rende con una carezza la tazza al pastorello che ha accompagnato Pietro...
Entrano in città e salgono al Tempio e, adorato il Signore, Gesùtorna nel cortile dove i rabbi tengono le loro lezioni.

La gente gli si affolla intorno e una madre, venuta da Cintium, presenta il bambino che un male ha reso cieco, credo. Ha gli occhi bianchi come chi ha una vasta cateratta sulla pupilla o un'albugine.

Gesùlo guarisce sfiorando le orbite con le sue dita. E poi subito inizia a parlare:
«Un uomo comprò un terreno e lo piantò a vigneti, vi edificò la casa per i coloni, una torre per i sorveglianti, cantine e luoghi per torchiare le uve, e lo diede a lavorare a dei coloni nei quali aveva fiducia.
Poi se ne andò lontano. Quando venne il tempo che i vigneti potevano dare del frutto, essendo ormai le viti cresciute sino ad esser fruttifere, il padrone della vigna mandò i suoi servi dai coloni per ritirare gli utili del raccolto fatto.
Ma i coloni circondarono quei servi e parte li presero a bastonate, parte li lapidarono con pietre pesanti ferendoli molto, parte li uccisero del tutto.
Coloro che poterono tornare vivi dal padrone raccontarono ciò che era loro accaduto. Il padrone li curò e consolò e mandò altri servi ancor più numerosi. E i coloni trattarono questi come avevano trattato i primi.

Allora il padrone della vigna disse:
"Manderò loro il mio figliuolo. Certo essi avranno riguardo al mio erede".

Ma i coloni, vistolo venire e saputo che era l'erede, si chiamarono l'un l'altro dicendo:
"Venite. Riuniamoci per essere in molti. Trasciniamolo fuori, in un luogo remoto, e uccidiamolo. La sua eredità resterà a noi".

E, accogliendolo con ipocriti onori, lo circondarono come per fargli festa, poi lo legarono dopo averlo baciato e lo picchiarono forte e lo portarono con mille motteggi al luogo del supplizio e l'uccisero.

Ora ditemi voi. Quel padre e padrone che un giorno si accorgerà che il Figlio ed erede del suo avere non torna, e scopre che i suoi servi-coloni, coloro ai quali aveva dato la terra ferace perchè la coltivassero in suo nome, godendone per quanto era giusto e dandone quanto era giusto al loro Signore, sono stati gli uccisori del Figlio suo, che farà?
».

E Gesùdardeggia le iridi zaffiree, accese come da un sole, sui convenuti e specie sui gruppi dei più influenti giudei, farisei e scribi, sparsi fra la folla. Nessuno parla.

«Dite, dunque? Voi almeno, rabbi di Israele. Dite parola di giustizia che persuada il popolo a giustizia. Io potrei dire parola non buona, secondo il vostro pensiero. Dite dunque voi, acciò il popolo non sia tratto in errore».

Gli scribi rispondono, costretti, così:
«Punirà gli scellerati facendoli perire in modo atroce e darà la vigna ad altri coloni, che onestamente gliela coltivino, dandogli il frutto della terra avuta in consegna».

«Avete detto bene.

Così è scritto nella Scrittura: (Salmo 118, 22-23)
"La pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta pietra angolare. Questa è opera fatta dal Signore ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri".

Poichè dunque così è scritto, e voi lo sapete, e giudicate giusto che siano puniti atrocemente quei coloni uccisori del Figlio erede del padrone della vigna ed essa sia data ad altri coloni che onestamente la coltivino, ecco, per questo vi dico:

"Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a gente che ne produca i frutti. E chi cadrà contro questa pietra si sfracellerà, e colui sopra il quale la pietra cadrà sarà stritolato"
».

(Contro è parola riquadrata, sul manoscritto originale, con forti segni di matita rossa e bleu. Se ne darà la spiegazione al capitolo 594)

I capi dei sacerdoti, i farisei e scribi, con atto veramente... eroico non reagiscono.
Tanto può la volontà di raggiungere uno scopo!
Per molto meno altre volte lo hanno avversato, e oggi che apertamente il Signore Gesù dice loro che verrà tolto ad essi il potere non scattano in improperi, non fanno atti violenti, non minacciano, falsi agnelli pazienti che sotto un'ipocrita veste di mitezza nascondono l'immutabile cuore di lupo.

Si limitano ad accostarsi a Lui, che ha ripreso a camminare avanti e indietro ascoltando questo e quello dei molti pellegrini che sono raccolti nell'ampio cortile, e dei quali molti gli chiedono consiglio per casi d'anima o per circostanze famigliari o sociali, in attesa di potergli dire qualcosa dopo averlo ascoltato dare un giudizio ad un uomo su un'intricata questione di eredità, che ha prodotto divisione e rancore fra i diversi eredi a causa di un figlio del padre, avuto con una serva della casa ma adottato, che i figli legittimi non vogliono con loro nè coerede nella spartizione delle case e dei terreni, volendo non avere più nulla in comune col bastardo, e non sanno come risolvere, perchè il padre ha fatto giurare avanti la sua morte che, come sempre egli aveva fatto spartendo il pane all'illegittimo come ai legittimi in uguale misura, così essi dovevano ugualmente spartire l'eredità con lui in egual misura.

Gesùdice a colui che lo interroga a nome degli altri tre fratelli:
«Sacrificate tutti un pezzo di terra, vendendolo, di modo da radunare il valore di denaro equivalente al quinto della sostanza totale, e datelo all'illegittimo dicendo:
"Ecco la tua parte. Non sei defraudato del tuo, nè si è fatto torto al volere di nostro padre. Va' e Dio sia con te".
E siate abbondanti nel dare, anche più dello stretto valore della sua parte. Fatelo con testimoni che giusti siano, e nessuno potrà in Terra, e oltre la Terra, alzare voci di rimprovero e scandalo.
E avrete pace fra voi e in voi, non avendo il rimorso di aver disubbidito al padre vostro, e non avendo fra voi colui che, veramente innocente, vi è causa di turbamento più che se fosse un ladrone messo fra voi
».

L'uomo dice:
«Il bastardo ha rubato in verità pace alla nostra famiglia, salute alla madre nostra che morì di dolore, e un posto non suo».

«Non è lui il colpevole, uomo. Ma colui che lo ha generato. Egli non chiese di nascere per portare il marchio del bastardo. Fu la brama di vostro padre che lo generò per darlo al dolore e per darvi dolore. Siate dunque giusti verso l'innocente che sconta già duramente la colpa non sua. Nè abbiate anatema per lo spirito del padre vostro. Dio lo ha giudicato. Non occorrono i fulmini delle vostre maledizioni. Onorate il padre, sempre, anche se colpevole, non per se stesso, ma perchè rappresentò in Terra il Dio vostro, avendovi creato per decreto di Dio ed essendo il Signore della vostra casa.
I genitori sono immediatamente dopo Dio.
Ricorda il Decalogo. E non peccare. Va' in pace
».

I sacerdoti e scribi gli si accostano allora per interrogarlo:
«Ti abbiamo sentito. Hai detto giusto. Un consiglio che più saggio non lo poteva dare Salomone. Ma ora di' a noi, Tu che operi prodigi e dai sentenze quali solo il sapiente re poteva dare, con quale autorità fai queste cose? Donde ti viene tale potere?».

Gesùli guarda fisso. Non è nè aggressivo nè sprezzante, ma molto imponente.

Dice:
«Anche Io ho da farvi una domanda, e se mi risponderete Io vi dirò con quale autorità Io, uomo senza autorità di cariche e povero - perchè ciò è questo che volete dire - faccio queste cose.

Dite: il battesimo di Giovanni da dove veniva?
Dal Cielo o dall'uomo che lo impartiva?

Rispondetemi.
Con quale autorità Giovanni lo dava come rito purificatore per prepararvi alla venuta del Messia, se Giovanni era ancor più povero, indotto di Me e senza cariche di sorta, essendo vivente nel deserto dalla sua fanciullezza?
».

Gli scribi e i sacerdoti si consultano fra loro. La gente, con occhi spalancati e orecchie ben aperte, pronta alla protesta e all'acclamazione, se gli scribi squalificano il Battista e offendono il Maestro o se appaiono sconfitti dalla domanda del Rabbi di Nazaret, divinamente sapiente, si stringe intorno.

Colpisce il silenzio assoluto di questa folla in attesa della risposta.
È; così profondo che si sentono le aspirazioni e i bisbigli dei sacerdoti o scribi, che parlano fra loro senza quasi usar la voce e occhieggiano intanto il popolo, del quale intuiscono i sentimenti pronti ad esplodere.

Infine si decidono a rispondere.
Si volgono al Cristo che, appoggiato ad una colonna, le braccia conserte sul petto, li scruta senza mai perderli d'occhio, e dicono:
«Maestro, noi non sappiamo per quale autorità Giovanni faceva questo nè donde veniva il suo battesimo. Nessuno ha pensato a chiederlo al Battista mentre era vivo ed egli, spontaneamente, mai lo ha detto».

«E nemmeno Io vi dirò con quale autorità faccio tali cose».

E volge loro le spalle chiamando a Sè i dodici e, fendendo la folla che acclama, esce dal Tempio.

Quando già sono fuori, oltre la Probatica, essendo usciti da quella parte, Bartolomeo gli dice:
«Sono divenuti molto prudenti i tuoi avversari. Forse stanno convertendosi al Signore che ti ha mandato e a riconoscerti per Messia santo».

«È; vero. Non hanno discusso la tua domanda nè la tua risposta... », dice Matteo.

«Così sia. È; bello che Gerusalemme si converta al Signore Dio suo», dice ancora Bartolomeo.

«Non vi illudete! Quella porzione di Gerusalemme non si convertirà mai. Non hanno risposto in altro modo perchè hanno temuto la folla. Io leggevo i loro pensieri anche se non sentivo le loro parole sommesse».

«E che dicevano?», domanda Pietro.

«Questo dicevano. Ho desiderio che voi lo sappiate per conoscerli a fondo e possiate dare ai futuri un'esatta descrizione dei cuori degli uomini al mio tempo. Essi non mi hanno risposto non per conversione al Signore.

Ma perchè fra loro hanno detto:
"Se noi rispondiamo: ‘Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo’, il Rabbi ci risponderà: ‘E allora perchè non avete creduto a ciò che veniva dal Cielo e indicava preparazione al tempo messianico?’;
e se diremo: ‘Dall'uomo’, allora sarà la folla che si ribellerà dicendo: ‘E allora perchè non credete a ciò che Giovanni, nostro profeta, disse di Gesùdi Nazaret?’.

È dunque meglio dire: ‘Non sappiamo’".

Ecco cosa dicevano.
Non per conversione a Dio, ma per calcolo vile e per non avere a confessare con le loro bocche che Io sono il Cristo e faccio queste cose che faccio perchè sono l'Agnello di Dio del quale parlò il Precursore.

E neppure Io ho voluto dire con quale autorità faccio queste cose che faccio. Già molte volte l'ho detto fra quelle mura e in tutta la Palestina, e i miei prodigi parlano ancor più delle mie parole.

Ora non lo dirò più con le mie parole. Lascerò che parlino i profeti e il Padre mio, e i segni del Cielo.
Perchè il tempo è venuto in cui tutti i segni verranno dati. Quelli detti dai profeti e segnati dai simboli della nostra storia, e quelli che Io ho detto: il segno di Giona; vi ricordate di quel giorno a Cedes?
(Vedi Vol 5 Cap 342)
E il segno che attende Gamaliele.
(Promesso al Vol 1 Cap 41 e qui ricordato oltre che al Vol 2 Capp 85 e 114, al Vol 3 Cap 160, al Vol 5 Cap 354, al Vol 6 Cap 364, al Vol 7 Capp 478 e 487, al Vol 8 Capp 548 e 549 [dove, Gamaliele descrive il proprio stato d'animo], ai capitoli 560 e 570 del presente volume, e al Vol 10 Capp 602 - 604 - 609 [dove dice una bellissima preghiera] - 644 - 645 - 647).

Tu Stefano, tu Erma e tu Barnaba che hai lasciato i compagni, oggi, per seguirmi, certo molte volte avete sentito il rabbi parlare di quel segno.
Ebbene, presto il segno sarà dato
».

Si allontana su per gli uliveti del monte, seguito dai suoi e da molti discepoli (dei settantadue) oltre altri, come Giuseppe Barnaba, che lo segue per sentirlo parlare ancora.

Lunedì notte al Getsemani con gli apostoli

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Gesù è ancora, a sera, nell'uliveto. Ed è coi suoi apostoli. E di nuovo parla.

«E ancora un altro giorno è passato. Ora la notte e poi domani, e poi un altro domani, e poi la cena pasquale».

«Dove la terremo, Signor mio? Quest'anno vi sono anche le donne», chiede Filippo.

«E non abbiamo ancora provveduto a nulla e la città è piena oltre misura. Sembra che quest'anno tutto Israele, fino al più lontano proselite, sia accorso al rito», dice Bartolomeo.
Gesù lo guarda e, come se recitasse un salmo, dice: (prendendo da Ezechiele 39, 17. Più sotto si riferirà a: Ezechiele 14, 12-13; Daniele 7; Osea 6, 1-6; 8, 11-14; Malachia 1, 10-11; 2, 3-6; e preluderà ad Apocalisse 11, 15-17).

«Radunatevi, affrettatevi, accorrete da ogni parte alla mia vittima che immolo per voi, alla grande Vittima immolata sui monti d'Israele, a mangiare la sua Carne, a bere il suo Sangue».

«Ma quale vittima? Quale? Tu sembri uno che sia preso da una follia fissa. Non parli che di morte... e ci addolori», dice veemente Bartolomeo.

Gesù lo guarda ancora, lasciando con lo sguardo Simone che si curva su Giacomo di Alfeo e su Pietro e confabula con loro, e dice:
«Come? Tu me lo chiedi? Tu non sei uno di questi piccoli che per esser dotti devono ricevere il settiforme lume. Tu eri già dotto nella Scrittura prima che Io ti chiamassi, attraverso a Filippo, in quel dolce mattino di primavera. Della mia primavera. E tu mi chiedi ancora quale è la vittima immolata sui monti, quella a cui verranno tutti per pascersi?
E mi dici folle di una fissa follia perchè parlo di morte?
Oh! Bartolmai!
Come il grido delle scolte, Io nella vostra tenebra, che mai si aprì alla luce, ho lanciato una volta, due volte, tre volte il grido annunziatore. Ma voi non l'avete mai voluto capire.
Ne avete sofferto al momento, e poi... Come bambini avete dimenticato presto le parole di morte e siete tornati festosi al vostro lavoro, certi di voi e pieni di speranza che le mie e le vostre parole persuadessero sempre più il mondo a seguire ed amare il suo Redentore.
No.
Solo dopo che questa Terra avrà peccato contro di Me - e ricordate che sono parole del Signore al suo profeta - solo dopo, il popolo, e non solo questo, singolo, ma il grande popolo di Adamo, comincerà a gemere:
"Andiamo al Signore. Lui che ci ha feriti ci guarirà".
E dirà il mondo dei redenti: "Dopo due giorni, ossia due tempi dell'eternità, durante i quali ci avrà lasciati in balìa del Nemico, che con ogni arma ci avrà percossi e uccisi come noi percotemmo il Santo e lo uccidemmo - e lo percotiamo e lo uccidiamo, perchè sempre vi sarà la razza dei Caini che uccideranno con la bestemmia e le male opere il Figlio di Dio, il Redentore, scagliando frecce mortali non sulla sua eterna glorificata Persona, ma sulla loro anima da Lui riscattata, uccidendola, e uccidendo perciò Lui attraverso le loro anime - solo dopo questi due tempi verrà il terzo giorno, e risusciteremo al suo cospetto nel Regno di Cristo sulla Terra e vivremo dinanzi a Lui nel trionfo dello spirito.
Lo conosceremo, impareremo a conoscere il Signore per essere pronti a sostenere, mediante questa conoscenza vera di Dio, l'estrema battaglia che Lucifero darà all'Uomo prima dello squillo dell'angelo dalla settima tromba, che aprirà il coro beato dei santi di Dio, dal numero perfetto in eterno - nè il più piccolo pargolo, nè il più vecchio vegliardo potrà mai più essere aggiunto al numero - il coro che canterà:


‘Finito è il povero regno della Terra. Il mondo è passato con tutti i suoi abitanti davanti alla rassegna del Giudice vittorioso. E gli eletti sono ora nelle mani del Signor nostro e del suo Cristo, ed Egli è il nostro Re in eterno. Lode al Signore IdDio onnipotente che è, che era e che sarà, perchè ha assunto il suo gran potere ed è entrato nel possesso del suo Regno’".


Oh! chi fra voi saprà ricordare le parole di questa profezia, già suonante nelle parole di Daniele, con velato suono, ed ora squillata dalla voce del Sapiente davanti al mondo attonito e a voi, più attoniti del mondo?!

"La venuta del Re - continuerà il mondo, gemente nelle sue ferite e chiuso nel sepolcro, mal vivo e mal morto, chiuso dal suo settemplice vizio e dalle sue infinite eresie, l'agonizzante spirito del mondo chiuso, coi suoi estremi conati, dentro l'organismo, morto lebbroso per tutti i suoi errori - la venuta del Re è preparata come quella dell'aurora e verrà a noi come la pioggia di primavera e di autunno".

L'aurora è preceduta e preparata dalla notte.
Questa è la notte. Questa di ora. E che devo farti, Efraim? Che devo farti, o Giuda?...

Simone, Bartolmai, Giuda, e cugini, voi più dotti nel Libro, riconoscete queste parole? Non da uno spirito folle, ma da uno che possiede la Sapienza e la Scienza esse vengono. Come un re che apra sicuro i suoi forzieri, perchè sa dove è la data gemma che cerca, avendola messa di sua mano là dentro, Io cito i profeti.

Io sono la Parola.

Per secoli ho parlato attraverso labbra umane. E per secoli parlerò attraverso labbra umane.
Ma tutto quanto è detto di soprannaturale è mia parola. Non potrebbe l'uomo, anche il più dotto e santo, salire, aquila d'anima, oltre i limiti del cieco mondo per carpire e dire i misteri eterni.

Il futuro non è "presente" che nella Mente divina. Stoltezza è in coloro che, non sollevati dal nostro Volere, pretendono fare profezie e rivelazioni. E Dio presto li smentisce e colpisce, perchè solo Uno può dire: "Io sono", e dire: "Io vedo", e dire: "Io so".

Ma quando una Volontà che non si misura, che non si giudica, che va accettata a capo chino dicendo: "Eccomi", senza discussione, dice: "Vieni, sali, odi, vedi, ripeti", allora, tuffata nell'eterno presente del suo Dio, l'anima, chiamata dal Signore ad essere "voce", vede e trema, vede e piange, vede e giubila; allora l'anima, chiamata dal Signore ad esser "parola", ode e, giungendo a estasi o ad agonico sudore, dice le tremende parole del Dio eterno.

Perchè ogni parola di Dio è tremenda, essendo veniente da Colui il cui verdetto è immutabile e la Giustizia inesorabile, ed essendo rivolta agli uomini di cui troppo pochi meritano amore e benedizione e non fulmine e condanna.

Ora questa parola, che vien detta e vilipesa, non è causa di tremenda colpa e punizione per coloro che, avendola udita, la respingono? Lo è.

E che ancora dovevo farvi, o Efraim, o Giuda, o mondo, che Io non ti abbia fatto? Sono venuto amandoti, o Terra mia, e la mia parola ti fu spada che ti uccide perchè tu l'hai aborrita.

Oh! Mondo che uccidi il tuo Salvatore credendo di fare cosa giusta, tanto sei insatanassato da non comprendere neppure più quale è il sacrificio che Dio esige, sacrificio del proprio peccato e non di una bestia immolata e consumata con l'anima sozza! Ma che dunque ti ho detto in questi tre anni? Che ho predicato?

Ho detto: "Conoscete Dio nelle sue leggi e nella sua natura".
E mi sono seccato, come vaso d'argilla porosa messo al sole, nello spargervi la conoscenza vitale della Legge e di Dio. E tu hai continuato a compiere olocausti senza mai compiere l'unico necessario:
l'immolazione al Dio vero della tua mala volontà!

Ora Dio eterno ti dice, città di peccato, popolo fedifrago - e nell'ora del Giudizio su te sarà usata la sferza che non sarà usata per Roma ed Atene, che èbeti sono e non conoscono parola e sapere, ma che quando, da eterni infanti mal curati dalla loro nutrice e rimasti bestiali nelle loro capacità, passeranno alle braccia sante della mia Chiesa, la mia unica sublime Sposa da cui mi verranno partoriti innumerevoli figli degni del Cristo, diverranno adulte e capaci, e mi daranno regge e milizie, templi e santi da popolarne il Cielo come di stelle - ora Dio eterno ti dice:
"Non mi piacete più e non accetterò più dono dalla vostra mano. Esso mi è pari a sterco, ed lo ve lo ributto in faccia e vi resterà attaccato. Le vostre solennità, tutte esteriori, schifo mi fanno.

Levo il patto con la stirpe d'Aronne e lo passo ai figli di Levi perchè, ecco, questo è il mio Levi, e con Lui in eterno ho fatto un patto di vita e di pace, ed Egli mi fu fedele nei secoli dei secoli, sino al sacrificio. Ebbe il santo timore del Padre e tremò per il suo corruccio di offeso, al solo suono del mio Nome offeso. La legge della verità fu sulla sua bocca, e sulle sue labbra non fu iniquità, camminò con Me nella pace e nell'equità, e molti ritrasse dal peccato.

Il tempo è venuto in cui in ogni luogo, e non più sull'unico altare di Sionne, immeritevoli essendo voi di offrirlo, sarà sacrificata e offerta al mio Nome l'Ostia pura, immacolata, accettevole al Signore".
Le riconoscete le eterne parole?
».

«Le riconosciamo, o Signor nostro. E, credi, siamo abbattuti come da percossa. Ma non è possibile deviare il destino?».

«Destino lo chiami, Bartolmai?».

«Non saprei quale altro nome...».

«Riparazione. Ecco il nome. Non si offende, senza che l'offesa vada riparata, il Signore. E Dio Creatore fu offeso dal Primo creato. Da allora sempre si è aumentata l'offesa. E non servì la grande acqua del diluvio, nè il fuoco piovuto su Sodoma e Gomorra, a far santo l'uomo. Non l'acqua e non il fuoco. La Terra è una sconfinata Sodoma in cui passeggia libero e re Lucifero.
Allora venga una trinità a lavarla: il fuoco dell'amore, l'acqua del dolore, il sangue della Vittima.

Ecco, o Terra, il mio dono. Sono venuto per dartelo.

Ed ora fuggirei al compimento? È; Pasqua. Non si può fuggire
».

«Perchè non vai da Lazzaro? Non sarebbe fuggire. Ma da lui non saresti toccato».

«Simone dice bene. Te ne supplico, Signore, fallo!», grida Giuda Iscariota gettandosi ai piedi di Gesù.

Al suo atto risponde un grande pianto di Giovanni e, ben chè più composti nel loro dolore, piangono i cugini e Giacomo e Andrea.

«Tu mi credi il "Signore"? Guardami! », eGesùtrivella con i suoi occhi il volto angosciato dell'Iscariota.
Perchè è realmente angosciato, non finge. Forse è l'ultima lotta della sua anima con Satana, e non la sa vincere.
Gesù lo studia e ne segue la lotta come uno scienziato potrebbe studiare una crisi di un malato. Poi si alza di scatto e così veementemente che Giuda, appoggiato alle sue ginocchia, ne viene respinto e ricade seduto per terra.
Gesù arretra persino, col volto sconvolto, e dice:
«Per fare arrestare anche Lazzaro? Doppia preda e doppia gioia, perciò. No. Lazzaro si serba al Cristo futuro, al trionfante Cristo. Solo uno sarà gettato oltre la vita e non tornerà. Io tornerò. Ma egli non tornerà. Ma Lazzaro resta. Tu, tu che sai tante cose, sai anche questa. Ma coloro che sperano di avere doppio guadagno per catturare l'aquila con l'aquilotto, nel nido e senza fatica, possono esser sicuri che l'aquila ha occhio per tutti e che per amore del suo piccolo andrà lungi dal nido, per esser presa lei sola, salvando lui. Vengo ucciso dall'odio e pure continuo ad amare. Andate. Io resto a pregare. Mai, come nell'ora che vivo, ho avuto bisogno di portare l'anima in Cielo». «Lasciami restare con Te, Signore», supplica Giovanni.

«No. Avete tutti bisogno di riposo. Vai».

«Resti solo? E se ti fanno del male? Sembri sofferente anche... io resto», dice Pietro.

«Tu vai con gli altri. Lasciatemi dimenticare per un'ora gli uomini! Lasciatemi in contatto con gli angeli del Padre mio! Mi suppliranno la Madre, che si macera di pianto e preghiera e che Io non posso aggravare del mio desolato dolore. Andate».

«Non ci dài la pace?», chiede il cugino Giuda.

«Hai ragione. La pace del Signore posi su coloro che non sono obbrobrio ai suoi occhi. Addio», e Gesù si interna salendo un balzo nel folto degli ulivi.

«Eppure... quel che dice c'è proprio nella Scrittura! E udito da Lui si capisce perchè e per chi è detto», mormora Bartolomeo.

«Io l'ho detto a Pietro nell'autunno del primo anno...», dice Simone. «È; vero... Ma... No! Io vivo non lo lascerò prendere. Domani...», dice Pietro.

«Che farai domani?», chiede l'Iscariota.

«Che farò? Parlo con me stesso. È; tempo di congiura. Neppure all'aria confiderò il mio pensiero. E tu che sei potente, lo hai detto tante volte, perchè non cerchi protezione per Gesù?».

«Lo farò, Pietro. Lo farò. Non ve ne stupite se sarò assente qualche volta. Lavoro per Lui. Non glielo dite, però».

«Sta' sicuro. E che tu sia benedetto. Qualche volta ho diffidato di te, ma te ne chiedo scusa. Vedo che sei migliore di noi al momento buono. Tu fai... io non so che parlare a vuoto», dice Pietro, umile e sincero. E Giuda ride come lieto della lode. Si avviano fuor del Getsemani, verso la via che va a Gerusalemme.


Martedì Santo. Lezioni dal fico seccato. I quesiti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione

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Stanno per rientrare in città, sempre per la stessa stradicciuola remota presa la mattina avanti, quasi che Gesù non volesse essere circondato dalla gente in attesa prima di essere nel Tempio, al quale presto si accede entrando in città dalla porta del Gregge che è vicina alla Probatica.
Ma oggi molti dei settantadue lo attendono già al di là del Cedron, prima del ponte, e non appena lo vedono apparire fra gli ulivi verde-grigi, nella sua veste porpurea, gli vanno incontro. Si riuniscono e procedono verso la città.

Pietro, che guarda avanti, giù per la china, sempre in sospetto di veder apparire qualche malintenzionato, vede fra il verde fresco delle ultime pendici un ammasso di foglie vizze e pendenti che si spenzola sull'acqua del Cedron. Le foglie accartocciate e morenti, qua e là già macchiate come per ruggine, sono simili a quelle di una pianta che le fiamme hanno essiccata. Ogni tanto la brezza ne stacca una e la seppellisce nelle acque del torrente.

«Ma quello è il fico di ieri! Il fico che Tu hai maledetto!», grida Pietro, una mano puntata ad indicare la pianta seccata, la testa volta indietro a parlare al Maestro.

Accorrono tutti, meno Gesù che viene avanti col suo solito passo. Gli apostoli narrano ai discepoli il precedente del fatto che vedono e tutti insieme commentano guardando strabiliati Gesù. Hanno visto migliaia di miracoli su uomini ed elementi. Ma questo li colpisce come molti altri non lo hanno fatto.

Gesù, che è sopraggiunto, sorride nell'osservare quei visi stupiti e timorosi, e dice:
«E che? Tanto vi fa meraviglia che per la mia parola sia seccato un fico? Non mi avete visto forse risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, dar vista ai ciechi, moltiplicare i pani, calmare le tempeste, spegnere il fuoco? E vi stupisce che un fico dissecchi?».

«Non è per il fico. È; che ieri era vegeto quando l'hai maledetto, e ora è seccato. Guarda! Friabile come argilla disseccata. I suoi rami non hanno più midollo. Guarda. Vanno in polvere», e Bartolomeo sfarina fra le dita dei rami che ha con facilità spezzato.

«Non hanno più midollo. Lo hai detto. Ed è la morte quando non c'è più midollo, sia in una pianta, che in una nazione, che in una religione, ma c'è soltanto dura corteccia e inutile fogliame: ferocia ed ipocrita esteriorità.
Il midollo, bianco, interno, pieno di linfa, corrisponde alla santità, alla spiritualità. La corteccia dura e il fogliame inutile, all'umanità priva di vita spirituale e giusta. Guai a quelle religioni che divengono umane perchè i loro sacerdoti e fedeli non hanno più vitale lo spirito.
Guai a quelle nazioni i cui capi sono solo ferocia e risuonante clamore privo di idee fruttifere! Guai agli uomini in cui manca la vita dello spirito!
».

«Però, se Tu avessi a dire questo ai grandi d'Israele, ancorchè il tuo parlare sia giusto, non saresti sapiente. Non ti lusingare perchè essi ti hanno finora lasciato parlare. Tu stesso lo dici che non è per conversione di cuore, ma per calcolo. Sappi allora Tu pure calcolare il valore e le conseguenze delle tue parole. Perchè c'è anche la sapienza del mondo, oltre che la sapienza dello spirito. E occorre saperla usare a nostro vantaggio. Perchè, infine, per ora si è nel mondo, non già nel Regno di Dio», dice l'Iscariota senza acredine ma in tono dottorale.

«Il vero sapiente è colui che sa vedere le cose senza che le ombre della propria sensualità e le riflessioni del calcolo le alterino. Io dirò sempre la verità di ciò che vedo».

«Ma insomma questo fico è morto perchè sei stato Tu a maledirlo, o è un... caso... un segno... non so?», chiede Filippo.

«È tutto ciò che tu dici. Ma ciò che Io ho fatto voi pure potrete fare, se giungerete ad avere la fede perfetta. Abbiatela nel Signore altissimo. E quando l'avrete, in verità vi dico che potrete questo e ancor più.
In verità vi dico che, se uno giungerà ad avere la fiducia perfetta nella forza della preghiera e nella bontà del Signore, potrà dire a questo monte: "Spostati di qua e gettati in mare", e se dicendolo non esiterà nel suo cuore, ma crederà che quanto egli ordina si possa avverare, quanto ha detto si avvererà
».

«E sembreremo dei maghi e saremo lapidati, come è detto per chi esercita magia. Sarebbe un miracolo ben stolto, e a nostro danno!», dice l'Iscariota crollando il capo.

«Stolto tu sei, che non capisci la parabola! », gli rimbecca l'altro Giuda.

Gesù non parla a Giuda. Parla a tutti:
«Io vi dico, ed è vecchia lezione che ripeto in quest'ora: qualunque cosa chiederete con la preghiera, abbiate fede di ottenerla e l'avrete.
Ma se prima di pregare avete qualcosa contro qualcuno, prima perdonate e fate pace per aver amico il Padre vostro che è nei Cieli, che tanto, tanto vi perdona e benefica, dalla mattina alla sera e dal tramonto all'aurora
».

Entrano nel Tempio. I soldati dell'Antonia li osservano passare. Vanno ad adorare il Signore, poi tornano nel cortile dove i rabbi insegnano.
Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli intorno a Lui, si avvicinano dei saforim, dei dottori d'Israele e degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli dicono:
«Maestro, noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di Dio senza tener conto di cosa o persona alcuna, fuorchè della verità e giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri su Te, ma soltanto di condurre gli uomini al Bene.
Dicci allora: è lecito pagare il tributo a Cesare, oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?».

Gesù li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne perspicacia, e risponde:
«Perchè mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che Io non vengo ingannato con ipocriti onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle usate per il tributo».

Gli mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola appoggiata sul palmo della sinistra, vi batte sopra l'indice della destra dicendo:
«Di chi è quest'immagine e che dice questa scrittura?».

«Di Cesare è l'immagine, e l'iscrizione porta il suo nome. Il nome di Caio Tiberio Cesare, che è ora imperatore di Roma».

«E allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio date quel che è di Dio», e volge loro le spalle dopo aver reso il denaro a chi glielo aveva dato».

Ascolta questo e quello dei molti pellegrini che lo interrogano, conforta, assolve, guarisce. Passano le ore.
Esce dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli portano i servi di Lazzaro incaricati a questo.
Rientra nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile. Grazia e sapienza fluiscono dalle sue mani posate sugli infermi, dalle sue labbra in singoli consigli dati ai molti che lo avvicinano. Sembra che voglia tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare.

È già quasi il tramonto e gli apostoli, stanchi, stanno seduti per terra sotto il portico, sbalorditi da quel continuo rimuoversi di folla che sono i cortili del Tempio nell'imminenza pasquale, quando all'Instancabile si avvicinano dei ricchi, certo ricchi a giudicare dalle vesti pompose.

Matteo, che sonnecchia con un occhio solo, si alza scuotendo gli altri. Dice:
«Vanno dal Maestro dei sadducei. Non lasciamolo solo, che non lo offendano o cerchino di nuocergli e di schernirlo ancora».

Si alzano tutti raggiungendo il Maestro, che circondano subito. Credo intuire che ci sono state rappresaglie nell'andare o tornare al Tempio a sesta.

I sadducei, che ossequiano Gesù con inchini persino esagerati, gli dicono:
«Maestro, hai risposto così sapientemente agli erodiani che ci è venuto desiderio di avere noi pure un raggio della tua luce. Senti. Mosè ha detto: (Deuteronomio 25, 5-6) "Se uno muore senza figli, il suo fratello sposi la vedova, dando discendenza al fratello".
Ora c'erano fra noi sette fratelli. Il primo, presa in moglie una vergine, morì senza lasciar prole e perciò lasciò la moglie al fratello. Anche il secondo morì senza lasciar prole, e così il terzo che sposò la vedova dei due che lo precederono, e così sempre, sino al settimo. In ultimo, dopo aver sposato tutti i sette fratelli, morì la donna.
Di' a noi: alla risurrezione dei corpi, se è pur vero che gli uomini risorgono e che a noi sopravviva l'anima e si ricongiunga al corpo all'ultimo giorno riformando i viventi, quale dei sette fratelli avrà la donna, posto che l'ebbero sulla Terra tutti e sette?».

«Voi sbagliate.
Non sapete comprendere nè le Scritture nè la potenza di Dio.
Molto diversa sarà l'altra vita da questa, e nel Regno eterno non saranno le necessità della carne come in questo. Perchè, in verità, dopo il Giudizio finale la carne risorgerà e si riunirà all'anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora. Nella risurrezione, gli uomini e le donne non si ammoglieranno nè si mariteranno, ma saranno simili agli angeli di Dio in Cielo, i quali non si ammogliano nè si maritano, pur vivendo nell'amore perfetto che è quello divino e spirituale. In quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto come Dio dal roveto parlò a Mosè? (Esodo 3, 1-6) Che disse l'Altissimo allora? "Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Non disse: "Io fui", facendo capire che Abramo, Isacco e Giacobbe erano stati ma non erano più.
Disse: "Io sono".
Perchè Abramo, Isacco e Giacobbe sono.
Immortali.
Come tutti gli uomini nella parte immortale, sino a che i secoli durano, e poi, anche con la carne risorta per l'eternità. Sono, come lo è Mosè, i profeti, i giusti, come sventuratamente è Caino e sono quelli del diluvio, e i sodomiti, e tutti coloro morti in colpa mortale.

Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi
».

«Anche Tu morrai e poi sarai vivente?», lo tentano. Sono già stanchi di essere miti. L'astio è tale che non sanno contenersi.

«Io sono il Vivente e la mia Carne non conoscerà sfacimento. L'arca ci fu levata e l'attuale sarà levata anche come simbolo. Il Tabernacolo ci fu tolto e sarà distrutto. Ma il vero Tempio di Dio non potrà essere levato e distrutto.
Quando i suoi avversari crederanno di averlo fatto, allora sarà l'ora che si stabilirà nella vera Gerusalemme, in tutta la sua gloria. Addio
».

E si affretta verso il cortile degli Israeliti, perchè le tube d'argento chiamano al sacrificio della sera.



Mi dice Gesù:

«Così come ti ho fatto segnare la frase "al mio calice" nella visione della Madre di Giovanni e Giacomo chiedente un posto per i suoi figli (capitolo 577), così ti dico di segnare nella visione di ieri il punto: "chi cadrà contro questa pietra si sfracellerà".
(Capitolo 592) Nelle traduzioni è sempre usato "sopra".
Ho detto contro e non sopra.
Ed è profezia contro i nemici della mia Chiesa. Coloro che l'avversano, avventandosi contro ad Essa, perchè Essa è la Pietra angolare, saranno sfracellati.

La storia della Terra, da venti secoli, conferma il mio detto. I persecutori della Chiesa si sfracellano avventandosi sulla Pietra angolare. Però anche, e lo tengano presente anche quelli che per essere della Chiesa si credono salvi dai castighi divini, colui sul quale cadrà il peso della condanna del Capo e Sposo di questa mia Sposa, di questo mio Corpo mistico, colui sarà stritolato. E prevenendo ad una obiezione dei sempre viventi scribi e sadducei, malevoli ai servi miei, Io dico: se in queste ultime visioni risultano frasi che non sono nei Vangeli, quali queste della fine della visione di oggi e del punto in cui Io parlo sul fico seccato e altri ancora, ricordino costoro che gli evangelisti erano sempre di quel popolo, e vivevano in tempi nei quali ogni urto troppo vivo poteva avere ripercussioni violente e nocive ai neofiti.
Rileggano gli atti apostolici e vedranno che non era placida la fusione di tanti pensieri diversi, e che se a vicenda si ammirarono, riconoscendo gli uni agli altri i meriti, non mancarono fra loro i dissensi, perchè vari sono i pensieri degli uomini e sempre imperfetti.
E ad evitare più profonde fratture fra l'uno e l'altro pensiero, illuminati dallo Spirito Santo, gli evangelisti omisero volutamente dai loro scritti qualche frase che avrebbe scosso le eccessive suscettibilità degli ebrei e scandalizzato i gentili, che avevano bisogno di credere perfetti gli ebrei, nucleo dal quale venne la Chiesa, per non allontanarsene dicendo: "Sono simili a noi".

Conoscere le persecuzioni di Cristo, sì. Ma le malattie spirituali del popolo di Israele ormai corrotto, specie nelle classi più alte, no. Non era bene. E più che poterono velarono.
Osservino come i Vangeli si fanno sempre più espliciti, sino al limpido Vangelo del mio Giovanni, più furono scritti in epoche lontane dalla mia Ascensione al Padre mio.
Solo Giovanni riporta interamente anche le macchie più dolorose dello stesso nucleo apostolico, chiamando apertamente "ladro" Giuda, e riferisce integralmente le bassezze dei giudei (cap. 6° - finta volontà di farmi re, le dispute al Tempio, l'abbandono di molti dopo il discorso sul Pane del Cielo, l'incredulità di Tommaso).

Ultimo sopravvissuto, vissuto sino a vedere già forte la Chiesa, alza i veli che gli altri non avevano osato alzare.

Ma ora lo Spirito di Dio vuole conosciute anche queste parole. E ne benedicano il Signore, perchè sono tante luci e tante guide per i giusti di cuore
».

Martedì notte al Getsemani con gli apostoli

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«Voi oggi avete udito parlare gentili e giudei. E avete visto come i primi a Me si inchinassero ed i secondi per poco non mi percuotessero.
Tu, Pietro, per poco vieni alle mani, vedendo che ad arte mi venivano mandati contro agnelli, arieti e giovenchi per farmi crollare al suolo fra gli escrementi.
Tu, Simone, pur tanto prudente come sei, hai aperto la bocca all'insulto verso i membri più astiosi del Sinedrio, che villanamente mi urtavano dicendomi: "Scansati, demonio, mentre passano i messi di Dio".
Tu, Giuda, cugino, e tu Giovanni, mio prediletto, avete urlato e svelti mi avete sottratto, l'uno dall'essere investito prendendo il cavallo alle briglie, l'altro mettendosi a Me davanti e ricevendo l'urto della stanga a Me diretto quando, con riso di scherno, Sadoch mi è marciato addosso col suo pesante carro, spinto volutamente in corsa veloce su Me.
Io vi ringrazio del vostro amore, che vi fa insorgere contro gli offensori dell'Inerme. Ma vedrete ben altre offese ed atti crudeli. Quando questa luna riderà in cielo per la seconda volta dopo questa sera, le offese, per ora verbali o appena abbozzate se materiali, diverranno concrete, più fitte dei fiori che ora sono sugli alberi da frutto, e sempre più vi si affollano per fretta di fiorire.
Avete visto - e vi siete stupiti - un fico seccato e tutto un pometo senza fiori.

Il fico, come Israele, ha negato ristoro al Figlio dell'uomo ed è morto nel suo peccato.
Il pometo, come i gentili, attende l'ora che oggi ho detto, per fiorire e annullare l'ultimo ricordo della ferocia umana con la dolcezza dei fiori profusi sul capo e sotto i piedi del Vincitore
».

«Quale ora, Maestro?», domanda Matteo. «Hai parlato tanto e di tante cose oggi! Non ricordo bene. E vorrei tutto ricordare. Forse l'ora del ritorno di Cristo? Anche qui hai parlato di rami che si fanno teneri e mettono foglie».

«Ma no! », esclama Tommaso. «Il Maestro parla come se questa congiura che lo attende sia imminente. Come può allora in poco tempo avvenire tutto quello che Egli dice precedere il suo ritorno? (Avendo già accennato, per esempio, al Vol 4 Cap 265, ai temi del discorso escatologico che deve ancora fare). Guerre, distruzioni, schiavitù, persecuzioni, vangelo predicato a tutto il mondo, desolazione di abominazione nella casa di Dio, e poi terremoti, pesti, falsi profeti, segni nel sole e nelle stelle... Eh! ci vogliono secoli a fare tutto questo! Starebbe fresco quel padrone del pometo se il suo orto avesse ad attendere quell'ora per fiorire!».

«Non mangerebbe più i suoi pomi, perchè io dico che sarà la fine del mondo, allora», commenta Bartolomeo.

«Per compiere la fine del mondo non occorrerebbe che un pensiero di Dio e tutto tornerebbe nel nulla. Perciò potrebbe anche quel pometo poco avere da attendere. Ma come ho detto avverrà. E perciò vi saranno secoli da questo a quello. Ossia al definitivo trionfo e ritorno del Cristo», spiega Gesù.

«E allora? Che ora?».

«Oh! io la so l'ora! », piange Giovanni. «Io la so. E sarà dopo la tua morte e la tua risurrezione! ...», e Giovanni lo abbraccia stretto.

«E piangi se risorge?», motteggia Giuda Iscariota.

«Piango perchè prima ha da morire. Non schernirmi, demonio. Io capisco. E non posso pensare a quell'ora».

«Maestro! Mi ha detto demonio. Ha peccato contro il compagno».

«Giuda, sai di non meritarlo? E allora non te la prendere per la sua colpa. Io pure sono stato chiamato "demonio" e lo sarò ancora chiamato così».

«Ma Tu hai detto che chi insulta il fratello è colpev...».

«Silenzio. Davanti alla morte finiscano finalmente queste odiose accuse, dispute e menzogne. Non turbate chi muore».
«Perdonami, Gesù», mormora Giovanni. «Ho sentito rivoltarsi qualcosa in me al suono del suo ridere... e non ho potuto trattenermi».

Giovanni è tutto abbracciato, petto a petto, a Gesùe gli piange sul cuore.

«Non piangere. Ti capisco. Lasciami parlare».

Ma Giovanni non si stacca da Gesùneppure quando Egli si siede su un radicone sporgente. Gli resta con un braccio dietro la schiena e uno intorno al petto e la testa sulla spalla, e piange senza rumore. Solo brillano al raggio della luna le gocce del suo pianto, che cadono sulla veste porpurea di Gesù e sembrano rubini, gocce di pallido sangue colpite da una luce.

«Voi avete udito parlare giudei e gentili, oggi. Non vi deve dunque stupire se Io dico: (inizio di citazioni o allusioni riferite a: Isaia 45, 23-25; 49, 2-6)
"Dalla mia bocca è uscita parola di giustizia, sempre. E non sarà revocata".
Se dirò, sempre con Isaia, parlando dei gentili che a Me verranno dopo che sarò innalzato da terra: "Dinanzi a Me piegherà ogni ginocchio, per Me e in Me giurerà ogni lingua".
E ancora non dubiterete, dopo che avete notato i modi dei giudei, che è facile dire senza tema di errore che a Me saranno condotti svergognati tutti quelli che mi si oppongono.
Il Padre mio non mi ha fatto suo servo solo per fare rivivere le tribù di Giacobbe, per convertire ciò che rimane di Israele: i resti, ma mi ha donato a luce delle Nazioni affinchè Io sia il "Salvatore" per tutta quanta la Terra.

Per questo, in questi trentatrè anni di esilio dal Cielo e dal seno del Padre, Io ho continuato a crescere in Grazia e Sapienza presso Dio e presso gli uomini, raggiungendo l'età perfetta, e in questi ultimi tre anni, dopo avere arroventato l'anima e la mente mia nel fuoco dell'amore e averla temprata col gelo della penitenza, ho fatto "della mia bocca come una spada tagliente".

Il Padre santo, che è mio e vostro, mi ha fin qui custodito sotto l'ombra della sua mano, perchè ancora non era l'ora dell'Espiazione. Ora mi lascia andare. La freccia scelta, la freccia della sua divina faretra, dopo aver ferito per sanare, ferito gli uomini per far breccia nei cuori alla Parola e alla Luce di Dio, ora va rapida e sicura a ferire la Seconda Persona, l'Espiatore, l'Ubbidiente per tutto Adamo disubbidiente...
E come guerriero colpito Io cado, dicendo per troppi: "Invano Io mi sono affaticato senza ragione, senza nulla ottenere. Ho consumato le mie forze per nulla".

Ma no! No, per il Signore eterno che non fa mai nulla senza scopo!

Indietro Satana che mi vuoi piegare allo sconforto e tentare alla disubbidienza!
All'alfa e all'omega del mio ministero tu sei venuto e vieni.

Ebbene, ecco, Io mi levo (e realmente si alza in piedi) a battaglia. Mi misuro con te.

E, lo giuro a Me stesso, ti vincerò.

Non è orgoglio dirlo. È verità.

Il Figlio dell'uomo sarà nella sua carne vinto dall'uomo, il miserabile verme che morde e avvelena dal suo fango putrido.

Ma il Figlio di Dio, la Seconda Persona della inesprimibile Triade, non sarà vinta da Satana.

Tu sei l'Odio. E sei potente nel tuo odiare e nel tuo tentare.

Ma con Me sarà una forza che ti sfugge, perchè tu non la puoi raggiungere e non la puoi fissare.

L'Amore è con Me!

So la sconosciuta tortura che mi attende. Non quella che domani vi dirò, perchè sappiate che nulla di quanto per Me o intorno a Me si faceva e si agitava, che nulla di quanto in cuor vostro si formava, mi era ignoto. Ma l'altra tortura... Quella che non da lance e bastoni, non da scherni e percosse vien data al Figlio dell'uomo, ma da Dio stesso, e che non sarà conosciuta che da pochi per quello che realmente sarà di atroce, e accettata per possibile da ancor meno.

Ma in quella tortura, in cui due saranno i principali torturatori: Dio con la sua assenza e tu, demonio, con la tua presenza, la Vittima avrà seco l'Amore.

L'Amore vivente nella Vittima, forza prima della sua resistenza alla prova, e l'Amore nel confortatore spirituale, che già palpita le sue ali d'oro per ansia di scendere ad asciugare i miei sudori, e raccoglie tutte le lacrime degli angeli nel celeste calice e vi stempera il miele dei nomi dei miei redenti e amanti, per temperare con quella bevanda la grande sete del Torturato e la sua amarezza senza misura.

E tu sarai vinto, demonio.

Un giorno, uscendo da un ossesso, mi hai detto: (Vol 6 Cap 420) "Aspetto a vincerti quando sarai Tu uno sbrendolo di carne sanguinante".

Ma Io ti rispondo:
"Non mi avrai. Io vinco. La mia fatica fu santa, la mia causa è presso il Padre mio. Egli difende l'operato del suo Figlio e non permetterà che defletta lo spirito mio".

Padre, Io ti dico, fin da ora ti dico per quell'ora atroce: "Nelle tue mani abbandono lo spirito mio".

Giovanni, non mi lasciare... Voi andate. La pace del Signore sia dove non è ospite Satana. Addio
».
Tutto ha termine.


Mercoledì Santo. Il maggiore dei comandamenti, l'obolo della vedova, l'invettiva contro scribi e farisei. Pausa di riposo con la Madre e le discepole. L'edificazione della Chiesa e i tempi ultimi

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Gesù entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È; tutto bianco oggi, nella sua veste di lino. È; una giornata afosa.

Va ad adorare nell'atrio degli Israeliti e poi va ai portici, seguito da un codazzo di gente, mentre altra ha già preso le migliori posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono gentili che, non potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani, hanno approfittato del fatto che gli ebrei hanno seguito il Cristo per prendere posizioni di favore.
Ma un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre arroganti ad un modo, e si fanno largo con prepotenza per accostarsi a Gesùcurvo su di un malato.
Attendono che lo abbia guarito, poi gli mandano vicino uno scriba perchè lo interroghi.
Veramente fra loro c'era stata prima una breve disputa, perchè Gioele detto Alamot voleva andare lui ad interrogare il Maestro.
Ma un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono dicendo: «No. Ci è noto che tu parteggi per il Rabbi, benchè tu lo faccia segretamente. Lascia andare Uria...».
«Uria no», dice un altro giovane scriba che non conosco affatto. «Uria è troppo aspro nel suo parlare. Ecciterebbe la folla. Vado io».
E, senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro proprio nel momento che Gesù congeda il malato dicendogli:
«Abbi fede. Sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai più».

«Maestro, quale è il maggiore dei comandamenti della Legge?».

Gesù, che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda. Una luce tenue di sorriso gli illumina il volto, e poi alza il capo, essendo a capo chino perchè lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo in atto di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo appunta sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso pallido di Gioele seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo.
Il suo sorriso si accentua. È come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto.

Poi riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli risponde:
«Il primo di tutti i comandamenti è:
(Deuteronomio 6, 4-5)

"Ascolta, o Israele: il Signore Dio nostro è l'unico Signore.
Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze".

Questo è il primo e supremo comandamento.

Il secondo poi è simile a questo: (Levitico 19, 18)

"Amerai il tuo prossimo come te stesso".

Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta la Legge e i Profeti
».

«Maestro, Tu hai risposto con sapienza e con verità.
Così è.

Dio è Unico e non vi è altro Dio fuori che Lui.
Amarlo con tutto il proprio cuore, con tutta la propria intelligenza, con tutta l'anima e tutte le forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto più di ogni olocausto e sacrificio. Molto lo penso quando medito le parole davidiche: (Salmo 51, 18-19) "A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a Dio è lo spirito compunto"».

«Tu non sei lontano dal Regno di Dio, perchè hai compreso quale sia l'olocausto che è gradito a Dio».

«Ma quale è l'olocausto maggiormente perfetto?», chiede svelto, a bassa voce, lo scriba, come se dicesse un segreto.

Gesùraggia d'amore lasciando cadere questa perla nel cuore di costui che si apre alla sua dottrina, alla dottrina del Regno di Dio, e dice, curvo su lui:
«L'olocausto perfetto è amare come noi stessi coloro che ci perseguitano e non avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È; detto: (Salmo 37, 11) i mansueti possederanno la terra e godranno dell'abbondanza della pace.
In verità ti dico che colui che sa amare i suoi nemici raggiunge la perfezione e possiede Dio
».

Lo scriba lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo rimprovera sottovoce di aver lodato il Maestro, e con ira gli dicono: «Che gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto da Lui?».

«Ho sentito lo Spirito di Dio parlare sulle sue labbra».

«Sei uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?».

«Lo credo».

«In verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed essi andar raminghi dietro quell'Uomo! Ma dove vedi, in Lui, il Cristo?».

«Dove non so. So che sento che è Lui».

«Pazzo!», gli voltano inquieti le spalle.

Gesùha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in gruppo serrato per andarsene inquieti, li chiama dicendo:
«Ascoltatemi. Voglio chiedervi una cosa. Secondo voi, che ve ne pare del Cristo? Di chi è Figlio?».

«Sarà Figlio di Davide», gli rispondono marcando il "sarà", perchè vogliono fargli capire che, per loro, Egli non è il Cristo.

«E come dunque Davide, ispirato da Dio, lo chiama "Signore" dicendo: (Salmo 110, 1) "Il Signore ha detto al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra fino a che non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi’"? Se dunque Davide chiama il Cristo "Signore", come il Cristo può essergli Figlio?».

Non sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno.

Gesù si sposta dal luogo dove era, tutto invaso dal sole, per andare più oltre, dove sono le bocche del tesoro, presso la sala del gazofilacio. Questo lato, ancora in ombra, è occupato da rabbi che concionano con grandi gesti rivolti ai loro ascoltatori ebrei, che aumentano sempre più come, col passar delle ore, aumenta di continuo la gente che affluisce al Tempio.

I rabbi si sforzano di demolire coi loro discorsi gli insegnamenti che il Cristo ha dato nei giorni precedenti o quella stessa mattina.
E sempre più alzano la voce più vedono aumentare la folla dei fedeli. Il luogo, infatti, benchè vasto tanto, formicola di persone che vanno e vengono in ogni senso...
Solo oggi, e con insistenza, vedo apparire la seguente visione. Sul principio non vedo che cortili e porticati, che riconosco essere del Tempio, e Gesù, che sembra un imperatore tanto è solenne nel suo abito rosso vivo e manto pure rosso più cupo, appoggiato ad una enorme colonna quadrata che sostiene un arco del portico. Mi guarda fissamente. Mi perdo a guardarlo, beandomi di Lui che da due giorni non vedevo e non udivo. La visione dura così per lungo tempo. E finchè dura così non la scrivo, perchè è gioia mia. Ma, ora che vedo animarsi la scena, comprendo che vi è dell'altro e scrivo. Il luogo si va empiendo di gente che va e viene in ogni senso. Vi sono sacerdoti e fedeli, uomini, donne e bambini. Chi passeggia, chi, fermo, ascolta i dottori, chi si dirige trascinando agnellini o portando colombi presso altri luoghi forse di sacrificio.

Gesù sta appoggiato alla sua colonna e guarda. Non parla. Anche due volte che è stato interrogato dagli apostoli ha fatto cenno di no, ma non ha parlato. È attentissimo ad osservare. E dall'espressione pare stia giudicando chi guarda. Il suo occhio e tutto il volto mi ricorda l'aspetto che gli ho visto nella visione del Paradiso, quando giudicava le anime nel giudizio particolare. (Visione del 25 maggio 1944, riportata nel volume "I quaderni del 1944"). Ora, naturalmente, è Gesù, Uomo; lassù era Gesùglorioso, perciò più ancora imponente. Ma la mutabilità del volto, che osserva fissamente, è uguale.
È serio, scrutatore, ma, se delle volte è di una severità da far tremare il più sfacciato, delle volte è anche così dolce, di una mestizia sorridente che pare carezzi con lo sguardo.

Pare non oda nulla. Ma deve ascoltare tutto perchè, quando da un gruppo lontano parecchi metri, raccolto intorno ad un dottore, si alza una voce nasale che proclama:
«Più di ogni altro comando è valido questo: quanto è per il Tempio al Tempio vada. Il Tempio è al disopra del padre e della madre e, se alcuno vuole dare alla gloria del Signore ogni "che" che gli avanza, lo può fare e ne sarà benedetto, poichè non vi è sangue nè affetto superiore al Tempio», Gesùgira lentamente la testa in quella direzione e guarda con un che... che non vorrei fosse rivolto a me.

Pare guardi in generale. Ma quando un vecchietto tremolante si accinge a salire i cinque scalini di una specie di terrazza che è prossima a Gesù, e che pare conduca ad un altro cortile più interno, e punta il bastoncello e quasi cade inciampando nella veste, Gesù allunga il suo lungo braccio e l'afferra e lo sorregge, nè lo lascia sinchè lo vede in sicuro.

Il vecchietto alza la testa grinzosa e guarda il suo alto salvatore e mormora una parola di benedizione, e Gesù gli sorride e lo carezza sulla testa semicalva. Poi torna contro la sua colonna, e se ne stacca ancora una volta per rialzare un bambino che scivola dalla mano della madre e cade bocconi proprio ai suoi piedi, piangendo, contro il primo scalino. Lo alza, lo carezza, lo consola. La madre, confusa, ringrazia. Gesùsorride anche a lei, alla quale riconsegna il piccolo.

Ma non sorride quando passa un tronfio fariseo e neppure quando passano in gruppo degli scribi e altri che non so chi siano. Questo gruppo saluta con grande sbracciarsi e inchinarsi. Gesù li guarda così fissamente che pare li perfori, e saluta ma senza espansione. È; severo. Anche ad un sacerdote che passa, e deve essere un pezzo grosso perchè la folla fa largo e saluta e lui passa tronfio come un pavone,Gesù dà un lungo sguardo. Uno sguardo tale che colui, che pure è pieno di superbia, china il capo. Non saluta. Ma non resiste allo sguardo di Gesù.

Gesù cessa di guardarlo per osservare una povera donnetta vestita di marrone scuro, che sale vergognosa i gradini e va verso una parete in cui sono come delle teste di leone o simili bestie a bocca aperta. Molti vanno a quella volta. Ma Gesù pareva non aver fatto caso a loro. Ora invece segue il cammino della donnetta. Il suo occhio la guarda pietoso e si fa dolce dolce quando la vede stendere una mano e gettare nella bocca di pietra di uno di quei leoni qualche cosa. E quando la donnetta nel ritirarsi gli passa vicino, dice per il primo: «La pace a te, donna».
Quella, stupita, alza il capo e resta interdetta.
«La pace a te», ripete Gesù.
«Va', chè l'Altissimo ti benedice».

Quella poveretta resta estatica, poi mormora un saluto e va.
«Ella è felice nella sua infelicità», dice Gesù uscendo dal suo silenzio.

«Ora è felice perchè la benedizione di Dio la accompagna».

«Udite, amici, e voi che mi siete intorno. Vedete quella donna? Non ha dato che due spiccioli, tanto che non basta a comperare il pasto di un passero tenuto in gabbia, eppure ha dato più di tutti quanti hanno, da quando si è aperto il Tempio all'aurora, versato il loro obolo al Tesoro del Tempio. Udite. Ho visto ricchi in gran numero mettere in quelle bocche sostanze capaci di sfamare costei per un anno e di rivestire la sua povertà, che è decente solo perchè è pulita.
Ho visto ricchi mettere con visibile soddisfazione là dentro somme che avrebbero potuto sfamare i poveri della Città santa per uno e più giorni e far loro benedire il Signore.

Ma in verità vi dico che nessuno ha dato più di costei.

Il suo obolo è carità.

L'altro non è. Il suo è generosità. L'altro non è.

Il suo è sacrificio. L'altro non è.

Oggi quella donna non mangerà poichè non ha più nulla. Prima dovrà lavorare per mercede, per poter dare un pane alla sua fame. Dietro a lei non vi sono ricchezze, non vi sono parenti che guadagnino per lei. Ella è sola. Dio le ha levato parenti, marito e figli, le ha levato quel poco bene che essi le avevano lasciato, e più che Dio glielo hanno levato gli uomini, questo; quegli uomini che ora con grandi gesti, vedete?, continuano a gettare là dentro il loro superfluo, di cui molto è estorto con usura dalle povere mani di chi è debole e ha fame.

Essi dicono che non c'è sangue e affetto superiore al Tempio, e così insegnano a non amare il prossimo loro.

Io vi dico che sopra al Tempio è l'amore.

La legge di Dio è amore, e non ama chi non ha pietà per il prossimo. Il denaro superfluo, il denaro infangato dall'usura, dall'astio, dalla durezza, dall'ipocrisia, non canta la lode a Dio e non attira sul donatore la benedizione celeste.

Dio lo ripudia. Impingua queste casse. Ma non è oro per l'incenso: è fango che vi sommerge, o ministri, che non servite Dio ma il vostro interesse; ma è laccio che vi strozza, o dottori, che insegnate una dottrina vostra; ma è veleno che vi corrode quel resto d'anima, o farisei, che ancora avete.

Dio non vuole ciò che è avanzo. Non siate Caini. Dio non vuole ciò che è frutto di durezza.

Dio non vuole ciò che, alzando voce di pianto, dice: "Dovevo sfamare un affamato. Ma gli sono stato negato per far pompa qua dentro. Dovevo aiutare un vecchio padre, una madre cadente, e sono stato negato perchè l'aiuto non sarebbe stato noto al mondo, ed io devo suonare il mio squillo perchè il mondo veda il donatore".

No, rabbi che insegni che quanto è avanzo va dato a Dio e che è lecito negare al padre e alla Madre per dare a Dio.

Il primo comando è: "Ama Dio con tutto il tuo cuore, la tua anima, la tua intelligenza, la tua forza".

Perciò non il superfluo ma quello che è sangue nostro bisogna dargli, amando soffrire per Lui.

Soffrire. Non far soffrire.

E se dare molto costa, perchè spogliarsi delle ricchezze spiace e il tesoro è il cuore dell'uomo, vizioso di natura, è proprio perchè costa che dare bisogna.

Per giustizia: poichè tutto quanto si ha, si ha per bontà di Dio.

Per amore, perchè è prova d'amore amare il sacrificio per dare gioia a chi si ama.

Soffrire per offrire. Ma soffrire. Non far soffrire, ripeto.

Perchè il secondo comando dice: "Ama il tuo prossimo come te stesso".

E la legge, specifica che, dopo Dio, i genitori sono il prossimo cui è obbligo dare onore e aiuto.

Onde in verità vi dico che quella povera donna ha compreso la Legge meglio dei sapienti ed è giustificata più di ogni altro e benedetta, poichè nella sua povertà ha dato a Dio tutto, mentre voi date ciò che vi supera e lo date per crescere nella stima degli uomini. Lo so che mi odiate perchè parlo così.

Ma finchè questa bocca potrà parlare, parlerà in tal modo. Unite il vostro odio per Me al disprezzo per la poverella che Io lodo. Ma non crediate di fare di queste due pietre doppio piedistallo alla vostra superbia. Saranno la macina che vi stritolerà. Andiamo. Lasciamo che le vipere si mordano aumentando il loro veleno. Chi è puro, buono, umile, contrito, e vuole conoscere il vero volto di Dio, mi segua
».



Dice Gesù:
«E tu, alla quale nulla resta, poichè tutto mi hai dato, dammi questi due ultimi spiccioli. Davanti al tanto che hai dato sembrano, agli estranei, un nulla. Ma per te, che non hai più che questi, sono tutto. Mettili nella mano del tuo Signore. E non piangere. O, almeno, non piangere sola. Piangi con Me, che sono l'Unico che ti posso capire e che ti capisco senza nebbie di umanità, che sono sempre interessato velo al vero».

Apostoli, discepoli e folla lo seguono compatti, mentre Egli torna di nuovo nel luogo della prima cinta che è quasi al riparo del muraglione di cinta del Tempio, là dove è un poco di frescura perchè la giornata è molto afosa.
Là, essendo il terreno sconvolto dagli zoccoli degli animali, sparso delle pietre che i mercanti e i cambiavalute usavano per tenere fermi i loro recinti e le loro tende, là non ci sono i rabbi di Israele, i quali permettevano che nel Tempio si facesse un mercato, ma che hanno ribrezzo a portare le suole dei loro sandali là dove malamente sono cancellate le orme dei quadrupedi che solo da pochi giorni sono stati sfrattati di là...
Gesù non ne ha ribrezzo e si rifugia là, in un cerchio folto di ascoltatori. Però, prima di parlare, chiama vicino i suoi apostoli, ai quali dice:
«Venite e ascoltate bene. Ieri volevate sapere molte delle cose che ora dirò e che ieri accennai vagamente, quando riposavamo nell'orto di Giuseppe. State dunque bene attenti, perchè sono grandi lezioni per tutti e soprattutto per voi, miei ministri e continuatori.
Udite.
Sulla cattedra di Mosè si assisero al tempo giusto scribi e farisei. Ore tristi, quelle, per la Patria. (Come si legge in: Esdra 1-10; Neemia 1-13; 1 Maccabei). Finito l'esilio in Babilonia e ricostruita la nazione per magnanimità di Ciro, i reggitori del popolo sentirono la necessità di ricostruire anche il culto e la conoscenza della Legge. Perchè guai a quel popolo che non li ha a sua difesa, guida e sostegno, contro i più potenti nemici di una nazione, che sono l'immoralità dei cittadini, la ribellione ai capi, la disunione fra le diverse classi e partiti, i peccati contro Dio e contro il prossimo, l'irreligiosità, tutti elementi disgregatori per se stessi e per le punizioni celesti che provocano!

Sorsero dunque gli scribi, o dottori della Legge, per poter ammaestrare il popolo che, parlante il linguaggio caldeo, retaggio del duro esilio, non comprendeva più le scritture scritte in ebraico puro. Sorsero in aiuto dei sacerdoti, insufficienti per numero ad assolvere il compito di ammaestrare le folle. Laicato dotto e dedicato ad onorare il Signore, portando la conoscenza di Lui negli uomini e portando a Lui gli uomini, ebbe la sua ragione di essere e fece anche del bene. Perchè, ricordatevelo tutti, anche le cose che per debolezza umana poi degenerano, come fu questa che si corruppe nell'andare dei secoli, hanno sempre qualche parte di buono e una ragione, almeno iniziale, di essere, per le quali cose l'Altissimo permette che sorgano e durino sinchè, la misura della degenerazione essendo colma, l'Altissimo non le disperde.

Venne poi l'altra setta dei farisei, dalla trasformazione di quella degli Assidei, sorta per sostenere con la più rigida morale e la più intransigente ubbidienza la Legge di Mosè e lo spirito di indipendenza nel nostro popolo, quando il partito ellenista, formatosi per le pressioni e le seduzioni iniziatesi al tempo di Antioco Epifane e presto mutatesi in persecuzioni su chi non cedeva alle pressioni dell'astuto, che più che sulle sue armi contava sulla disgregazione della fede nei cuori per regnare nella nostra Patria, tentava di farci servi.

Ricordate anche questo: temete piuttosto le facili alleanze e le blandizie di uno straniero che le sue legioni.

Perchè, mentre se sarete fedeli alle leggi di Dio e della Patria vincerete anche se accerchiati da eserciti poderosi, quando sarete corrotti dal veleno sottile, dato come un miele inebriante dallo straniero che ha fatto disegni su voi, Dio vi abbandonerà per i vostri peccati, e sarete vinti e soggetti, anche senza che il falso alleato dia battaglia cruenta contro il vostro suolo.

Guai a chi non sta all'erta come vigile scolta e non respinge l'insidia sottile di un astuto e falso vicino, o alleato, o dominatore che inizia la sua dominazione sui singoli, illanguidendo il loro cuore e corrompendolo con usi e costumi che nostri non sono, che santi non sono e che perciò ci rendono sgraditi al Signore! Guai!

Ricordate tutti le conseguenze portate alla Patria dall'avere alcuni dei suoi figli adottato usi e costumi dello straniero per ingraziarsi lo stesso e godere.

Buona cosa è la carità con tutti, anche con i popoli che non sono della nostra fede, che non hanno i nostri usi, che ci hanno nuociuto nei secoli. Ma l'amore a questi popoli, che sono sempre nostro prossimo, non ci deve mai far rinnegare la Legge di Dio e della Patria per il calcolo di qualche utile carpito così ai vicini.
No.
Gli stranieri disprezzano coloro che sono servili sino al ripudio delle cose più sante della Patria.

Non è col rinnegare il Padre e la Madre - Dio e la Patria - che si ottiene rispetto e libertà.

Bene dunque fu che al tempo giusto sorgessero anche i farisei a fare diga contro lo straripamento fangoso di usi e costumi stranieri.

Lo ripeto: ogni cosa che sorge e che dura ha la sua ragione d'essere. E bisogna rispettarla per ciò che fece, se non per ciò che fa.

Chè, se essa è colpevole, ormai, non sta agli uomini insultarla e meno ancora colpirla.

C'è chi sa farlo: Dio e Colui che Egli ha mandato e che ha il diritto e il dovere di aprire la sua bocca e di aprire i vostri occhi, perchè voi e loro sappiate il pensiero dell'Altissimo e agiate con giustizia.

Io e nessun altro.

Io perchè parlo per mandato divino.

Io perchè posso parlare non avendo in Me nessuno dei peccati che vi scandalizzano quando li vedete fatti da scribi e farisei, ma che, se potete, fate voi pure
».

Gesù, che aveva iniziato pianamente il suo discorso, ha alzato gradatamente la voce, e in queste ultime parole essa è potente come uno squillo di tromba.
Ebrei e gentili sono intenti ed attenti ad ascoltarlo. E se i primi applaudono quando Gesù ricorda la Patria e chiama apertamente coi loro nomi coloro che, stranieri, li hanno assoggettati e fatti soffrire, i secondi ammirano la forma oratoria del discorso e si felicitano di essere presenti a questa orazione degna di un grande oratore, dicono fra loro.

Gesù abbassa di nuovo la voce riprendendo a parlare:
«Questo vi ho detto per ricordarvi la ragione d'essere di scribi e farisei, e come e perchè si sono seduti sulla cattedra di Mosè, e come e perchè parlano e non vane sono le loro parole.
Fate dunque ciò che essi dicono.
Ma non imitateli nelle loro azioni.
Perchè essi dicono di fare in una data maniera, ma poi non fanno ciò che dicono che si deve fare.

Infatti essi insegnano le leggi di umanità del Pentateuco, ma poi caricano di pesi grandi, insopportabili, inumani, gli altri, mentre per loro stessi non stendono neppur un dito, non a portare quei pesi, ma neppure a toccarli.

Loro regola di vita è l'esser visti e notati e applauditi per le loro opere, che fanno in maniera atta a esser viste, per averne lode.
E contravvengono alla legge dell'amore, perchè amano definirsi separati e hanno sprezzo per coloro che non sono della loro setta, ed esigono il titolo di maestri e un culto dai loro discepoli quali essi non dànno a Dio.

Dèi si credono per sapienza e potenza, superiori al padre e alla madre vogliono essere nel cuore dei loro discepoli, e pretendono che la loro dottrina superi quella di Dio ed esigono che sia praticata alla lettera, anche se è manipolazione della vera Legge, inferiore alla stessa come più non lo è questo monte rispetto all'altezza del Grande Ermon che tutta la Palestina sovrasta; ed eretici sono, credendo, come i pagani, alla metempsicosi e alla fatalità alcuni, negando gli altri ciò che i primi ammettono e, di fatto se non di effetto, ciò che Dio stesso ha dato per fede, definendosi unico Dio al quale va dato culto e dicendo il padre e la madre secondi a Dio soltanto, e come tali in diritto di essere ubbiditi più di un Maestro che non sia divino.

Chè se ora Io vi dico: (come al Vol 4 Capp 265 e 281) "Colui che ama il padre e la madre più di Me non è atto al Regno di Dio", non è già per inculcarvi il disamore ai parenti, ai quali dovete rispetto ed aiuto, nè è lecito levare un soccorso ad essi dicendo: "È denaro del Tempio", o ospitalità dicendo: "La mia carica me lo vieta", o la vita dicendo: "Ti uccido perchè tu ami il Maestro", ma è perchè abbiate l'amore giusto ai parenti, ossia un amore paziente e forte nella sua mansuetudine, il quale sa - senza giungere all'odio verso il parente che pecca e dà dolore non seguendovi sulla via della Vita: la mia - il quale sa saper scegliere tra la legge mia e l'egoismo famigliare e la sopraffazione famigliare.

Amate i parenti, ubbiditeli in tutto ciò che è santo.

Ma siate pronti a morire, non già a dar morte ma a morire, dico, se essi vogliono indurvi a tradire la vocazione che Dio ha messa in voi di essere i cittadini del Regno di Dio che Io sono venuto a formare.

Non imitate scribi e farisei, divisi fra loro sebbene affermino di essere uniti.
Voi, discepoli del Cristo, siate veramente uniti, uni per gli altri, i capi dolci ai soggetti, i soggetti dolci coi capi, uni nell'amore e nel fine della vostra unione: conquistare il mio Regno ed essere alla mia destra nell'eterno Giudizio.

Ricordate che un regno diviso non è più un regno e non può sussistere. Siate dunque uniti fra voi nell'amore per Me e per la mia dottrina. Assisa del cristiano, chè tale sarà il nome dei sudditi miei, sia l'amore e l'unione, l'uguaglianza fra voi nelle vesti, la comunanza negli averi, la fratellanza dei cuori.

Tutti per uno, uno per tutti.

Chi ha, dia umilmente.

Chi non ha, accetti umilmente e umilmente esponga i suoi bisogni ai fratelli, sapendoli tali; e i fratelli ascoltino amorosamente i bisogni dei fratelli, sentendosi ad essi veramente tali.

Ricordate che il Maestro vostro ebbe spesso fame, freddo e altri mille bisogni e disagi, e umilmente li espose agli uomini, Egli, Verbo di Dio.

Ricordate che è dato un premio a chi è misericorde anche di un sol sorso d'acqua.

Ricordate che dare è meglio che ricevere.

In questi tre ricordi il povero trovi la forza di chiedere senza sentirsi umiliato, pensando che Io l'ho fatto prima di lui, e di perdonare se sarà respinto, pensando che molte volte al Figlio dell'uomo fu negato il posto e il cibo che si dànno ai cani di guardia al gregge.

E il ricco trovi la generosità di dare le sue ricchezze, pensando che la moneta vile, l'odioso denaro suggerito da Satana, causa dei nove decimi delle rovine del mondo, se dato per amore si muta in gemma immortale e paradisiaca.

Siate vestiti delle vostre virtù.
Esse siano ampie ma note a Dio solo.
Non fate come i farisei che portano le filatterie più larghe e le frange più lunghe e amano i primi seggi nelle sinagoghe e gli ossequi nelle piazze, e vogliono essere chiamati dal popolo: "Rabbi".

Uno solo è il Maestro: il Cristo.

Voi che in futuro sarete i nuovi dottori, parlo a voi, miei apostoli e discepoli, ricordate che Io solo sono il vostro Maestro.

E lo sarò anche quando non sarò più fra voi. Perchè solo la Sapienza è colei che ammaestra. Non fatevi perciò chiamare maestri, perchè siete voi stessi discepoli. E non esigete e non date il nome di padre ad alcuno sulla Terra, perchè uno solo è il Padre di tutti: il Padre vostro che è nei Cieli.

Questa verità vi faccia saggi nel sentirvi veramente tutti fratelli fra voi, sia quelli che dirigono come quelli che sono diretti, e amatevi perciò da buoni fratelli.

Nè alcuno di quelli che dirigeranno si faccia chiamare guida, perchè una sola è la vostra guida comune: il Cristo.

Il più grande fra voi sia vostro servo.
Non è umiliarsi esser servo dei servi di Dio, ma è imitare Me che fui mite e umile, sempre pronto ad avere amore ai fratelli miei nella carne di Adamo e ad aiutarli con la potenza che ho in Me come Dio. Nè ho umiliato il divino, servendo gli uomini. Perchè il vero re è colui che sa signoreggiare non tanto gli uomini quanto le passioni dell'uomo, prima fra tutte la stolta superbia.

Ricordate:
chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato.

La Donna di cui ha parlato nel II della Genesi il Signore, (Genesi 2, 22-23, ma con più attinenza in Genesi 3, 15, perciò II potrebbe essere scritto erroneamente per III), la Vergine di cui è parola in Isaia (7, 14), la Madre-Vergine dell'Emmanuele, ha profetato questa verità del tempo nuovo cantando: (Vol 1 Cap 21) "Il Signore ha rovesciato i potenti dal loro trono ed ha innalzato gli umili".

La Sapienza di Dio parlava sul labbro di Colei che era Madre della Grazia e Trono della Sapienza. E Io ripeto le ispirate parole che mi lodarono unito al Padre e allo Spirito Santo, nelle nostre opere mirabili, quando, senza offesa per la Vergine, Io, l'Uomo, mi formavo nel suo seno senza cessare di essere Dio.

Siano norma a quelli che vogliono partorire il Cristo nei loro cuori e venire al Regno di Cristo. Non vi sarà Gesù: il Salvatore; Cristo: il Signore; e non vi sarà Regno dei Cieli per coloro che sono superbi, fornicatori, idolatri, adorando se stessi e la loro volontà.

Perciò guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che credete di poter chiudere con le vostre impraticabili sentenze - e realmente, se fossero avallate da Dio, sarebbero serrame infrangibile alla maggioranza degli uomini - che credete di poter chiudere il Regno dei Cieli in faccia agli uomini che alzano lo spirito ad esso per trovare forza nella loro penosa giornata terrena!

Guai a voi che non ci entrate, non ci volete entrare perchè non accogliete la Legge del celeste Regno, e non ci lasciate entrare gli altri che sono davanti a quella porta che voi, intransigenti, rinforzate di chiusure che Dio non ha messe.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che divorate le case delle vedove col pretesto di fare lunghe orazioni. Per questo subirete un giudizio severo!

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che andate per mare e per terra, consumando gli averi non vostri, per fare un solo proselite e, fatto che sia tale, lo rendete figlio dell'inferno il doppio di voi!

Guai a voi, guide cieche, che dite: "Se uno giura per il Tempio non è niente il suo giuramento, ma se giura per l'oro del Tempio allora resta obbligato al suo giuramento".
Stolti e ciechi! E chi è di più? L'oro, o il Tempio che santifica l'oro?
E che dite: "Se uno giura per l'altare non ha valore il suo giuramento, ma se giura per l'offerta che è sull'altare allora è valido il suo giurare e resta obbligato al suo giuramento".
Ciechi! Che cosa è più grande? L'offerta, o l'altare che santifica l'offerta? Chi dunque giura per l'altare giura per esso e per tutte le cose che sono sopra di esso, e chi giura per il Tempio giura per esso e per Colui che lo abita, e chi giura per il Cielo giura per il trono di Dio e per Colui che vi sta assiso.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate le decime della menta e della ruta, dell'anice e del cimino, e poi trascurate i precetti più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà.
Queste sono le virtù che bisognava avere, senza tralasciare le altre cose minori!

Guide cieche, che filtrate le bevande per paura di contaminarvi inghiottendo un moscerino affogato, e poi trangugiate un cammello senza sentirvi immondi per questo.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che lavate l'esterno del calice e del piatto, ma dentro siete ricolmi di rapina e d'immondezza.
Fariseo cieco, lava prima il di dentro del tuo calice e del tuo piatto, di modo che anche il di fuori divenga pulito.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che volate come nottole nelle tenebre per le vostre opere di peccato e patteggiate nella notte coi pagani, i ladroni e i traditori, e poi, al mattino, cancellati i segni dei vostri occulti mercati, salite al Tempio in bella veste.

Guai a voi, che insegnate le leggi della carità e della giustizia contenute nel Levitico, e poi siete avidi, ladri, falsi, calunniatori, oppressori, ingiusti, vendicativi, odiatori, e giungete ad abbattere colui che vi dà noia, anche se è vostro sangue, e a ripudiare la vergine che vi è divenuta moglie, e ripudiare i figli avuti da lei perchè sono infelici, e ad accusare di adulterio la vostra donna che più non vi piace, o di malattia immonda, per esser liberi di essa, voi che immondi siete nel vostro cuore libidinoso, anche se non parete tali agli occhi della gente che non sa le vostre azioni.
Siete simili a sepolcri imbiancati, che di fuori sembrano belli mentre dentro sono pieni d'ossa di morti e di marciume.
Così anche voi.
Sì. Così! Di fuori sembrate giusti, ma dentro siete ricolmi di ipocrisia e d'iniquità.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate sontuosi sepolcri ai profeti e abbellite le tombe dei giusti dicendo:
"Se noi fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri non saremmo stati complici e partecipi di coloro che sparsero il sangue dei profeti".

E così testimoniate contro di voi di essere i discendenti di coloro che uccisero i vostri profeti. E voi, del resto, colmate la misura dei padri vostri... O serpenti, razza di vipere, come scamperete alla condanna della Geenna?

Per questo, ecco, Io, Parola di Dio, vi dico: Io, Dio, manderò a voi profeti e sapienti e scribi novelli. E, di questi, voi parte ne ucciderete, parte ne crocifiggerete, parte ne flagellerete nei vostri tribunali, nelle vostre sinagoghe, fuori delle vostre mura, e parte li perseguiterete di città in città, finchè non ricada su voi tutti il sangue giusto sparso sulla Terra, dal sangue del giusto Abele (Genesi 4, 8) a quello di Zaccaria Figlio di Barachia, (2 Cronache 24, 20-22. Già al Vol 6 Cap 414), che voi uccideste fra l'atrio e l'altare perchè vi aveva, per amore di voi, ricordato il vostro peccato acciò ve ne pentiste tornando al Signore.

Così è. Voi odiate coloro che vogliono il vostro bene e amorosamente vi richiamano sui sentieri di Dio.

In verità vi dico che tutto ciò sta per avvenire, e il delitto e le conseguenze.

In verità vi dico che tutto ciò si compirà su questa generazione.

Oh! Gerusalemme! Gerusalemme! Gerusalemme, che lapidi quelli che ti sono inviati e uccidi i suoi profeti!
Quante volte Io ho voluto radunare i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le sue ali, e tu non hai voluto!

Or ecco, ascolta, o Gerusalemme! Or ecco, ascoltate voi tutti che mi odiate e odiate tutto ciò che viene da Dio. Or ecco, ascoltate voi che mi amate e che sarete travolti nel castigo serbato per i persecutori dei Messi di Dio. E ascoltate anche voi, che non siete di questo popolo ma che mi ascoltate ugualmente, ascoltate per sapere chi è Colui che vi parla e che predice senza bisogno di studiare il volo, il canto degli uccelli, nè i fenomeni celesti e le viscere degli animali sacrificati, nè la fiamma e il fumo degli olocausti, perchè tutto il futuro è il presente per Colui che vi parla.

"Questa vostra Casa vi sarà lasciata deserta. Io vi dico, dice il Signore, che non mi vedrete più finchè voi pure non diciate: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’"
».
(Salmo 118, 26).

Gesù è visibilmente stanco e accaldato. E per la fatica del lungo e tonante discorso e per l'afa della giornata senza vento. Premuto contro al muro da una moltitudine, dardeggiato da mille e mille pupille, sentendo tutto l'odio che da sotto i portici del cortile dei Pagani lo ascolta, e tutto l'amore o almeno l'ammirazione che lo circonda, incurante del sole che picchia sulle schiene e sui volti arrossati e sudati, appare veramente spossato e bisognoso di ristoro. E lo cerca dicendo ai suoi apostoli e ai settantadue, che come tanti cunei si sono aperti lentamente un passaggio nella folla e che sono ora in prima linea, barriera d'amore fedele intorno a Lui:
«Usciamo dal Tempio e andiamo all'aperto, fra gli alberi. Ho bisogno di ombra, silenzio e frescura. In verità questo luogo sembra già ardere del fuoco dell'ira celeste».

Gli fanno largo a fatica e possono così uscire dalla porta più vicina, dove Gesù si sforza di congedare molti, ma inutilmente. Lo vogliono seguire a tutti i costi.

I discepoli, intanto, osservano il cubo del Tempio sfavillante al sole quasi meridiano, e Giovanni d'Efeso fa osservare al Maestro la potenza della costruzione:
«Guarda che pietre e che costruzioni! ».
«Eppure di esse non resterà pietra su pietra», risponde Gesù.

«No! Quando? Come?», chiedono molti.

Ma Gesù non dice. Scende il Moria ed esce svelto dalla città, passando per Ofel e per la porta di Efraim o del Letame e rifugiandosi nel folto dei Giardini del Re dapprima, ossia sinchè coloro che, non apostoli e non discepoli, si sono ostinati a seguirlo se ne vanno lentamente quando Mannaen, che ha fatto aprire i pesanti cancelli, si fa avanti, imponente, per dire a tutti:
«Andate. Qui non entrano che coloro che io voglio».
Ombre, silenzio, profumi di fiori, aromi di canfore e garofani, cannella, spigo e mille altre erbe da odori, e fruscio di ruscelli, certo alimentati dalle fonti e cisterne vicine, sotto gallerie di fogliame, cinguettii d'uccelli, fanno del luogo un posto di riposo paradisiaco. La città sembra lontana miglia e miglia, con le sue vie strette, cupe per gli archivolti o assolate sino ad essere abbacinanti, coi suoi odori e fetori di cloache non sempre pulite e di vie percorse da troppi quadrupedi per essere pulite, specie quelle di secondaria importanza.
Il custode dei Giardini deve conoscere molto bene Gesù, perchè lo ossequia con rispetto e confidenza insieme, e Gesùgli chiede dei figli e della moglie. (Gesù, gli aveva guarito una gamba, come si legge al Vol 7 Cap 488).

L'uomo vorrebbe ospitare Gesù nella sua casa, ma il Maestro preferisce la pace fresca, riposante del vasto Giardino del Re, un vero parco di delizie. E prima che i due instancabili e fedelissimi servi di Lazzaro se ne vadano a prendere la cesta del cibo, Gesù dice loro:
«Dite alle vostre padrone di venire. Staremo qui qualche ora con mia Madre e le discepole fedeli. E sarà tanto dolce...».

«Sei molto stanco, Maestro! Il tuo volto lo dice», osserva Mannaen.

«Sì. Tanto che non ho avuto forza di andare oltre».

«Ma io te li avevo offerti questi giardini più volte, in questi giorni. Tu sai se io sono contento di poterti offrire pace e ristoro! ».

«Lo so, Mannaen».

«E ieri sei voluto andare in quel triste luogo! Così arido nelle vicinanze, così stranamente brullo nel suo vegetare quest'anno! Così vicino a quella triste porta!».

«Ho voluto accontentare i miei apostoli. Sono bambini, in fondo. Grandi bambini. Vedili là come si ristorano felici!... Subito dimentichi di quanto si agita contro di Me oltre queste mura... ».

«E dimentichi che Tu sei tanto afflitto... Ma non mi sembra che ci sia molto da allarmarsi. Mi sembrava più pericoloso il luogo altre volte».

Gesù lo guarda e tace. Quante volte vedo Gesù guardare e tacere così, in questi ultimi giorni!
Poi Gesù si dà a guardare gli apostoli e i discepoli, che si sono levati i copricapi e i mantelli e i sandali, rinfrescandosi volti ed estremità nei freschi rii, imitati da molti dei settantadue discepoli, che ora, in realtà, sono molti di più, io credo, e che, tutti uniti dalla fraternità di ideali, si gettano qua e là in riposo, un poco in disparte per lasciare Gesùquieto a riposare.
Anche Mannaen si ritira lasciandolo in pace. Tutti rispettano il riposo del Maestro, stanchissimo, che si è rifugiato in una foltissima pergola di gelsomino in fiore fatta a capanna, isolata da un anello d'acque che scorre frusciando in un canaletto nel quale si riversano erbe e fiori. Un vero rifugio di pace, al quale si accede per un ponticello largo due palmi e lungo quattro, sulla cui ringhiera è tutta una ghirlanda di corolle di gelsomini.

Tornano i servi aumentati da altri, perchè Marta ha voluto provvedere a tutti i servi del Signore, e dicono che le donne verranno fra poco.

Gesù fa chiamare Pietro e gli dice:
«Insieme a Giacomo mio fratello benedici, offri e distribuisci così come Io faccio».

«Distribuire sì, ma benedire no, Signore. A Te tocca offrire e benedire. Non a me».

«Quando eri a capo dei compagni, lontano da Me, non lo facevi?».

«Sì. Ma allora... era per forza che lo facevo. Adesso Tu sei con noi e Tu benedici. Mi pare più buono tutto, quando Tu offri per noi e distribuisci... », e il fedele Simone abbraccia il suo Gesù, seduto stancamente in quell'ombra, e gli curva la testa sulla spalla, beato di poterlo stringere e baciare così...

Gesù si alza e lo accontenta. Va verso i discepoli, offre, benedice, spartisce il cibo, li guarda mangiare contenti e dice loro:
«Dopo dormite, riposate mentre è l'ora e perchè poi possiate vegliare e pregare quando avrete bisogno di farlo, e la fatica e stanchezza non vi aggravino di sonno occhi e spirito quando sarà necessario che voi siate pronti e ben svegli».

«Tu non resti con noi? Non mangi?».

«Lasciatemi riposare. Ho bisogno solo di questo. Mangiate, mangiate!».

Carezza nel passare quelli che trova sul suo cammino e torna al suo posto...
Dolce, soave è la venuta della Madre presso il Figlio.
Maria viene avanti sicura, poichè Mannaen, che ha vegliato presso il cancello, meno stanco degli altri, le indica il luogo dove è Gesù. Le altre, e vi sono tutte le discepole ebree, e di romane la sola Valeria, sostano per qualche tempo, silenziose per non destare i discepoli che dormono al rezzo delle frondose piante, simili a tante pecore accosciate fra l'erba, a sesta.

Maria entra sotto la pergola di gelsomini senza far scricchiolare il piccolo ponte di legno, nè la ghiaia del suolo, e ancor più cautamente si accosta al Figlio che, vinto dalla stanchezza, si è addormentato col capo sul tavolo di pietra messo là sotto, il braccio sinistro a far da guanciale sotto il volto velato dai capelli.

Maria si siede paziente vicino alla sua Creatura stanca. E la contempla... tanto... e un sorriso doloroso e amoroso è sul suo labbro, mentre senza rumore le cadono in grembo gocce di pianto; ma se le labbra sono chiuse e mute, prega il suo cuore, con tutta la forza che possiede, e tradisce la potenza di quella preghiera e del suo soffrire l'atteggiamento delle sue mani congiunte in grembo, strette, intrecciate per non tremare e pure scosse da un tremito lieve. Mani che si disgiungono soltanto per cacciare una mosca insistente che vuole posarsi sul Dormente e lo potrebbe svegliare.

È la Madre che veglia il Figlio.

L'ultimo sonno del Figlio che Ella possa vegliare. E se il volto della Madre, in questo mercoledì pasquale, è diverso da quello della Madre nel Natale del Signore, perchè il dolore lo impallidisce e scava, la dolce purezza amorosa dello sguardo, la trepida cura è uguale a quella che Ella aveva quando, curva sulla greppia di Betlemme, proteggeva del suo amore il primo sonno disagiato della sua Creatura.

Gesùha un movimento e Maria si asciuga rapidamente gli occhi per non mostrare lacrime al Figlio.
Ma Gesùnon si è svegliato. Ha solo mutato posizione al volto, girandolo dall'altra parte, e Maria riprende la sua immobilità e la sua veglia.

Ma qualcosa fa schiantare il cuore di Maria. Ed è sentire che il suo Gesù piange nel sonno e con un bisbiglio confuso, perchè parla con la bocca premuta contro il braccio e la veste, mormora il nome di Giuda...

Maria si alza, si avvicina, si curva sul Figlio, segue quel confuso bisbigliare con le mani premute sul cuore perchè, rotto ma non talmente da non poterlo seguire, il discorso di Gesùfa capire che Egli sogna e risogna il presente e il passato e poi anche il futuro, finchè si desta con un sobbalzo, come per sfuggire a qualcosa che è orrendo.

Ma trova il petto di sua Madre, le braccia di sua Madre, il sorriso di sua Madre, la dolce voce di sua Madre, il suo bacio, la sua carezza, lo sfiorare leggero del suo velo passato sul volto ad asciugare lacrime e sudore mentre gli dice:
«Eri scomodo, e sognavi... Sei sudato e stanco, Figlio mio».
E gli ravvia i capelli scomposti, gli asciuga il volto e lo bacia, tenendolo cinto del suo braccio, appoggiato al suo cuore poichè non può più raccoglierselo in grembo come quando era piccino.

Gesùle sorride dicendo:
«Sei sempre la Mamma. Quella che consola. Quella che ripaga di tutto. La mia Mamma!».

Se la fa sedere vicino abbandonandole la mano nel grembo, e Maria prende quella mano lunga, così signorile eppure così robusta, di artiere, fra le sue piccine, e ne carezza le dita e il dorso, lisciandone le vene che si erano gonfiate mentre pendeva nel sonno. E cerca di distrarlo...

«Siamo venute. Ci siamo tutte. Anche Valeria. Le altre sono all'Antonia. Le ha volute Claudia, "che è molto rattristata" ha detto la liberta. Dice che, non so per quale cosa, ha il presagio di molto pianto. Superstizioni! ... Solo Dio sa le cose...».

«Dove sono le discepole?».

«Là, al principio dei Giardini. Marta ha voluto prepararti cibi e bevande refrigeranti e confortanti, pensando a quanto ti spossi. Ma io, guarda, questo ti piace sempre e te l'ho portato io. La mia parte. È più buono perchè è della tua Mamma».

Gli mostra del miele ed una focaccetta di pane sul quale lo stende dandolo al Figlio e dicendo:
«Come a Nazaret, quando prendevi un riposo nell'ora più calda e poi ti svegliavi accaldato, e io venivo dalla grotta fresca con questo ristoro...».

Si ferma perchè le trema la voce.
Suo Figlio la guarda e poi dice:
«E quando c'era Giuseppe, per due portavi il ristoro e la fresca acqua della giara porosa, tenuta sulla corrente perchè fosse più fresca e ancor più la facevano tale gli steli di menta selvaggia che vi gettavi dentro. Quanta menta, là, sotto gli ulivi! E quante api sui fiori della menta! Il nostro miele sapeva sempre un poco di quel profumo...».
Pensa... ricorda...
«Abbiamo visto Alfeo, sai? Giuseppe si è attardato perchè aveva un figlio un poco malato. Ma domani sarà certo qui con Simone. Salome di Simone guarda la nostra casa e quella di Maria».

«Mamma, quando sarai sola, con chi starai?».

«Con chi Tu dirai, Figlio mio. Ti ho ubbidito prima di averti, Figlio. Continuerò a farlo dopo che mi avrai Lasciata».

Le trema la voce, ma il sorriso è eroico sulle labbra.

«Tu sai ubbidire. Quanto riposo stare con te! Perchè, vedi, Mamma? Il mondo non può capire, ma Io trovo ogni riposo presso gli ubbidienti... Sì. Dio riposa presso gli ubbidienti. Dio non avrebbe avuto a soffrire, a faticare, se la disubbidienza non fosse venuta nel mondo. (Quella di Adamo ed Eva, contrapposta all'ubbidienza di Gesùe della Madre sua, è stata trattata specialmente nel capitolo 17 e 29 del Vol 1, ed è un tema ricorrente, per esempio al Vol 6 Cap 420, al Vol 8 Cap 515, al capitolo 595 e al Vol 10 Cap 606, mirabilmente sintetizzato nel presente dialogo). Tutto accade perchè non si ubbidì. Per questo il dolore del mondo... Per questo il nostro dolore».

«Ma anche la nostra pace, Gesù. Perchè noi sappiamo che la nostra ubbidienza consola l'Eterno. Oh! per me in specie, cosa è questo pensiero! Mi è concesso, a me, creatura, di consolare il mio Creatore!».

«Oh! Gioia di Dio! Tu non sai, o nostra Gioia, cosa è per Noi questa tua parola! Supera le armonie dei celesti cori... Benedetta! Benedetta che mi insegni l'ultima ubbidienza, e me la rendi così gradita a compiersi con questo pensiero!».

«Tu non hai bisogno che io ti insegni, Gesùmio. Tutto ho imparato da Te».

«Tutto ha imparato da te Gesùdi Maria di Nazaret, l'Uomo».

«Era la tua luce che usciva da me. La Luce che Tu sei, e che veniva alla Luce Eterna annichilita in veste d'uomo... Mi hanno detto i fratelli di Giovanna il discorso che hai pronunciato. Erano rapiti di ammirazione. Sei stato forte con i farisei...».

«È l'ora delle supreme verità, Mamma. Per essi restano morte verità. Ma per gli altri saranno verità vive. E con l'amore e il rigore Io devo tentare l'ultima battaglia per strapparli al Male».

«È vero. Mi hanno detto che Gamaliele, che era con altri in una delle sale dei portici, disse, alla fine, mentre molti erano inquieti: "Quando non si vuole il rimprovero si agisce da giusti", e se ne è andato dopo questa Osservazione».

«Ho piacere che il rabbi mi abbia sentito. Chi te lo ha detto?».

«Lazzaro. E a lui lo disse Eleazzaro, che era nella sala con gli altri. Lazzaro è venuto a sesta. Ha salutato ed è ripartito senza ascoltare le sorelle, che lo volevano trattenere fino al tramonto. Ha detto di mandare Giovanni, o altri, a ritirare quelle frutta e quei fiori, che sono al giusto punto».

«Manderò Giovanni, domani».

«Viene tutti i giorni Lazzaro. Ma Maria si inquieta perchè dice che sembra una apparizione. Sale al Tempio, viene, dà ordini e riparte».

«Anche Lazzaro sa ubbidire. Gli ho ordinato Io così, perchè è insidiato lui pure. Ma non dirlo alle sorelle. Non gli accadrà nulla. "E ora andiamo dalle discepole».

«Non ti muovere. Io le chiamerò. I discepoli dormono tutti...».

«E li lasceremo dormire. La notte poco dormono, perchè Io li istruisco nella pace del Getsemani».

Maria esce e torna con le donne, che sembrano aver abolito il loro peso tanto sono leggeri i loro passi. Lo salutano col loro ossequio profondo, che è famigliare solo in Maria Cleofe.
E Marta da una capace borsa trae un'anforetta sudante, mentre Maria leva da un vaso, pure poroso, fresche frutta venute da Betania, e le dispone sul tavolo a fianco di quanto ha preparato la sorella, ossia un colombo arrostito alla fiamma, croccante, appetitoso, e prega Gesù di gradire, dicendo:
«Mangia. Riconforta questa carne. Io stessa l'ho preparata».

Giovanna invece ha portato dell'aceto rosato. Spiega:
«Rinfresca tanto in questi primi calori. Lo usa anche il mio sposo quando si stanca nelle lunghe cavalcate».

«Noi non abbiamo nulla», si scusano Maria Salome, Maria Cleofe, Susanna ed Elisa. E Niche e Valeria alla loro volta: «E neppure noi. Non sapevamo di dover venire».

«Mi avete dato tutto il vostro cuore. Mi è sufficiente. E ancor mi darete...».

Mangia, ma più che altro beve la fresca acqua melata che Marta gli mesce dall'anfora porosa, e le frutta fresche che sono un ristoro per l'Affaticato. Le discepole non parlano molto. Lo guardano ristorarsi. Nei loro occhi è amore e affanno. E d'improvviso Elisa si mette a piangere, e se ne scusa dicendo: «Non so. Ho il cuore gravato di mestizia...».
«Tutte lo abbiamo. Persino Claudia nel suo palazzo...», dice Valeria.
«Io vorrei che fosse già Pentecoste», sussurra Salome.
«Io invece vorrei fermare il tempo a quest'ora», dice Maria di Magdala.

«Saresti egoista, Maria», le risponde Gesù.

«Perchè, Rabboni?».

«Perchè vorresti per te sola la gioia della tua redenzione. Sono migliaia e milioni di esseri che attendono quest'ora, o che per quest'ora saranno redenti».

«È vero. Non ci pensavo... », china il capo mordendosi le labbra per non far vedere le lacrime dei suoi occhi e il tremito delle sue labbra. Ma è sempre la forte lottatrice, e dice: «Se Tu vieni domani, potrai rivestirti della veste che hai mandata. È fresca e monda, degna della cena pasquale».

«Verrò... "Non avete nulla da dirmi? Siete mute ed afflitte. Non sono più Gesù?... », sorride alle donne, invitante.

«Oh! sei Tu! Ma sei tanto grande in questi giorni che io non so più vederti come il fanciullino che ho portato fra le braccia!», esclama Maria d'Alfeo.

«E io come il semplice rabbi che entrava nella mia cucina cercando Giovanni e Giacomo», dice Salome.

«Io ti ho sempre conosciuto così: Re dell'anima mia!», proclama Maria di Magdala.

E Giovanna, mite e soave: «E io pure: divino, dal sogno nel quale a me morente apparisti per chiamarmi alla Vita».

«Tutto ci hai dato, o Signore. Tutto!», sospira Elisa che si è ripresa.

«E tutto mi avete dato».

«Troppo poco!» , dicono tutte.

«Non cessa il dare dopo quest'ora. Cesserà soltanto quando sarete con Me nel mio Regno. Le mie discepole fedeli. Non siederete, no, al mio fianco, sui dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele, ma canterete l'osanna insieme agli angeli, facendo coro d'onore alla Madre mia, e allora come ora il cuore del Cristo troverà la sua gioia nel contemplarvi».

«Io sono giovane! È lungo il tempo per salire al tuo Regno. Beata Annalia!», dice Susanna.

«Io vecchia sono, e felice di esser tale. Spero prossima la morte», dice Elisa.

«Io ho i figli... Vorrei servirli, questi servi di Dio!», sospira Maria Cleofe.

«Non ti scordare di noi, Signore!», dice la Maddalena con ansia contenuta, direi con un grido d'anima, tanto la voce, tenuta bassa per non svegliare i dormenti, vibra di forza più di un grido.

«Non mi scorderò di voi. Verrò. Tu, Giovanna, sai che Io posso venire anche se sono molto lontano... Le altre lo devono credere. E vi lascerò una cosa... un mistero che terrà Me in voi e voi in Me, finchè saremo riuniti Io e voi nel Regno di Dio. Ora andate. Direte che poco vi ho detto, che quasi era inutile per così poco farvi venire. Ma ho desiderato avere intorno cuori che mi hanno amato senza calcolo. Per Me. Per Me: Gesù. Non per il futuro, sognato Re d'Israele.
Andate. E siate benedette una volta di più. Anche le altre. Che non ci sono, ma che pensano a Me con amore: Anna, Mirta, Anastasica, Noemi, e Sintica lontana, e Fotinai, e Aglae e Sara, Marcella, le figlie di Filippo, Miriam di Giairo, le vergini, le redente, le spose, le madri che sono venute a Me, che mi sono state sorelle e madri, migliori, oh! molto migliori degli uomini anche migliori!...
Tutte, tutte! Benedico tutte.
La grazia comincia già a scendere, la grazia e il perdono, sulla donna, per questa mia benedizione. Andate
... ».

Le congeda trattenendo sua Madre:
«Prima di sera sarò al palazzo di Lazzaro. Ho bisogno di vederti ancora. E con Me sarà Giovanni. Ma non voglio che te, Madre, e le altre Marie, Marta e Susanna. Ho tanta Stanchezza...».

«Saremo noi sole. Addio, Figlio...».

Si baciano. Si separano... Maria se ne va lentamente. Si volge prima di uscire. Si volge prima di lasciare il ponticello. Si volge ancora, sinchè può vedere Gesù... Sembra che non possa allontanarsi da Lui... E Gesùè solo di nuovo. Si alza, esce. Va a chiamare Giovanni, che dorme bocconi fra i fiori come un bambino, e gli consegna l'anforetta dell'aceto rosato che Giovanna gli ha portato, dicendogli:
«Andremo a sera da mia Madre. Ma noi due soli».

«Ho capito. Sono venute?».

«Sì. Ho preferito non svegliarvi...».

«Hai fatto bene. La tua gioia sarà stata più grande. Esse sanno amarti meglio di noi...», dice sconsolato Giovanni.

«Vieni con Me». Giovanni lo segue. «Che hai?», gli chiede Gesù quando sono nuovamente nella penombra verde della pergola dove sono ancora resti di cibo.

«Maestro, siamo molto cattivi. Tutti. Non c'è ubbidienza in noi... e non c'è desiderio di stare con Te. Anche Pietro e Simone sono andati via. Non so dove. E Giuda ha trovato in questo l'occasione per essere rissoso».

«&Egrve; andato via anche Giuda?».

«No, Signore. Non è andato via. Dice che non ne ha bisogno, che egli non ha complici nei maneggi che noi facciamo per vedere di ottenerti protezione. Ma se io sono andato da Anna, se altri sono andati dai galilei residenti qui, non è per fare del male! ... E non credo che Simone di Giona e Simone Zelote siano uomini capaci di subdoli maneggi...».

«Non ci badare. Infatti Giuda non ha bisogno di andare mentre voi riposate. Egli sa quando e dove andare per compiere tutto ciò che deve».

«E allora perchè parla così? Non è bello, davanti ai discepoli! ».

«Non è bello. Ma così è. Rasserenati, mio agnello».

«Io, tuo agnello? Agnello sei Tu solo!».

«Sì. Tu. Io Agnello di Dio, e tu agnello dell'Agnello di Dio».

«Oh!!! Un'altra volta, erano i primi giorni che ero con Te, Tu mi hai detto ancora questa parola. Eravamo noi due soli, come ora, fra il verde, come ora, e nella bella stagione».

Giovanni è tutto rallegrato dal ricordo che ritorna. E mormora:
«Sono sempre, ancora l'agnello dell'Agnello di Dio...».

Gesù lo carezza. E gli offre parte del colombo arrostito, rimasto sulla tavola su di un foglio di pergamena che lo teneva avvolto. E poi gli apre dei fichi succosi e glieli offre, lieto di vederlo mangiare.

Gesù si è seduto di sbieco sui margini del tavolo e guarda Giovanni così intensamente che questo chiede:
«Perchè mi guardi così? Perchè mangio come un goloso?».

«No. Perchè sei come un fanciullo... Oh! mio diletto! Come ti amo per il tuo cuore!» , e Gesùsi china a baciare l'apostolo sui capelli biondi e gli dice:
«Resta così, sempre così, col tuo cuore senza orgoglio e rancori. Così, anche nelle ore della ferocia scatenata. Non imitare chi pecca, fanciullo».

Giovanni è ripreso dal suo dispiacere e dice:
«Ma io non posso credere che Simone e Pietro...».

«Sbaglieresti in verità, se li credessi peccatori. Bevi. È buona e fresca questa bevanda. L'ha preparata Marta... Ora sei riconfortato. Sono certo che tu non avevi finito il tuo pasto...».

«È vero. Mi era venuto il pianto. Perchè, finchè il mondo si odia, si comprende. Ma che un di noi insinui... ».

«Non ci pensare più. Io e te sappiamo che Simone e lo Zelote sono due onesti. E basta. E, purtroppo, tu sai che Giuda è peccatore. Ma taci. Quando saranno passati tanti, tanti lustri, e sarà giusto dire tutta la grandezza del mio dolore, dirai allora anche ciò che soffrii per le azioni di quell'uomo, oltre che per quelle di quell'apostolo. Andiamo. È; ora di lasciare questo luogo per andare verso il campo dei Galilei e...».

«Passiamo anche questa notte là? E prima andremo al Getsemani? Giuda lo voleva sapere. Dice che è stanco di stare alla guazza, e con poco e scomodo riposo».

«Presto sarà finito. Ma Io non dirò a Giuda le mie intenzioni...».

«Non ne sei tenuto. Sei Tu che devi guidare noi, e non noi Te». Giovanni è tanto lontano dal tradire che non comprende neppure la ragione di prudenza per la quale Gesùda qualche giorno non dice mai ciò che conta di fare. Eccoli in mezzo ai dormenti. Li chiamano. Essi si svegliano. Anche Mannaen che, finito il suo compito, si scusa col Maestro se non può restare e se il domani non potrà essere vicino a Lui al Tempio, perchè deve rimanere a palazzo. E nel dirlo guarda fisso Pietro e Simone, che sono nel frattempo ritornati, e Pietro ha un cenno rapido del capo come per dire: «Capito».

Escono dai Giardini. Fa ancora caldo. C'è ancora sole. Ma già la brezza della sera tempera il calore e spinge qualche nuvoletta sul cielo terso. Si avviano su per Siloan evitando i luoghi dei lebbrosi, dai quali va Simone Zelote a portare, ai pochi superstiti che non hanno saputo credere in Gesù, i resti del loro pasto.

Mattia, l'ex pastore, si avvicina a Gesùe chiede:
«Signore e Maestro mio, io ho molto pensato coi compagni alle tue parole finchè la stanchezza ci prese, e dormimmo prima di avere potuto risolvere il quesito che ci eravamo posti. E ora siamo più stolti di prima. Se abbiamo bene capito i discorsi di questi giorni, Tu hai predetto che molte cose si cambieranno benchè la Legge resti immutata e che si dovrà edificare un nuovo Tempio, con nuovi profeti, sapienti e scribi, contro il quale saranno date battaglie, e che non morrà, mentre questo, sempre se si è capito bene, pare destinato a perire».

«È destinato a perire. Ricorda la profezia di Daniele...». (Daniele 9, 20-27).

«Ma noi, poveri e pochi, come potremo edificarlo di nuovo se fecero fatica a edificare questo i re? Dove lo edificheremo? Non qui, perchè Tu dici che questo luogo resterà deserto sino a che essi non ti benediranno come mandato da Dio».

«Così è».

«Nel tuo Regno, no. Siamo convinti che il tuo Regno è spirituale. E allora come, dove lo stabiliremo? Tu ieri hai detto che il vero Tempio - e non è quello il vero Tempio? - che il vero Tempio, quando crederanno di averlo distrutto, allora sarà che salirà trionfante alla Gerusalemme vera. Dove è dessa? Molta confusione è in noi».

«Così è. I nemici distruggano pure il vero Tempio. In tre giorni Io lo farò risorgere, e non conoscerà più insidia salendo dove l'uomo non può nuocere. Riguardo al Regno di Dio, esso è in voi e ovunque sono uomini che credono in Me. Sparso per ora, succedentesi sulla Terra nei secoli. Poi eterno, unito, perfetto nel Cielo.
Là, nel Regno di Dio, sarà edificato il nuovo Tempio, ossia là dove sono spiriti che accettano la mia dottrina, la dottrina del Regno di Dio, e ne praticano i precetti.
Come sarà edificato se siete poveri e pochi? Oh! in verità non necessitano denari e poteri per edificare l'edificio della nuova dimora di Dio, individuale o collettiva.
Il Regno di Dio è in voi.
E l'unione di tutti coloro che avranno in loro il Regno di Dio, di tutti coloro che avranno Dio in loro - Dio: la Grazia; Dio: la Vita; Dio: la Luce; Dio: la Carità - costituirà il grande Regno di Dio sulla Terra, la nuova Gerusalemme che giungerà ad espandersi per tutti i confini del mondo e che, completa e perfetta, senza mende, senza ombre, vivrà eterna nel Cielo.
Come farete a edificare Tempio e città? Oh! non voi, ma Dio edificherà questi luoghi nuovi.
Voi dovrete soltanto dargli la vostra buona volontà. Buona volontà è permanere in Me. Vivere la mia dottrina è buona volontà.
Stare uniti è la buona volontà. Uniti a Me sino a fare un sol corpo che è nutrito, nelle sue singole parti e particelle, da un unico umore. Un unico edificio che è poggiato su un'unica base e tenuto unito da una mistica coesione. Ma siccome senza l'aiuto del Padre, che vi ho insegnato a pregare e che pregherò per voi prima di morire, voi non potreste essere nella Carità, nella Verità, nella Vita, ossia ancora in Me e con Me in Dio Padre e in Dio Amore, perchè Noi siamo un'unica Divinità, per questo vi dico di avere Dio in voi per poter essere il Tempio che non conoscerà fine.
Da voi non potreste fare.
Se Dio non edifica, e non può edificare dove non può prendere dimora, inutilmente gli uomini si agitano a edificare o a riedificare.

I1 Tempio nuovo, la mia Chiesa, sorgerà soltanto quando il vostro cuore ospiterà Dio, ed Egli con voi, vive pietre, edificherà la sua Chiesa
».

«Ma non hai detto che Simone di Giona ne è il Capo, la Pietra sulla quale si edificherà la tua Chiesa? E non hai fatto capire anche che Tu ne sei la pietra angolare? Chi dunque ne è il capo? C'è o non c'è questa Chiesa?», interrompe l'Iscariota.

«Io sono il Capo mistico.
Pietro ne è il capo visibile.
Perchè Io ritorno al Padre lasciandovi la Vita, la Luce, la Grazia, per la mia Parola, per i miei patimenti, per il Paraclito che sarà amico di coloro che mi furono fedeli.
Io sono un'unica cosa con la mia Chiesa, mio Corpo spirituale di cui Io sono il Capo.
Il capo contiene il cervello o mente. La mente è sede del sapere, il cervello è quello che dirige i moti delle membra coi suoi immateriali comandi, i quali sono più validi per far muovere le membra di ogni altro stimolo. Osservate un morto, nel quale morto è il cervello. Ha forse più moto nelle sue membra? Osservate uno completamente stolto. Non è forse inerte al punto da non saper avere quei rudimentali moti istintivi che l'animale più inferiore, il verme che schiacciamo passando, ha?
Osservate uno nel quale la paralisi ha spezzato il contatto delle membra, uno o più membra, col cervello. Ha forse più moto nella parte che non ha più legame vitale col capo?

Ma se la mente dirige con i suoi immateriali comandi, sono gli altri organi - occhi, orecchie, lingua, naso, pelle - che comunicano le sensazioni alla mente, e sono le altre parti del corpo che eseguiscono e fanno eseguire ciò che la mente, avvertita dagli organi, materiali e visibili quanto l'intelletto è invisibile, comanda.

Potrei Io, senza dirvi: "sedete", ottenere che voi sediate su questa costa di monte? Anche se Io lo penso che voglio vi mettiate seduti, voi non lo sapete finchè Io non traduco il mio pensiero in parole e dico queste, usando lingua e labbra. Potrei Io stesso sedermi, se lo pensassi soltanto, perchè sento la stanchezza delle gambe, ma se queste rifiutassero di piegarsi e mettermi così seduto?

La mente ha bisogno di organi e membra per fare e per far fare le operazioni che il pensiero pensa.

Così nel corpo spirituale che è la mia Chiesa Io sarò l'Intelletto, ossia la testa, sede dell'intelletto; Pietro e i suoi collaboratori coloro che osservano le reazioni e percepiscono le sensazioni e le trasmettono alla mente, perchè essa illumini e ordini ciò che è da fare per il bene di tutto il corpo, e poi, illuminati e diretti dall'ordine mio, parlino e guidino le altre parti del corpo.

La mano che respinge l'oggetto che può ferire il corpo, o allontana ciò che, corrotto, può corrompere; il piede che scavalca l'ostacolo senza urtarvi e cadere e ferirsi, hanno avuto comando di farlo dalla parte che dirige.

Il fanciullo, e anche l'uomo, che è salvato da un pericolo, o che fa un guadagno di qualsiasi specie - istruzione, affari buoni, matrimonio, buona alleanza per un consiglio ricevuto, per una parola detta - è per quel consiglio e quella parola che non si nuoce o che si benefica.

Così sarà nella Chiesa. Il capo, e i capi, guidati dal divino Pensiero e illuminati dalla divina Luce e istruiti dall'eterna Parola, daranno gli ordini e i consigli, e le membra faranno, avendo spirituale salute e spirituale guadagno.

La mia Chiesa già è, poichè già possiede il suo Capo soprannaturale e il suo Capo divino e ha le sue membra: i discepoli.

Piccola ancora - un germe che si forma - perfetta unicamente nel Capo che la dirige, imperfetta nel resto, che ha bisogno del tocco di Dio per essere perfetta e del tempo per crescere.

Ma in verità vi dico che essa già è, e che è santa per Colui che ne è il Capo e per la buona volontà dei giusti che la compongono.

Santa e invincibile.

Contro di essa si avventerà una e mille volte, e con mille forme di battaglia, l'inferno fatto di demoni e di uomini-demoni, ma non prevarranno.

L'edificio sarà incrollabile.

Ma l'edificio non è fatto di una sola pietra. Osservate il Tempio, là, vasto, bello, nel sole che tramonta. È forse fatto di una sola pietra? È un complesso di pietre che fanno un unico armonico tutto. Si dice: il Tempio.

Cioè una unità.

Ma questa unità è fatta delle molte pietre che l'hanno composta e formata. Inutile sarebbe stato fare le fondamenta, se esse non avessero poi dovuto sorreggere le mura e il tetto, se su esse non avessero poi avuto ad innalzarsi le mura. E impossibile sarebbe stato alzare le mura e sostenere il tetto, se non fossero state fatte per prime le fondamenta solide, proporzionate a sì gran mole.

Così, con questa dipendenza delle parti, una dall'altra, sorgerà anche il Tempio novello. Nei secoli voi lo edificherete appoggiandolo sulle fondamenta che Io gli ho dato, perfette, per la sua mole. Lo edificherete con la direzione di Dio, con la bontà delle cose usate a innalzarlo: spiriti che Dio inabita. Dio nel vostro cuore, a fare di esso pietra polita e senza incrinature per il Tempio nuovo.

Il suo Regno stabilito con le sue leggi nel vostro spirito. Altrimenti sareste mattoni malcotti, legno tarlato, pietre scheggiate e farinose che non reggono e che il costruttore, se avveduto, respinge, o che fallano, cedono, facendo crollare una parte se il costruttore, i costruttori preposti dal Padre alla costruzione del Tempio, sono costruttori idoli che si pavoneggiano nel loro onore senza vegliare e faticare sulla costruzione che si innalza e sui materiali usati per farla. Costruttori idoli, tutori idoli, custodi idoli, ladri! Ladri della fiducia di Dio, della stima degli uomini, ladri e orgogliosi che si compiacciono di aver modo di aver guadagno, e modo di avere numeroso mucchio di materiali, e non osservano se sono buoni o scadenti, causa di rovina.

Voi, novelli sacerdoti e scribi del novello Tempio, ascoltate. Guai a voi e a chi dopo voi si farà idolo e non veglierà e sorveglierà se stesso e gli altri, i fedeli, per osservare, saggiare la bontà delle pietre e del legname, senza fidarsi delle apparenze, e causerà rovine lasciando che materiali scadenti, o addirittura nocivi, siano lasciati usare per il Tempio, dando scandalo e provocando rovina.

Guai a voi se lascerete crearsi crepacci e muraglie insicure, storte, facili al crollo non essendo equilibrate sulle basi che sono solide e perfette.

Non da Dio, Fondatore della Chiesa, ma da voi verrebbe il disastro, e ne sareste responsabili davanti al Signore e agli uomini.

Diligenza, osservazione, discernimento, prudenza!

La pietra, il mattone, la trave debole, che in un muro Maestro sarebbero rovina, possono servire per parti di minore importanza, e servire bene.

Così dovete saper scegliere.

Con carità per non disgustare le deboli parti, con fermezza per non disgustare Dio e rovinare il suo Edificio.

E se vi accorgete che una pietra, già posta a sorreggere un angolo Maestro, non è buona o non è equilibrata, siate coraggiosi, audaci, e sappiatela levare da quel posto, mortificatela squadrandola con lo scalpello di un santo zelo.
Se urla di dolore non importa. Vi benedirà poi nei secoli, perchè voi l'avrete salvata. Spostatela, mettetela ad altro ufficio. Non abbiate paura anche di allontanarla del tutto se la vedete oggetto di scandalo e rovina, ribelle al vostro lavoro. Meglio poche pietre che molta zavorra.

Non abbiate fretta. Dio non ha mai fretta, ma ciò che crea è eterno, perchè ben ponderato prima di eseguirlo.

Se non eterno, è duraturo quanto i secoli. Guardate l'Universo. Da secoli, da migliaia di secoli, è come Dio lo fece con operazioni successive. Imitate il Signore.

Siate perfetti come il Padre vostro.
Abbiate la sua Legge in voi, il suo Regno in voi.
E non fallirete.

Ma, se non foste così, crollerebbe l'edificio, invano vi sareste affaticati a innalzarlo. Crollerebbe rimanendo di esso unicamente la pietra angolare, le fondamenta... Così come avverrà di quello!... In verità vi dico che di quello così sarà. E così del vostro se metterete in esso ciò che è in questo: le parti malate di orgoglio, di avidità, di peccato, di lussuria. Come si è disfatto per soffio di vento quel padiglione di nuvole che pareva posare, così vagamente bello, sulla cima di quel monte, ugualmente, al soffiare di un vento di castigo soprannaturale e umano, crolleranno gli edifici che di santo non hanno che il nome
... ».

Gesùtace pensoso. Quando riparla è per ordinare:
«Sediamoci qui a riposare un poco».

Si siedono su un pendio del monte Uliveto, di faccia al Tempio baciato dal sole calante. Gesù guarda fisso quel luogo, con mestizia. Gli altri con orgoglio per la sua bellezza, ma sull'orgoglio è steso un velo di cruccio, lasciato dalle parole del Maestro. E se quella bellezza dovesse proprio perire?...

Pietro e Giovanni parlano fra di loro e poi sussurrano qualcosa a Giacomo d'Alfeo e ad Andrea, loro vicini, i quali annuiscono col capo. Allora Pietro si rivolge al Maestro e gli dice:
«Vieni in disparte e spiegaci quando avverrà la tua profezia sulla distruzione del Tempio. Daniele ne parla, ma se fosse come lui dice e come Tu dici, poche ore avrebbe ancora il Tempio. Ma noi non vediamo eserciti nè preparativi di guerra. Quando dunque avverrà? Quale sarà il segno di esso? Tu sei venuto. Tu, dici, stai per andare via. Eppure si sa che essa non sarà che quando Tu sarai fra gli uomini. Tornerai, allora? Quando, questo tuo ritorno? Spiegaci, perchè noi si possa sapere...».

«Non occorre mettersi in disparte. Vedi? Sono rimasti i discepoli più fedeli, quelli che saranno a voi dodici di grande aiuto. Essi possono sentire le parole che dico a voi. Venitemi tutti vicino!», grida in ultimo per radunare tutti.

I discepoli, sparsi sul pendio, si avvicinano, fanno un mucchio compatto, stretto intorno a quello principale di Gesù coi suoi apostoli, e ascoltano.

«Badate che nessuno vi seduca in futuro. Io sono il Cristo e non vi saranno altri Cristi. Perciò, quando molti verranno a dirvi: "Io sono il Cristo" e sedurranno molti, voi non credete a quelle parole, neppure se saranno accompagnate da prodigi. Satana, padre di menzogna e protettore dei menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non buoni perchè sempre uniti a paura, turbamento e menzogna.
I prodigi di Dio voi li conoscete: dànno pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no.

Perciò riflettete sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece le belve che rovinano gli stessi.
Sentirete anche, e vedrete anche, parlare di guerre e di rumori di guerre e vi diranno: "Sono i segni della fine". Non turbatevi. Non sarà la fine.

Bisogna che tutto questo avvenga prima della fine, ma non sarà ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo, regno contro regno, nazione contro nazione, continente contro continente, e seguiranno pestilenze, carestie, terremoti in molti luoghi. Ma questo non sarà che il principio dei dolori.

Allora vi getteranno nella tribolazione e vi uccideranno, accusandovi di essere i colpevoli del loro soffrire e sperando di uscirne col perseguitare e distruggere i miei servi.

Gli uomini fanno sempre accusa agli innocenti di esser causa del male che essi, peccatori, si creano.
Accusano Dio stesso, perfetta Innocenza e Bontà suprema, di esser causa del loro soffrire, e così faranno con voi, e voi sarete odiati per causa del mio Nome.
È Satana che li aizza. E molti si scandalizzeranno e si tradiranno e odieranno a vicenda. È ancor Satana che li aizza. E sorgeranno falsi profeti che indurranno molti in errore. Ancora sarà Satana il vero autore di tanto male. E per il moltiplicarsi dell'iniquità si raffredderà la carità in molti.

Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo.

E prima bisogna che questo Vangelo del Regno di Dio sia predicato in tutto il mondo, testimonianza a tutte le nazioni. Allora verrà la fine. Ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie e predicazione della mia Dottrina in tutto il mondo.

E poi un altro segno.
Un segno per la fine del Tempio e per la fine del mondo. Quando vedrete l'abominazione della desolazione predetta da Daniele - chi mi ascolta bene intenda, e chi legge il Profeta sappia leggere fra le parole - allora chi sarà in Giudea fugga sui monti, chi sarà sulla terrazza non scenda a prendere quanto ha in casa, e chi è nel suo campo non torni in casa a prendere il suo mantello, ma fugga senza volgersi indietro, chè non gli accada di non poterlo più fare, e neppure si volga nel fuggire a guardare, per non conservare nel cuore lo spettacolo orrendo e insanire per esso.
Guai alle gravide e a quelle che allatteranno in quei giorni! E guai se la fuga dovesse compiersi in sabato! Non sarebbe sufficiente la fuga a salvarsi senza peccare. Pregate dunque perchè non avvenga in inverno e in giorno di sabato, perchè allora la tribolazione sarà grande quale mai non fu dal principio del mondo fino ad ora, nè sarà mai più simile perchè sarà la fine.

Se non fossero abbreviati quei giorni in grazia degli eletti, nessuno si salverebbe, perchè gli uomini-satana si alleeranno all'inferno per dare tormento agli uomini.

E anche allora, per corrompere e trarre fuori della via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore, sorgeranno quelli che diranno: "Il Cristo è là, il Cristo è qua. È in quel luogo. Eccolo".

Non credete.
Nessuno creda, perchè sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di Dio che li illuminerà sulla verità e l'origine satanica di tali prodigi e dottrine.

Io ve lo dico. Io ve lo predico perchè voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in tentazione e in rovina. Ricordate ciò che vi ho detto: (Vol 4 Cap 280, dove la frase qui riportata tra virgolette [e che figura in Luca 10, 19] è solo sottintesa, mentre vi si leggono quasi testualmente le esortazioni che Gesù, subito dopo, ricorda ai discepoli: Vi ricordo ...)
"Vi ho dato il potere di camminare su serpenti e scorpioni, e di tutta la potenza del Nemico nulla vi nuocerà, perchè tutto vi sarà soggetto".
Vi ricordo anche però che per ottenere questo dovete avere Dio in voi, e rallegrarvi dovete, non perchè dominate le potenze del Male e le venefiche cose, ma perchè il vostro nome è scritto in Cielo.

State nel Signore e nella sua verità.

Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete.

Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: "È nel deserto", non andate. Se vi dicono: "È in quella casa", non date retta.

Perchè il Figlio dell'uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra.
E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti angeli, e giudicherà.

Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile. E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta - parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti (Ezechiele 37, 1-14) - si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno.

E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell'uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell'uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria.

Ed Egli comanderà ai suoi angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perchè sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perchè non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta.
E comanderà ai suoi angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un'estremità all'altra dei cieli, perchè siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti.

Dal fico imparate la similitudine: quando vedete che il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che vicina è l'estate.

Così anche, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Cristo sta per venire.

In verità vi dico: non passerà questa generazione che non mi volle, prima che tutto ciò avvenga.
(Precisazione aggiunta alla parola generazione, manca negli Evangelisti: Matteo 24, 34; Marco 13, 30; Luca 21, 32. Essa chiarisce che non si tratta di "generazione" in senso stretto, e conferma quanto detto sopra, cioè che "verrà la fine" quando vi sarà il "ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie". Stesso concetto, per esempio, al Vol 4 Capp 258 e 265 e al capitolo 580).

La mia parola non cade. Ciò che dico sarà. Il cuore e il pensiero degli uomini possono mutare, ma non muta la mia parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Quanto poi al giorno e all'ora precisa, nessuno li conosce, neppure gli angeli del Signore, ma soltanto il Padre li conosce.

Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell'uomo. Nei giorni precedenti al diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del segno sino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa.
(Segno, cioè l'ordine avuto da Noè di preparare l'arca per salvare tutte le specie animali. Per questa e altre citazioni di Noè e della sua arca, per esempio al Vol 2 Cap 140, al Vol 3 Cap 176 e al Vol 8 Cap 525, rimandiamo a: Genesi 6-9).

Anche così sarà per la venuta del Figlio dell'uomo.

Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli angeli separanti il buon seme dal loglio, e non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo.

Vegliate dunque perchè non sapete a che ora verrà il vostro Signore.

Ripensate a questo: se il capo di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa.

Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga improvviso quando siete impreparati.

Perchè, ricordate, tutti avete a morire.

Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell'uomo.

Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza?
Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all'improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore.
In verità vi dico che gli dirà: "Vieni, servo buono e fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni".

Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e nell'interno suo era cattivo come all'esterno era ipocrita, e partito il padrone dirà in cuor suo: "Il padrone tarderà a tornare! Diamoci al bel tempo", e comincerà a battere e malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubriaconi, che avverrà?
Che il padrone tornerà all'improvviso, quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà.

E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo: "Poi mi pentirò". In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesùche egli non volle per Salvatore.

Tutti là accolti davanti al Figlio dell'uomo. Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tanto tempo. E gli spiriti nei corpi. Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito, quello che l'animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell'uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi angeli.

Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall'altro i cattivi, come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra.

E dirà con dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l'amore del loro cuore:
"Venite, o benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall'origine del mondo. Perchè ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto".
E i giusti gli chiederanno: "Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?".

E il Re dei re dirà loro: "In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me".

E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l'ira di Dio:
"Via di qua! Via da Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perchè non avevate che una legge: il piacere del vostro io".

Ed essi gli diranno: "Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra".

Ed Egli risponderà loro:
"È vero. Non mi avete conosciuto. Perchè non eravate quando Io ero sulla Terra. Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perchè non avete fatto ad essi ciò che forse avreste fatto a Me? Perchè non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell'uomo.
Non sapete che nei miei fratelli Io sono, e dove è uno di essi che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini? Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perchè tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d'Amore".

E costoro andranno all'eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna.

Queste le cose future...

Ora andate. E non dividetevi fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni
».

«Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? Io sono tutto indolenzito dalle guazze. Non sarebbe meglio entrare ormai in qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e nelle notti, che sono fresche e umide...» , si lamenta Giuda.

«È l'ultima notte. Domani... sarà diverso».

«Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le notti. Ma se è l'ultima ...».

«Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l'ultima notte da passare al campo dei Galilei tutti uniti. Domani prepareremo la Pasqua e consumeremo l'agnello, e poi andrò Io solo a pregare nel Getsemani. E voi potrete fare ciò che volete».

«Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo voglia di lasciarti?», dice Pietro.

«Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi vede. Vi tengo d'occhio. Al Tempio... nel giorno... nelle tende lassù...», dice l'Iscariota, lieto di denunciare.

«Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi lasciate solo... Io ve ne prego...».

«Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le nostre azioni sono note a Dio ed il suo occhio non si torce da esse con disgusto», dice lo Zelote.

«Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre essere dannoso. State il più possibile uniti».

Poi si volge a Matteo: «Tu, mio buon cronista, ripeterai a costoro la parabola delle dieci vergini savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei talenti ai suoi tre servi perchè li facciano fruttare, e due ne guadagnano il doppio e l'infingardo lo sotterra. Ricordi?».
(Le parabole, che Gesùha narrato al Vol 3 Cap 206 e al Vol 4 Cap 281, ma che il Vangelo di Matteo riporta insieme con i discorsi del presente capitolo.)
«Sì, Signor mio, esattamente».

«Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E anche quelli che le sanno avranno piacere a riascoltarle.
Passate così in sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete desto il vostro spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che dissi. Addio. La pace sia con voi
».

Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso la città... Gli altri si avviano verso il campo galileo.


Dice Gesù:
«Metterai qui la seconda parte del faticosissimo Mercoledì Santo. Notte (1945). Ricordati di segnare in rosso i punti che ti ho detto. Dànno luce quelle parolette. Tanta luce, per chi la sa vedere». (Quelle parolette, che MV ha riquadrato con segni di matita rossa sul manoscritto originale, sono del resto e manderò, e si trovano in corsivo al presente capitolo. Casi analoghi ai capitoli 577 e 592).

Mercoledì notte al Getsemani con gli apostoli

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«Vi ho detto:
"State attenti, vegliate e pregate perchè non siate trovati appesantiti da sonno".
Ma Io vedo che i vostri occhi stanchi cercano di chiudersi e i vostri corpi, anche senza volere, cercano pose di riposo. Avete ragione, poveri amici miei! Il vostro Maestro ha molto voluto da voi in questi giorni, e voi siete tanto stanchi.

Ma fra poche ore, ormai poche ore, sarete contenti di non avere perduto neppure un momento della mia vicinanza. Contenti sarete di non aver nulla rifiutato al vostro Gesù.

Del resto, è l'ultima volta che vi parlo di queste cose di lacrime. Domani vi parlerò d'amore e vi farò un miracolo tutto d'amore.

Preparatevi con una grande purificazione a riceverlo.

Oh! come è più consono al mio Io parlare d'amore che parlare di castigo!

Come m'è dolce dire:
"Io vi amo. Venite. Per tutta la mia vita ho sognato quest'ora"! Ma è amore anche il parlare di morte. È amore in quanto la morte, per coloro che vi amano, è la suprema prova d'amore.

È amore perchè preparare i cari amici alla sventura è previdenza d'affetto che li vuole pronti e non sbigottiti in quell'ora.

È amore perchè confidare un segreto è prova della stima che si ha in coloro ai quali lo si confida.

So che avete tempestato di inchieste Giovanni per sapere che gli dissi quando rimasi con lui solo. E non avete creduto che non vi fossero parole. Ma così è. Mi è bastato avere vicino una creatura
...».

«Perchè allora lui e non un altro?», chiede l'Iscariota. E lo chiede con alterigia sdegnata.

Anche Pietro e con lui Tommaso e Filippo dicono: «Sì. Perchè a lui e non agli altri?».

Gesùrisponde all'Iscariota.
«Avresti voluto essere tu? Lo puoi pretendere? Era un fresco e sereno mattino di adar... Io ero uno sconosciuto viandante sulla via presso il fiume... Stanco, polveroso, impallidito dal digiuno, la barba incolta, rotti i sandali, parevo un mendico per le vie del mondo...
Lui mi vide... e mi riconobbe per quello sul quale era scesa la Colomba di fuoco eterno. In quella mia prima trasfigurazione certo un atomo del mio divino splendore deve essersi rivelato.
Gli occhi aperti dalla Penitenza del Battista e quelli conservati angelici dalla Purezza videro ciò che gli altri non videro. E gli occhi puri portarono quella visione nel tabernacolo del cuore, ve la serrarono come perla in scrigno... Quando si alzarono dopo quasi due mesi sul lacero viandante (come è stato già chiarito al Vol 1 Cap 47), la sua anima mi riconobbe...
Ero il suo amore.
Il suo primo ed unico amore.
Il primo ed unico amore non si dimentica.
L'anima lo sente venire, anche se si è allontanato, lo sente venire da lontananze remote, e trasale di gioia, e sveglia la mente, e questa la carne, perchè tutte partecipino al banchetto della gioia di ritrovarsi e di amarsi.

E la bocca tremante mi disse:
"Ti saluto, Agnello di Dio".

Oh! fede dei puri, come sei grande! Come superi tutti gli ostacoli! Non sapeva il mio Nome. Chi ero? Donde venivo? Che facevo? Ero ricco? Ero povero? Ero sapiente? Ero ignorante? Che fa, sapere tutto questo per la fede? Aumenta o diminuisce per sapere?

Egli credeva a quanto gli aveva detto il Precursore. Come stella che trasmigra, per ordine creativo, dall'uno all'altro cielo, egli s'era staccato dal suo cielo, il Battista, dalla sua costellazione, ed era venuto verso il suo nuovo cielo, il Cristo, nella costellazione dell'Agnello.

Ed è la stella non la più grande, ma è la più bella e pura della costellazione d'amore.

Sono passati tre anni da allora. Stelle e stelline si sono unite e poi staccate alla mia costellazione. Talune sono precipitate e morte. Altre si sono fatte fumose per pesanti vapori.

Ma egli è rimasto fisso con la sua pura luce presso la sua Polare.

Lasciatemi guardare la sua luce. Due saranno le luci nelle tenebre del Cristo: Maria, Giovanni.

Ma non potrò quasi vederle tanto sarà il dolore. Lasciate che Io mi imprima nella pupilla queste quattro iridi che sono lembi di cielo fra ciglia bionde, per portare con Me, dove nessuno potrà venire, un ricordo di purezza. Tutto il peccato! Tutto sopra le spalle dell'Uomo!

Oh! Oh! questa stilla di purezza!... Mia Madre! Giovanni! Ed Io!... I tre naufraghi emergenti dal naufragio di un'umanità nel mare del Peccato!

Sarà l'ora in cui Io, il rampollo della stirpe davidica, gemerò l'antico sospiro di Davide.
(È l'inizio di una serie di citazioni e allusioni che rimandano a: Salmo 22, 2.7.13-19; Isaia 50, 6; 53; 63, 3).

"Dio mio, volgiti a Me.
Perchè mi hai abbandonato? Da Te mi allontanano le grida dei delitti che ho preso per tutti ...Io sono un verme, non più un uomo, l'obbrobrio degli uomini, il rifiuto della plebe".

E udite Isaia:
"Ho abbandonato il mio corpo ai percuotitori, le mie guance a chi mi strappava la barba, non ho allontanato la faccia da chi mi oltraggiava e mi copriva di sputi".

Udite di nuovo Davide:
"Molti giovenchi mi hanno circondato, molti tori mi hanno assalito. Su di Me hanno spalancato la bocca per dilaniarmi come leoni che sbranano e ruggono. Io mi sono disciolto come acqua".

E Isaia completa:
"Da Me stesso mi sono tinto le vesti".

Oh! le mie vesti da Me stesso le tingo, non col mio furore, ma col mio dolore e l'amor mio per voi. Come le due pietre piatte dello strettoio, essi mi strizzano e mi spremono il Sangue. Non diverso sono dal grappolo pressato, che entrò bello nella stretta e dopo è poltiglia spremuta senza succo e bellezza.

Ed il mio cuore, dico con Davide, "diventa come cera e si strugge dentro al mio petto".

Oh! Cuore perfetto del Figlio dell'uomo, or che diventi? Simile a quello che una lunga vita di bagordi rende sfatto e senza vigore. Tutto il mio vigore si dissecca. La lingua mi resta attaccata al palato per febbre e agonia. E la morte si avanza nella sua cenere che asfissia e acceca.

E ancora non c'è pietà!
"Un branco, una muta di cani mi assedia e mi morde. Sulle ferite cadono i morsi. Sui morsi le bastonate. Non un lembo di Me è senza dolore. Le ossa scricchiolano slogate nello stiramento infame. Non so dove appoggiare il mio corpo. La tremenda corona è cerchio di fuoco che penetra nel capo. Pendo dalle mani e dai piedi trafitti. Altolevato, presento il mio corpo al mondo e tutti possono contare le mie ossa"
... ».

«Taci! Taci!», singhiozza Giovanni.

«Non dire più! Ci fai agonizzare! », supplicano i cugini.

Andrea non parla, ma ha posto il capo fra i ginocchi e piange senza rumore.

Simone è livido. Pietro e Giacomo di Zebedeo paiono alla tortura. Filippo, Tommaso, Bartolomeo sembrano tre statue di pietra esprimenti angoscia.

Giuda Iscariota è una maschera macabra, demoniaca. Pare un dannato che finalmente comprenda ciò che ha fatto. A bocca aperta su un urlo che gli ulula dentro e che viene serrato nella strozza, gli occhi dilatati, spauriti del pazzo, le guance terree sotto il velo brunetto della barba rasa, i capelli spettinati perchè ogni tanto se li scompiglia con la mano, sudato e freddo, sembra prossimo a svenirsi.

Matteo, alzando lo sguardo atterrato per cercare un aiuto al suo tormento, lo vede e dice: «Giuda! Stai male?... Maestro, Giuda soffre!».

«Io pure», dice Cristo.
«Ma Io soffro con pace. Divenite spiriti per potere sopportare l'ora. Un che sia "carne" non la può vivere senza divenire folle...

Parla ancora Davide, che vede le torture del suo Cristo:
"Ancora non sono contenti e mi guardano e deridono e si dividono le mie spoglie gettando la sorte sulla tunica".

Io sono il Malfattore. È; il loro diritto.

Oh! Terra, guarda il tuo Cristo!
Sappilo riconoscere, benchè così distrutto.

Ascolta, ricorda le parole di Isaia e comprendi il perchè, il grande perchè Egli così divenne, e l'uomo potè uccidere, riducendolo in quello stato, il Verbo del Padre.

"Egli non ha bellezza nè splendore. Lo abbiamo veduto. Non era di bell'aspetto. E non lo abbiamo amato. Disprezzato, come l'ultimo degli uomini, Egli, l'Uomo dei dolori assuefatto a patire, teneva nascosto il volto. Era vilipeso e noi non ne facemmo alcun conto".

Era la sua bellezza di Redentore questa maschera di torturato. Ma tu, Terra stolta, preferivi il suo volto sereno!

Veramente Egli ha preso sopra di Sè i nostri mali, ha portato i nostri dolori. E noi lo abbiamo guardato come un lebbroso, come un maledetto da Dio e un disprezzato.

Egli invece è stato piagato per le nostre scelleratezze.
Su di Lui è caduto il castigo a noi riserbato, il castigo che ci ridona la pace con Dio. Per le sue lividure siamo risanati.

Eravamo come pecore erranti. Ognuno aveva deviato la retta via e il Signore pose addosso a Lui le iniquità di tutti".

Colui, coloro che pensano d'aver giovato a se stessi e ad Israele si disilludano. E così coloro che pensano essere stati più forti di Dio. E così coloro che pensano di non avere da rendere colpa per questo peccato solo perchè Io mi lascio uccidere di buona volontà.

Io faccio il mio compito santo, la perfetta ubbidienza al Padre.

Ma ciò non esclude la loro ubbidienza a Satana e il loro compito nefando.

Sì. È stato sacrificato perchè l'ha voluto, o Terra, il tuo Redentore.
"Non ha aperto bocca per dire una parola di preghiera onde essere risparmiato, nè una parola di maledizione per i suoi assassini.
Come una pecorella si è lasciato condurre al macello per essere ucciso, come agnello muto portato davanti a chi lo tosa".

"Dopo la cattura e la condanna fu innalzato. Non avrà generazione. Come una pianta è stato reciso dalla Terra dei viventi. Dio lo ha percosso per il peccato del suo popolo. Non un della sua generazione della sua Terra lo compiangerà? Non avrà figli il reciso dalla Terra?".

Oh! Io ti rispondo, o profeta del tuo Cristo. Se il mio popolo non avrà compianti per l'Ucciso senza colpa, gli angeli del popolo celeste lo compiangeranno.

Se la sua virilità non avrà umanamente figli, perchè la sua Natura non poteva trovare connubio con carne mortale, Egli bene avrà figli e figli secondo un generare che non dalla carne e dal sangue animale, ma dall'amore e dal Sangue divino avrà vita, una generazione dello spirito per cui eterna sarà la sua prole.

E ancora ti spiego, o mondo che non capisci il profeta, chi sono gli empi messi alla sua sepoltura e il ricco alla sua morte. Guarda, o mondo, se uno solo dei suoi uccisori ebbe pace e lunga vita!

Egli, il Vivente, presto lascerà la morte. Ma, come foglie che il vento di autunno una per una adagia nella piega del solco dopo averle staccate con ripetute raffiche, uno per uno saranno presto adagiati nella ignobile sepoltura che per Lui era stata decretata; e un che per l'oro visse potrebbe, se lecito fosse mettere l'immondo dove fu il Santo, potrebbe esser deposto dove ancora sarà l'umido delle innumerevoli ferite della Vittima immolata sul monte.

Accusato senza colpe, Dio ne fa le sue vendette, perchè mai frode fu sulla sua bocca nè iniquità nel suo cuore.

Consumato coi patimenti. Ma a consumazione avvenuta, a vita recisa per sacrificio di espiazione, avrà inizio la sua gloria presso i futuri. Tutti i desideri e le sante volontà di Dio per Lui andranno ad effetto.

Per gli affanni dell'anima sua vedrà la gloria del vero popolo di Dio e ne sarà beato.

La sua celeste dottrina, che Egli sigillerà col suo Sangue, sarà la giustificazione di molti che son fra i migliori, e dei peccatori prenderà l'iniquità.

Per questo avrà una grande moltitudine, o Terra, questo Re sconosciuto che i perfidi derisero, che i migliori non compresero.

E coi suoi Egli dividerà le spoglie dei vinti, Egli dividerà le spoglie dei forti, unico Giudice dei tre regni e del Regno.

Tutto ha meritato perchè tutto dette.

Tutto a Lui sarà consegnato, perchè Egli consegnò la sua vita alla morte e fu annoverato fra i malfattori, Egli che era senza peccato.

Senza altro peccato che non fosse un perfetto amore, una infinita bontà.

Due colpe che il mondo non perdona, un amore ed una bontà che lo spinsero a prendere su di Sè i peccati di molti, di tutto il mondo, ed a pregare per i peccatori. Per tutti i peccatori. Anche per quelli per cui fu messo a morte.

Ho finito.
Non ho altro da dire.
Tutto è detto di quanto volevo dirvi delle profezie messianiche. Dalla nascita alla morte ve le ho tutte illustrate, perchè mi conosceste e non aveste dubbi. E non aveste scuse al vostro peccato.

Ora preghiamo insieme. È l'ultima sera che possiamo pregare così, tutti uniti come acini al grappolo che li regge. Venite. Oriamo.
"Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato il tuo Nome. Venga il tuo Regno. Sia fatta la tua Volontà, in Terra come è fatta in Cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Così sia".

"Sia santificato il tuo Nome". Padre, Io l'ho santificato. Pietà del tuo Germe.

"Venga il tuo Regno". Per fondarlo Io muoio. Pietà di Me.

"Sia fatta la tua Volontà". Soccorri la mia debolezza, Tu che hai creato la carne dell'uomo e di essa hai rivestito il tuo Verbo perchè Io quaggiù ti ubbidisca così come sempre ti ho ubbidito in Cielo. Pietà del Figlio dell'uomo.

"Dacci il Pane"... Per l'anima un pane. Un pane non di questa Terra. Non per Me lo chiedo. Non ho più bisogno che del tuo spirituale conforto. Ma per essi Io, Mendico, ti tendo la mano. Fra poco sarà trafitta e confitta, e più non potrà fare gesto d'amore. Ma ora può ancora.
Padre, concedimi di dare loro il Pane che giornalmente fortifica la debolezza dei poveri figli di Adamo. Essi sono deboli, o Padre, inferiori sono, perchè non hanno il Pane che è forza, l'angelico Pane che spiritualizza l'uomo e lo conduce a divenire divinizzato in Noi.

"Rimetti a noi i nostri debiti"
... ».
Gesù, che ha parlato in piedi e pregato a braccia aperte, ora si inginocchia e alza le braccia e il volto al Cielo. Un volto sbiancato dalla forza del supplicare e dal bacio della luna, rigato da un tacito pianto.
«Al Figlio tuo perdona, o Padre, se in qualche cosa ti mancò. (Il senso di una simile richiesta di perdono per Sè è stato illustrato da Gesùstesso al Vol 1 Cap 44. Inoltre appare nel presente contesto che Gesù-Uomo non ha colpe da farsi perdonare: "Il mio cosciente intelletto mi assicura di avere tutto fatto per essi"; e tuttavia Egli si fa carico della richiesta di pietà e perdono che dovrebbe salire da tutto il genere umano: "Per Me, o Padre, considera annullato ogni debito dell'uomo all'Uomo").
Alla tua Perfezione posso ancor apparire imperfetto, Io, tuo Cristo che la carne aggrava. Agli uomini... no. Il mio cosciente intelletto mi assicura di avere tutto fatto per essi. Ma Tu perdona al tuo Gesù... Io pure perdono. Perchè Tu mi perdoni, Io perdono. Quanto devo perdonare! Quanto! ... Eppure perdono. A questi presenti, ai discepoli assenti, ai sordi di cuore, ai nemici, ai derisori, ai traditori, agli assassini, ai deicidi...
Ecco. Ho perdonato a tutta l'Umanità. Per Me, o Padre, considera annullato ogni debito dell'uomo all'Uomo. Per dare a tutti il tuo Regno Io muoio, e non voglio sia ascritto a condanna il peccare verso l'Amore incarnato. No? Tu dici no? È il mio dolore. Questo "no" mi infonde nel cuore il primo sorso del calice atroce. Ma, Padre che sempre ho ubbidito, Io ti dico: "Sia fatto come Tu vuoi".

"Non ci indurre in tentazione". Oh! se Tu vuoi, ci puoi allontanare il demonio! È lui la tentazione che aizza la carne, la mente, il cuore. È lui il Seduttore. Allontanalo, Padre! Il tuo arcangelo in nostro favore! A fugare quello che dalla nascita alla morte ci insidia!...
Oh! Padre santo, pietà dei tuoi figli!


"Liberaci, liberaci dal male!". Tu lo puoi. Noi qui piangiamo... È tanto bello il Cielo e temiamo di perderlo.
Tu dici: "Il mio Santo non lo può perdere". Ma Io voglio Tu veda in Me l'Uomo, il Primogenito degli uomini. Sono il loro fratello. Prego per loro e con loro. Padre, pietà! Oh! pietà!
...». "

Gesùsi curva fino a terra. Poi si alza:
«Andiamo. Salutiamoci questa sera. Domani sera non ne avremo più modo. Saremo troppo turbati. E amore non è dove è turbamento. Diamoci il bacio di pace. Domani... domani ognuno sarà di sè stesso... Questa sera ancora possiamo essere uno per tutti e tutti per uno».

E li bacia, uno per uno, cominciando da Pietro, poi Matteo, Simone, Tommaso, Filippo, Bartolomeo, l'Iscariota, i due cugini, Giacomo di Zebedeo, Andrea e ultimo Giovanni, al quale poi resta appoggiato mentre escono dal Getsemani.


Giovedì Santo. Preparativi per la Cena pasquale. La voce del Padre. Il segno convenuto con il traditore. L'ossequio di persone ragguardevoli

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Un nuovo mattino. Così sereno! Così festoso! Non ci sono più neppure le nuvole rare che ieri vagavano lentamente sul cobalto del cielo. Non c'è neppure l'afa pesante che ieri era gravosa tanto. Una brezza sottile alita sui volti. E sa di fiori, sa di fieni, sa di aria pulita. E smuove lentamente le foglie degli ulivi. Sembra voglia far ammirare l'argenteo delle fogliette lanceolate e spargere fiori, piccoli, candidi, odorosi, sui passi di Cristo, sul suo capo biondo, baciarlo, rinfrescarlo - perchè ogni minuto calice ha la sua stilluzza di rugiada - baciarlo, rinfrescarlo e poi morire prima di vedere l'orrore incombente.
E si inchinano le erbe dei clivi scuotendo le campanelle, le corolle, le palmette dei mille fiori. Stelle dal cuore d'oro, le grosse margherite selvagge stanno alte sullo stelo come per baciargli la mano che sarà trafitta, e le pratoline e le matricarie gli baciano i piedi generosi, che si fermeranno dall'andare per il bene degli uomini solo quando saranno inchiodati per dare un bene maggiore ancora, e le rose canine odorano e il biancospino che non ha più fiori agita le foglie dentellate. Pare che dica: «No, no» a quelli che lo useranno per dare tormento al Redentore. E «no» dicono le canne del Cedron. Anche loro non vogliono colpire, la loro volontà di piccole cose non vuol fare male al Signore.
E forse anche i sassi delle chine si felicitano di essere fuori di città, sull'Uliveto, perchè in tal modo, no, non feriranno il Martire. E piangono gli esili convolvoli rosati, che Gesù amava tanto, e i corimbi delle acacie candide come grappoli di farfalle strette a uno stelo, forse pensando: «Non lo vedremo più». E i miosotis, così esili e puri, lasciano cadere la loro corolla al tocco della veste porpurea che Gesùha indossato di nuovo. Deve essere bello morire quando cosa che è di Gesù colpisce.
Tutti i fiori, anche uno sperso mughetto, forse caduto là incidentalmente e che si è radicato fra le radici sporgenti di un olivo, è felice di esser scorto e colto da Tommaso e offerto al Signore...
E felici sono i mille uccelli fra i rami di salutarlo con canti di gioia.
Oh! che non lo bestemmiano gli uccelli che Egli ha sempre amato! Persino un branchetto di pecore sembra volerlo salutare benchè siano in pianto, orbate come sono dei figli venduti per il sacrificio pasquale. E belando, un lamento di madri per l'aria, chiamando i figli che non torneranno più, vengono a sfregarsi presso Gesù, guardandolo con lo sguardo mite.

La vista delle pecore richiama gli apostoli al pensiero del rito e interrogano Gesùquando sono quasi al Getsemani.

«Dove andremo a consumare la Pasqua? Che luogo scegli? Dillo, e noi andremo ad apparecchiare ogni cosa», dicono.

E Giuda di Keriot: «Dammi ordini e andrò».

«Pietro. Giovanni. Sentitemi».

I due, che erano un poco avanti, si fanno vicino a Gesù che li ha chiamati.

«Precedeteci ed entrate in città per la porta del Letame. Appena entrati, incontrerete un uomo che torna da En Rogel con una brocca di quella buon'acqua. Seguitelo finchè entra in una casa. Direte a colui che è in essa:
"Il Maestro dice: ‘Dove è la stanza dove Io possa mangiare la Pasqua coi miei discepoli?’".
Egli vi mostrerà un gran cenacolo pronto. Apparecchiate in esso ogni cosa. Andate solleciti e poi raggiungeteci al Tempio
».

I due partono in tutta fretta.

Gesù procede invece lentamente.
Tanto è ancor fresca mattina e le strade che immettono nella città mostrano appena i primi pellegrini. Valicano il Cedron sul ponticello che è prima del Getsemani. Entrano in città. Le porte, forse per un contrordine di Pilato, rassicurato dalla assenza di dispute intorno a Gesù, non sono più sorvegliate dai legionari. Infatti la massima calma regna in ogni luogo.

Oh! non si può dire che non abbiano saputo contenersi i giudei!
Nessuno ha molestato il Maestro nè i suoi discepoli. Ossequi bene educati, se non affettuosi, lo hanno sempre salutato, anche se quelli che li davano erano i più astiosi del Sinedrio. Una sopportazione inarrivabile ha accompagnato anche la requisitoria di ieri.
Ed ecco che proprio anche ora, poichè la casa di campagna di Caifa è proprio vicina a quella porta, ecco che proprio ora passa, venendo da essa, un folto gruppo di farisei e di scribi, fra i quali il figlio di Anna ed Elchia con Doras e Sadoc, ed è un piegarsi di schiene ammantate ampiamente, che ossequiano fra ondeggiamenti di vesti e frange e copricapi amplissimi.

Gesù saluta e passa, regale nella sua veste di lana rossa e nel manto più cupo di tinta, il copricapo di Sintica nella mano, il sole che fa dei suoi capelli rosso-rame un serto d'oro e un velo lucente giù sino agli omeri. Le schiene si alzano dopo il suo passaggio e appaiono i volti: di iene idrofobe.

Giuda di Keriot, che guardava sempre intorno con la sua faccia di traditore, con la scusa di riallacciarsi un sandalo si fa ai margini della via e, lo vedo bene, fa un cenno a quei tali che lo attendano...
Lascia che il gruppo di Gesù e dei discepoli vada avanti, sempre lavorando intorno alla fibbia del suo sandalo per darsi un contegno, poi rapido passa vicino a quelli e sussurra:
«Alla Bella. Verso sesta. Un di voi», e sfreccia via veloce raggiungendo i compagni. Franco, spudoratamente franco!...

Salgono al Tempio. Pochi ebrei ancora. Ma molti gentili.
Gesù va ad adorare il Signore. Poi torna indietro e ordina a Simone e Bartolomeo di comperare l'agnello facendosi dare denari da Giuda di Keriot.

«Ma potevo fare io!», dice questi.

«Avrai altro da fare. Lo sai. Vi è quella vedova alla quale portare l'obolo di Maria di Lazzaro e dirle che dopo le feste vada a Betania, da Lazzaro. Lo sai dove sta? Hai capito bene?».

«So, so! Mi ha mostrato il luogo Zaccaria che la conosce bene». E aggiunge:
«Sono molto contento di andare. Più che andare per l'agnello. Quando vado?».

«Più tardi. Non mi fermerò molto qui. Riposerò oggi, volendo esser forte per questa sera e per la mia orazione notturna».

«Va bene».

Ecco, io mi chiedo: Gesù, che aveva così taciuto nei giorni scorsi ogni suo proposito per non dare particolari a Giuda, perchè ora dice, ripete ciò che farà nella notte? La Passione è già iniziata con la cecità di preveggenza, o è questa preveggenza tanto aumentata che Egli legge nei libri dei Cieli che quella è «la notte» e che perciò bisogna farlo sapere a chi attende di saperlo per consegnarlo ai nemici, o lo ha sempre saputo che in quella notte deve iniziarsi la sua immolazione?
Io non so darmi risposta.
Gesù non mi dà risposta.
E io resto nei miei perchè, mentre osservo Gesù che risana gli ultimi malati. Gli ultimi... Domani, fra poche ore, non potrà più...
La Terra sarà privata del potente Risanatore di corpi.
La Vittima, però, sul suo patibolo inizierà la serie, ininterrotta da venti secoli, dei suoi risanamenti di spiriti.

Oggi io contemplo più che descrivere. Il mio Signore mi fa proiettare la vista spirituale da ciò che io vedo accadere, nell'ultimo giorno di libertà di Cristo, a ciò che è nei secoli...
Oggi io contemplo più i sentimenti, i pensieri del Maestro che non gli avvenimenti intorno a Lui. Sono già nella comprensione angosciosa della sua tortura del Getsemani...

Gesùè sopraffatto come il solito dalla folla che è già cresciuta, che ora è, nella più parte, ebrea e che si dimentica di affrettarsi al luogo del sacrificio degli agnelli per avvicinarsi a Gesù, Agnello di Dio che sta per essere immolato.
E ancora chiede, e ancora vuole spiegazioni.
Molti sono ebrei venuti dalla Diaspora, i quali, saputo per fama del Cristo, del Profeta galileo, del Rabbi di Nazaret, sono curiosi di sentirlo parlare e ansiosi di levarsi ogni possibile dubbio. E questi si fanno largo supplicando quelli di Palestina così:
«Voi sempre lo avete. Voi sapete chi è. Voi avete la sua parola quando volete. Noi siamo venuti da lontano e ripartiremo subito dopo aver compiuto il precetto. Lasciateci andare a Lui!».

La folla si apre a fatica per cedere il posto a questi. E questi si avvicinano a Gesù e l'osservano curiosamente. Parlottano fra loro, gruppo per gruppo.

Gesùli osserva, anche se contemporaneamente ascolta un gruppo di persone venute dalla Perea. Poi, licenziate queste che gli hanno offerto denaro per i suoi poveri, così come molti fanno, ed Egli lo ha passato a Giuda come sempre, si accinge a parlare.

«Uni nella religione, ma diversi di provenienza, molti fra i presenti si chiedono: "Chi è costui che è detto il Nazareno?", e la loro speranza e il loro dubbio cozzano insieme.

Ascoltate.
(È l'inizio di un'altra serie di citazioni, testuali o parafrasate, che rimandano (nella successione biblica) a: Salmo 78, 23-25; Isaia 9, 5; 11, 1-4.10-12; 40, 10-11; 42, 1-7; 50, 6; 53, 2-12; 55, 1-3; 61, 1-2; 63, 1; Ezechiele 34, 11.16; 47, 112; Daniele 9, 24-27; Osea 14, 2; Michea 5, 3-4; Zaccaria 9, 9-10. L'ultimo dei profeti, cui si allude, è Giovanni Battista. Le profezie sono quelle di: Isaia 7, 14; Michea 5, 1).

È detto di Me:
"Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse, un fiore verrà da questa radice e sopra di Lui riposerà lo Spirito del Signore. Egli non giudicherà secondo quello che apparisce agli occhi, non condannerà per ciò che si sente con gli orecchi, ma giudicherà con giustizia i poveri, prenderà le difese degli umili.

Il germoglio della radice di Jesse, posto quale segno fra le nazioni, sarà invocato dai popoli e il suo sepolcro sarà glorioso.
Egli, alzata una bandiera alle nazioni, riunirà i profughi d'Israele, i dispersi di Giuda, li raccoglierà dai quattro punti della Terra".

È detto di Me:
"Ecco, il Signore Dio viene, con possanza, il suo braccio trionferà. Porta seco la sua mercede, ha davanti agli occhi l'opera sua. Come un pastore pascerà il suo gregge".

È detto di Me:
"Ecco il mio Servo col quale Io starò, nel quale si compiace l'anima mia. In Lui ho diffuso il mio spirito. Egli porterà giustizia fra le nazioni. Non griderà, non spezzerà la canna fessa, non spegnerà il lucignolo fumigante, farà giustizia secondo verità. Senza essere nè triste nè turbolento, giungerà a stabilire sulla Terra la giustizia, e le isole aspetteranno la sua legge".

È detto di Me:
"Io, il Signore, ti ho chiamato nella giustizia, ti ho preso per mano, ti ho preservato, ti ho fatto alleanza del popolo e luce delle nazioni per aprire gli occhi ai ciechi e trarre dal carcere i prigionieri e dalla sotterranea prigione quelli che giacciono nelle tenebre".

È detto di Me:
"Lo Spirito del Signore è sopra di Me, perchè il Signore mi ha unto ad annunziare la Buona Novella ai mansueti, a curare quelli che hanno il cuore affranto, a predicare la libertà agli schiavi, la liberazione ai prigionieri, a predicare l'anno di grazia del Signore".

È detto di Me:
"Egli è il Forte, pascerà il gregge con la fortezza del Signore, con la maestà del nome del Signore Dio suo. A Lui si convertiranno, perchè sin da ora sarà glorificato, fino agli ultimi confini del mondo".

È detto di Me: "Io stesso andrò in cerca delle mie pecorelle. Andrò in cerca delle smarrite, ricondurrò le scacciate, legherò le fratturate, ristorerò le deboli, terrò d'occhio le grasse e robuste, le pascerò con giustizia".

È detto:
"Egli è il Principe di pace e sarà la pace".

È detto:
"Ecco, viene il tuo Re, il Giusto, il Salvatore. Egli è povero, cavalca un asinello. Egli annunzierà pace alle nazioni. Il suo dominio sarà da mare a mare sino agli estremi della Terra"

È detto:
"Settanta settimane sono state fissate per il tuo popolo, per la tua città santa, affinchè sia tolta la prevaricazione, abbia fine il peccato, sia cancellata l'iniquità, venga l'eterna giustizia, siano compiute visione e profezia, e sia unto il Santo dei santi. Dopo sette più sessantadue verrà il Cristo. Dopo sessantadue sarà ucciso. Dopo una settimana Egli confermerà il testamento, ma a mezzo della settimana verranno meno le ostie e i sacrifici, e sarà nel Tempio l'abominazione della desolazione, e durerà sino alla fine dei secoli".
Mancheranno dunque le ostie in questi giorni? L'altare nonavrà vittima? Avrà la gran Vittima. Ecco, la vede il profeta: "Chi è costui che viene con le vesti tinte di rosso?
È bello nel suo vestito e cammina nella grandezza della sua forza".

E come si è tinto di porpora, Colui che è povero, la veste? Ecco, lo dice il profeta:
"Ho abbandonato il mio corpo ai percuotitori, le mie guance a chi mi strappa la barba, non ho allontanato il volto da chi mi oltraggia. E la mia bellezza e il mio splendore si è perduto, e gli uomini non mi hanno più amato. Disprezzato mi hanno gli uomini, considerato l'ultimo!
Uomo di dolori, sarà velato il mio volto e vilipeso, e mi guarderanno come un lebbroso, mentre è per tutti che Io sarò piagato e morto".

Ecco la Vittima!
Non temere, o Israele! Non temere! Non manca l'Agnello pasquale! Non temere, o Terra! Non temere! Ecco il Salvatore! Come pecora sarà condotto al macello, perchè lo ha voluto, e non ha aperto bocca per maledire quelli che l'uccidono. Dopo la condanna sarà innalzato e consumato nei patimenti, le membra slogate, le ossa scoperte, i piedi e le mani trafitti.

Ma dopo l'affanno, col quale giustificherà molti, possederà le moltitudini perchè, dopo aver consegnato la sua vita alla morte per la salute del mondo, risorgerà e governerà la Terra, nutrirà i popoli delle acque viste da Ezechiele, uscenti dal vero Tempio che, anche se è abbattuto, risorge per sua stessa forza, del vino di cui si è anche imporporata la candida veste d'Agnello senza macchia, e del Pane venuto dal Cielo.

Sitibondi, venite alle acque! Affamati, nutritevi! Esausti, bevete il mio vino, e voi malati! Venite voi che non avete denaro, voi che non avete salute, venite! E voi che siete nelle tenebre! E voi che siete morti, venite!

Io sono Ricchezza e Salute, Io sono Luce e Vita.

Venite voi che cercate la via! Venite voi che cercate la verità!

Io sono Via e Verità!

Non temete di non poter consumare l'Agnello perchè mancano le ostie veramente sante in questo Tempio profanato. Tutti avrete da mangiare dell'Agnello di Dio venuto a togliere i peccati del mondo, come ha detto di Me l'ultimo dei profeti del mio popolo.

Di quel popolo al quale Io chiedo: Popolo mio, che ti ho fatto?
In che ti ho contristato?
Che potevo darti di più di ciò che Io non ti abbia dato?

Ho istruito i tuoi intelletti, ho guarito i tuoi malati, beneficato i tuoi poveri, sfamato le tue turbe, ti ho amato nei tuoi figli, ho perdonato, ho pregato per te.

Ti ho amato sino al Sacrificio.

E tu che appresti al tuo Signore? Un'ora, l'ultima, ti è data, o mio popolo, o mia città regale e santa. Convertiti in quest'ora al Signore Dio tuo!
».

«Ha detto le parole vere!».

«Così è detto! E Lui veramente fa quello che è detto!».

«Come un pastore ha avuto cura di tutti!».

«Come fossimo le pecore disperse, malate, nella caligine, è venuto a portarci alla via giusta, a guarirci anima e corpo, a illuminarci».

«Veramente tutti i popoli vanno a Lui. Osservate là quei gentili come sono ammirati!».

«Pace ha predicato».

«Amore ha dato».

«Non capisco ciò che dice del sacrificio. Parla come se dovesse essere ucciso».

«Così è, se è l'Uomo visto dai profeti, il Salvatore».

«E parla come se tutto il popolo dovesse malmenarlo. Ciò non accadrà mai. Il popolo, noi, lo amiamo».

«È nostro amico. Lo difenderemo».

«Galileo è, e noi di Galilea daremo la vita per Lui».

«Di Davide è, e non alzeremo la mano che per difenderlo, noi di Giudea».

«E noi, che ci amò come amò voi, noi dell'Auranite, della Perea, della Decapoli, noi potremo dimenticarlo? Tutti, tutti lo difenderemo».

Queste le voci fra la folla ormai numerosa molto. Labilità delle intenzioni umane! Giudico dalla posizione del sole essere verso le nove antimeridiane dell'ora nostra.
Ventiquattr'ore più tardi questa gente sarà da molte ore intorno al Martire per torturarlo con l'odio e le percosse, e urlerà chiedendo la sua morte.
Pochi, molto pochi, troppo pochi fra le migliaia di persone che si affollano da ogni parte della Palestina e oltre, e che hanno avuto luce, salute, sapienza, perdono dal Cristo, saranno coloro che non solo non cercheranno di strapparlo ai nemici, perchè la loro pochezza rispetto alla moltitudine dei percuotitori lo vieta, ma anche non sapranno confortarlo dandogli prova d'amore col seguirlo con volto amico.
Le lodi, i consensi, i commenti ammirati si spargono per l'ampio cortile come onde che dall'alto del mare vadano lontano a morire sul lido.

Degli scribi, dei giudei, dei farisei tentano di neutralizzare l'entusiasmo del popolo, e anche il fermento del popolo contro i nemici del Cristo, dicendo:
«Vaneggia. La stanchezza sua è tanta e lo conduce a delirare. Vede persecuzioni dove sono onori. Il suo dire ha fiumi della solita sua sapienza, ma mescolati a frasi di delirio. Nessuno gli vuol fare del male. Abbiamo capito. Capito chi è...».

Ma la gente è incerta di tanta conversione di umori, e qualcuno fra essa si ribella dicendo: «Egli mi guarì un figlio demente. So ciò che è la pazzia. Non così parla uno che è folle!».

E un altro: «Lasciali dire. Sono vipere che hanno paura che il bastone del popolo spezzi loro le reni. Cantano la dolce canzone dell'usignolo per ingannarci, ma se ascolti bene c'è dentro il fischio del serpe».

E un altro ancora: «Scolte del popolo di Cristo, all'erta! Quando nemico carezza ha il pugnale nascosto nella manica e tende la mano per colpire. Occhi aperti e cuore pronto! Gli sciacalli non possono diventare docili agnelli».

«Dici bene: il gufo alletta e incanta gli uccellini ingenui conl'immobilità del suo corpo e con la mendace letizia del suo saluto. Ride e invita col suo grido, ma è già pronto a divorare».

E così via, da gruppo a gruppo.
Ma vi sono anche i gentili. Questi gentili che sono stati costanti e sempre più numerosi ad ascoltare il Maestro in questi giorni di festa. Sempre ai margini della folla, perchè l'esclusivismo ebreo-palestinese è forte e li respinge volendo i primi posti intorno al Rabbi, essi hanno desiderio di avvicinarlo e parlargli. Un folto gruppo di essi occhieggia Filippo, che la folla ha spinto in un angolo. Si accostano a lui dicendo:
«Signore, noi desideriamo vedere da vicino Gesù, il tuo Maestro. E parlargli almeno una volta».

Filippo si alza sulle punte dei piedi per vedere se scorge qualche apostolo più vicino al Signore. Vede Andrea e gli grida, dopo averlo chiamato:
«Qui sono dei gentili che vorrebbero salutare il Maestro. Chiedigli se vuole accoglierli».

Andrea, separato da Gesù di qualche metro, pigiato nella folla, si fa largo senza riguardi, lavorando generosamente di gomiti e urlando:
«Fate largo! Fate largo, dico. Devo andare dal Maestro». Lo raggiunge e gli trasmette il desiderio dei gentili.

«Conducili in quell'angolo. Io verrò a loro».

E mentre Gesù cerca di passare fra la gente, Giovanni, che è tornato con Pietro, Pietro stesso, Giuda Taddeo, Giacomo di Zebedeo e Tommaso, che lascia il gruppo dei suoi parenti, trovato fra la folla, per aiutare i compagni, lottano a fargli strada.
''Ecco Gesù là dove già sono i gentili che lo ossequiano.

«La pace a voi. Che volete da Me?».

«Vederti. Parlarti. Le tue parole ci hanno conturbati. Desideravamo sempre di parlarti per dirti che la tua parola ci colpisce. Ma attendevamo di farlo in momento propizio. Oggi... Tu parli di morte... Noi temiamo di non poter più parlarti se non prendiamo quest'ora. Ma è possibile che gli ebrei possano uccidere il loro Figlio migliore?
Noi siamo gentili e la tua mano non ci beneficò. La tua parola ci era sconosciuta. Avevamo sentito parlare di Te vagamente. Ma non ti avevamo mai visto nè avvicinato. Eppure, lo vedi! Noi ti rendiamo omaggio. Tutto il mondo con noi ti onora».

«Sì, l'ora è venuta nella quale il Figlio dell'uomo deve essere glorificato dagli uomini e dagli spiriti».

Ora la gente è di nuovo intorno a Gesù. Ma con la differenza che in prima fila sono i gentili e indietro gli altri.

«Ma allora, se è l'ora della tua glorificazione, Tu non morrai come dici, o come abbiamo capito. Perchè non è essere glorificato morire in tal modo. Come potrai riunire il mondo sotto il tuo scettro, se Tu muori prima di averlo fatto? Se il tuo braccio si immobilizzerà nella morte, come potrà trionfare e radunare i popoli?».

«Morendo dò vita. Morendo edifico. Morendo creo il Popolo nuovo. È nel sacrificio che si ha la vittoria. In verità vi dico che, se il granello di frumento caduto sulla terra non muore, rimane infecondo. Ma se invece muore, ecco che produce molto frutto.
Chi ama la sua vita la perderà.
Chi odia la sua vita in questo mondo la salverà per la vita eterna.

Io poi ho il dovere di morire per dare questa vita eterna a tutti coloro che mi seguono per servire la Verità.
Chi mi vuole servire venga: non è limitato il posto nel mio regno a questo o a quel popolo. Chiunque mi vuol servire venga e mi segua, e dove Io sono sarà pure il mio servo.

E chi mi serve l'onorerà il Padre mio, unico, vero Iddio, Signore del Cielo e della Terra, Creatore di tutto quanto è, Pensiero, Parola, Amore, Vita, Via, Verità; Padre, Figlio, Spirito Santo, Uno essendo Trino, Trino essendo unico, solo, vero Dio.

"Ma ora l'anima mia è turbata. E che dirò? Dirò forse: "Padre, salvami da quest'ora"? No. Perchè Io sono venuto per questo: per giungere a quest'ora. E allora dirò: "Padre, glorifica il tuo Nome!"
».

Gesù apre le braccia in croce, una croce porpurea contro il candore dei marmi del portico, e alza il volto, offrendosi, pregando, salendo coll'anima al Padre.

E una voce, più forte del tuono, immateriale nel senso che non è simile a nessuna voce d'uomo, ma sensibilissima per tutti gli orecchi, empie il cielo sereno della bellissima giornata d'aprile e vibra, più potente di accordo d'organo gigante, bellissima nella sua tonalità, e proclama:

«E Io l'ho glorificato e ancora lo glorificherò».

La gente ha avuto paura. Quella voce, così potente che ne ha vibrato il suolo e ciò che su esso si trova, quella voce misteriosa, diversa da ogni altra, veniente da una fonte che è sconosciuta, quella voce che empie tutto, da settentrione a mezzogiorno, da oriente a occidente, terrorizza gli ebrei e stupisce i pagani.
I primi si gettano, sol che possano farlo, al suolo, mormorando nel tremore: «Ora morremo! (Come se avessero visto Dio, stando a quanto si legge in: Esodo 20, 19; 33, 20; Giudici 6, 22-23; 13, 22. Analoghe espressioni al Vol 5 Cap 349, al Vol 10 Capp 619 e 630).

Abbiamo sentito la voce dal Cielo. Un angelo gli ha parlato!», e si battono il petto in attesa della morte.
I secondi gridano: «Un tuono! Un boato! Fuggiamo! La Terra ha ruggito! Ha tremato!». Ma fuggire è impossibile in quella ressa che si accresce di quelli che, ancor fuor dalle mura del Tempio, accorrono entro di esse gridando: «Pietà di noi! Corriamo! Qui è luogo santo. Non si fenderà il monte dove sorge l'altare di Dio!». E perciò ognuno resta dove è, dove lo blocca la folla e lo spavento. Sulle terrazze del Tempio accorrono i sacerdoti, gli scribi, i farisei che erano sparsi per i meandri di esso, e leviti, e strategoi. Agitati, sbalorditi. Ma di tutti loro non scendono, fra la gente che è nei cortili, altro che Gamaliele con suo figlio.
Gesù lo vede passare, tutto candido nella veste di lino, che è così bianca da splendere persino sotto il forte sole che la investe.

Gesù, guardando Gamaliele ma come parlando per tutti, alza la voce dicendo:
«Non per Me, ma per voi è venuta questa voce dal Cielo».

Gamaliele si arresta, si volge, trivella con gli sguardi dei suoi occhi profondi e nerissimi - che l'abitudine ad essere un Maestro venerato come un semidio fa involontariamente duri come quelli dei rapaci - lo sguardo zaffireo, limpido, dolce nella sua maestà, di Gesù...

E Gesùprosegue:
«Ora si ha il giudizio di questo mondo. Ora il Principe delle Tenebre sta per essere cacciato fuori. Ed Io, quando sarò innalzato, trarrò tutti a Me, perchè così salverà il Figlio dell'uomo».

«Noi abbiamo imparato dai libri della Legge che il Cristo vive in eterno. E Tu ti dici il Cristo e dici che devi morire. E ancora dici che sei il Figlio dell'uomo e salverai essendo esaltato. Chi sei dunque? Il Figlio dell'uomo o il Cristo? E chi è il Figlio dell'uomo?», dice la folla che si rinfranca.

«Sono un'unica Persona. Aprite gli occhi alla Luce. Ancora per un poco la Luce è con voi. Camminate verso la Verità sinchè avete la Luce fra voi, affinchè non vi sorprendano le tenebre.
Coloro che camminano nel buio non sanno dove vadano a finire. Finchè avete fra voi la Luce credete ad Essa, per essere figli della Luce
».

Tace.
La folla è perplessa e divisa. Una parte se ne va scrollando il capo. Una parte osserva l'atteggiamento dei principali dignitari: farisei, capi dei sacerdoti, scribi... e specie di Gamaliele, e regola i propri moti su questo atteggiamento. Altri ancora approvano col capo e si inchinano a Gesù con chiari segni di volergli dire: «Crediamo! Ti onoriamo per ciò che sei». Ma non osano schierarsi apertamente in suo favore. Hanno paura degli occhi attenti dei nemici di Cristo, dei potenti, che li sorvegliano dall'alto delle terrazze che sovrastano i superbi porticati che cingono i cortili del Tempio.
Anche Gamaliele, dopo essere rimasto pensieroso qualche minuto, e par che interroghi i marmi che pavimentano il suolo per avere risposta alle sue interne domande, si riavvia verso l'uscita dopo aver scrollato testa e spalle come per disappunto o sprezzo... e passa diritto davanti a Gesù senza più guardarlo.

Gesù invece lo guarda, con compassione... e alza di nuovo la voce, fortemente - è come un bronzeo squillo - per superare ogni rumore ed essere sentito dal grande scriba che se ne va deluso.
Par che parli per tutti, ma parla per lui solo, è palese.

Dice a voce altissima:
«Chi crede in Me non crede, in verità, in Me, ma in Colui che mi ha mandato, e chi vede Me vede Colui che mi ha mandato. E questo Colui è bene il Dio d'Israele!
Perchè non c'è altro Dio fuor che Lui.
Per questo dico: se non potete credere a Me come a colui che è detto Figlio di Giuseppe di Davide ed è Figlio di Maria, della stirpe di Davide, della Vergine vista dal profeta, nato a Betlemme, come è detto dalle profezie, precorso dal Battista, ancor come è detto da secoli, credete almeno alla Voce del vostro Dio che vi ha parlato dal Cielo.
Credete in Me come Figlio di questo Dio d'Israele. Chè, se non credete a Chi vi ha parlato dal Cielo, non Me offendete, ma il Dio vostro di cui sono Figlio.
Non vogliate rimanere nelle tenebre!
Io sono venuto Luce al mondo affinchè chi crede in Me non resti nelle tenebre. Non vogliate crearvi dei rimorsi, che non potreste più placare quando Io fossi tornato là donde sono venuto, e che sarebbero un ben duro castigo di Dio sulla vostra pervicacia.
Io sono pronto a perdonare sinchè sono fra voi, sinchè il giudizio non è fatto, e per quanto sta a Me ho desiderio di perdonare. Ma diverso è il pensiero del Padre mio.

Perchè Io sono la Misericordia ed Egli è la Giustizia.

In verità vi dico che, se uno ascolta le mie parole e non le osserva poi, Io non lo giudico.

Non sono venuto nel mondo per giudicare, ma per salvare il mondo.

Ma anche se Io non giudico, in verità vi dico che vi è chi vi giudica per le vostre azioni. Il Padre mio, che mi ha mandato, giudica coloro che respingono la sua Parola.

Sì, chi mi disprezza e non riconosce la Parola di Dio e non riceve le parole del Verbo, ecco che ha chi lo giudica: la stessa Parola che Io ho annunziata, quella lo giudicherà nel giorno estremo.

Dio non si irride, è detto.

E il Dio irriso sarà terribile a coloro che lo giudicarono pazzo e mentitore.

Ricordate tutti che le parole che mi avete sentito dire sono di Dio. Perchè Io non ho parlato di mio, ma il Padre che mi ha mandato, Egli stesso mi ha prescritto quello che debbo dire e di che devo parlare.

E Io ubbidisco al suo comando perchè Io so che il suo comandamento è giusto.

Vita eterna è ogni comando di Dio.
Ed Io, vostro Maestro, vi do l'esempio di ubbidienza ad ogni comando di Dio, Perciò siate certi che le cose che vi ho dette e vi dico, le ho dette e le dico così come mi ha detto il Padre mio di dirvele.

E il Padre mio è il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe; il Dio di Mosè, dei patriarchi e dei profeti, il Dio d'Israele, il Dio vostro
».

Parole di luce, che cadono nelle tenebre che già si incupiscono nei cuori! Gamaliele, che si era nuovamente fermato, a capo chino, riprende ad andare... Altri lo seguono crollando il capo o sogghignando...

Anche Gesù se ne va... Ma prima dice a Giuda di Keriot:
«Va' dove devi andare», e agli altri: «Ognuno è libero di andare. Dove deve o dove vuole. Con Me restino i discepoli pastori».

«Oh! prendi anche me con Te, Signore! », dice Stefano.

«Vieni... ».

Si separano. Non so dove va Gesù. Ma so dove va Giuda di Keriot. Va alla porta Speciosa o Bella, salendo i diversi scalini che dall'atrio dei Gentili portano a quello delle donne, e dopo averlo attraversato, salendo al termine di esso altri scalini, occhieggia nell'atrio degli Ebrei e con ira batte il piede al suolo non trovando chi cerca.
Torna indietro. Vede una delle guardie del Tempio. La chiama. Ordina, con la sua solita arroganza: «Va' da Eleazar ben Anna. Che venga subito alla Bella. Lo attende Giuda di Simone per cose gravi».

Si appoggia a una colonna e attende. Poco tempo. Eleazaro figlio di Anna, Elchia, Simone, Doras, Cornelio, Sadoc, Nahum e altri accorrono con un grande svolazzio di vesti.

Giuda parla a voce bassa ma concitata:
«Questa sera! Dopo la cena. Al Getsemani. Veniteci e prendetelo. Datemi il denaro».

«No. Te lo daremo quando tu verrai a prenderci questa sera. Non ci fidiamo di te! Ti vogliamo con noi. Non si sa mai!», ghigna Elchia. Gli altri assentono in coro.

Giuda avvampa di sdegno per l'insinuazione. Giura: «Lo giuro su Jeovè che dico il vero!».

Sadoc gli risponde: «Va bene. Ma è meglio fare così. Quando è l'ora tu vieni, prendi i preposti alla cattura e vai con loro, chè non avvenga che le guardie stolte arrestino Lazzaro, al caso, e facciano accadere guai. Tu indicherai ad esse, con un segno, l'uomo... Devi capire! È notte,... ci sarà poca luce... le guardie saranno stanche, assonnate... Ma se tu guidi!... Ecco! Che dite?».

Si volge ai compagni il perfido Sadoc e dice: «Io proporrei per segnale un bacio. Un bacio! Il miglior segno per indicare l'amico tradito. Ah! Ah!».

Ridono tutti. Un coro di demoni sghignazzanti. Giuda è furente. Ma non arretra. Non arretra più. Soffre per lo scherno che gli fanno, non per quello che sta per fare.
Tanto che dice: «Ma ricordate che voglio le monete contate nella borsa prima di uscire di qui con le guardie».

«Le avrai! Le avrai! Anche la borsa ti daremo, perchè tu possa conservare quelle monete come reliquia del tuo amore. Ah! Ah! Ah! Addio, serpe!».

Giuda è livido. È già livido. Non perderà mai più luci colore e quell'espressione di spavento disperato.
Essa, anzi, coll'andar delle ore si accentuerà sempre più, sino ad essere insostenibile alla vista quando penzolerà dall'albero... Fugge via...

Gesù si è rifugiato nel giardino di una casa amica. Un quieto giardino delle prime case di Sion. Mura alte e antiche lo cingono. È silenzioso e fresco, coperto come è dalle fronde semoventi di vecchi alberi. Una voce di donna canta poco lontano una dolce ninna-nanna.

Devono essere passate delle ore, perchè i servi di Lazzaro, di ritorno dopo essere andati non so dove, dicono:
«I tuoi discepoli sono già nella casa dove si prepara per la cena, e Giovanni, dopo aver portato con noi i frutti ai figli di Giovanna di Cusa, se ne è andato a prendere le donne per accompagnarle da Giuseppe di Alfeo, che è venuto solo oggi, quando sua madre non sperava più di vederlo, e poi da lì alla casa della cena, perchè è il vespero».

«Andremo anche noi. Sono venute le ore delle cene... ».

Gesùsi alza rimettendosi il manto.

«Maestro, lì fuori ci sono delle persone. Persone di censo. Vorrebbero parlarti senza esser viste dai farisei», dice un servo.

«Falli entrare. Ester non si opporrà. Non è vero, donna?», dice Gesù rivolgendosi ad una matura donna che sta accorrendo per salutarlo.

«No, Maestro. La mia casa è tua, lo sai. Per troppo poco hai usato di essa!».

«Tanto che basti a dire al mio cuore: era casa amica».

Ordina al servo: «Conduci chi attende».
Entrano una trentina di persone di dignitoso aspetto. Ossequiano. Uno parla per tutti:
«Maestro, le tue parole ci hanno scosso. Abbiamo sentito in Te la voce di Dio. Ma ci dicono folli perchè crediamo in Te. Che fare allora?».

«Non a Me crede chi crede in Me, ma crede a Colui che mi ha mandato e del quale oggi avete sentito la voce santissima.
Non Me vede chi vede Me, ma vede Colui che mi ha mandato, perchè Io sono una sola cosa col Padre mio.

Per questo vi dico che dovete credere per non offendere Dio che mi è e vi è Padre, e vi ama sino a sacrificarvi il suo Unigenito. Chè, se è dubbio nei cuori che Io sia il Cristo, non vi è dubbio che Dio sia nel Cielo.

E la voce di Dio, che Io ho chiamato Padre, oggi al Tempio, chiedendogli di dare gloria al suo Nome, ha risposto a Colui che Padre lo chiamava, e senza dirgli "mentitore o bestemmiatore" come molti dicono.

Dio ha confermato chi Io sono.

La sua Luce.

Io sono la Luce venuta al mondo.

Io sono venuto Luce al mondo affinchè chi crede in Me non resti nelle Tenebre.

Se uno ascolta le mie parole e poi non le osserva, lo non lo giudico. Non sono venuto a giudicare il mondo ma a salvare il mondo.

Chi mi disprezza e non riceve le mie parole ha chi lo giudica. La Parola da Me annunciata, quella sarà che lo giudicherà nel giorno estremo.

Perchè era sapiente, perfetta, dolce, semplice, così come è Dio. Perchè quella Parola è Dio.

Non sono Io, Gesù di Nazaret, detto il Figlio di Giuseppe legnaiolo della stirpe di Davide e Figlio di Maria, fanciulla ebrea, vergine della stirpe di Davide sposata a Giuseppe, che ho parlato.
No.
Io non ho parlato di mio.

Ma è il Padre mio, Colui che è nei Cieli e ha nome Jeovè, Colui che oggi ha parlato, Colui che mi ha mandato, che mi ha prescritto quello che devo dire e di che ho da parlare.

E Io so che nel suo comandamento è vita eterna.

Le cose dunque che dico le dico come me le ha dette il Padre, e in esse è Vita.

Per questo vi dico: ascoltatele.

Mettetele in pratica e avrete la Vita. Perchè la mia parola è Vita. E chi l'accoglie, accoglie, insieme a Me, il Padre dei Cieli che mi ha mandato a darvi la Vita. E chi ha in sè Dio ha in sè la Vita. `
Andate. La pace venga a voi e vi permanga
».

Li benedice e congeda. Benedice anche i discepoli. Trattiene solamente Isacco e Stefano. Gli altri li bacia e li congeda. E quando sono andati, esce per ultimo insieme ai due e va con essi, per le viette più solitarie e già scure, alla casa del Cenacolo. E, giunto là, abbraccia e benedice con particolare amore Isacco e Stefano, li bacia, li benedice di nuovo, li guarda andare e poi bussa ed entra...

L'arrivo al Cenacolo e l'addio di Gesù alla Madre

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Vedo il cenacolo dove deve consumarsi la Pasqua. Lo vedo distintamente. Potrei enumerare tutte le rugosità del muro e le crepe del pavimento. È; uno stanzone non perfettamente quadrato, ma anche poco rettangolare.
Vi sarà la differenza di un metro o poco più, al massimo, fra il lato più lungo e quello più corto. È basso di soffitto. Forse appare tale anche per la sua grandezza, alla quale non corrisponde l'altezza.
È lievemente a volta, ossia i due lati più corti non finiscono ad angolo retto col soffitto, ma con un angolo smusso.

In questi due lati più corti vi sono due larghe finestre, larghe e basse, prospicienti. Non vedo dove guardano, se su un cortile o su una via, perchè ora hanno le impannate, che le chiudono, chiuse. Ho detto: impannate.
Non so se sia giusto il termine. Sono delle imposte di tavoloni ben serrate in grazia di una sbarra di ferro che le traversa.

Il pavimento è a larghi mattoni di terra-cotta, che il tempo ha reso pallida, quadrati.

Dal centro del soffitto pende un lume ad olio a più becchi.

Nelle due pareti più lunghe, una è tutta senza aperture.
Nell'altra, invece, vi è una porticina in un angolo, alla quale si accede per una scaletta senza ringhiera di sei scalini, terminanti in un ripiano di un metro quadro.
Su questo vi è, contro la parete, un altro gradino, sul quale si apre la porta a filo del gradino. Non so se mi sono spiegata.

Le pareti sono semplicemente imbiancate, senza fregi o righe.

Al centro della stanza, un tavolone rettangolare, molto lungo rispetto alla larghezza, messo parallelo alla parete più lunga, di legno semplicissimo.

Contro le pareti lunghe, quelli che saranno i sedili.
Alle pareti corte, sotto la finestra di un lato, una specie di cassapanca con su dei bacili e delle anfore, e sotto l'altra finestra una credenza bassa e lunga, sul cui piano per ora non c'è nulla.

E questa è la descrizione della stanza dove si consumerà la Pasqua.

È tutt'oggi che la vedo distintamente, tanto che ho potuto contare i gradini ed osservare tutti i particolari. Ora, poi, che viene la notte, il mio Gesù mi conduce al resto della contemplazione.

Vedo che lo stanzone conduce, per la scaletta dai sei gradini, in un andito scuro che a sinistra, rispetto a me, si apre sulla via con una porta larga, bassa e molto massiccia, rinforzata di borchie e strisce di ferro.
Di fronte alla porticina, che dal cenacolo conduce nell'andito, vi è un'altra porta che conduce ad un'altra stanza, meno vasta.
Direi che il cenacolo è stato ricavato da un dislivello del suolo rispetto al resto della casa e della via, è come un seminterrato, una mezza cantina ripulita od aggiustata, ma sempre infossata per un buon metro nel suolo, forse per farlo più alto e proporzionato alla sua vastità.

Nella stanza che vedo ora vi è Maria con altre donne.
Riconosco Maddalena e Maria madre di Giacomo, Giuda e Simone. Sembra che siano appena arrivate, condotte da Giovanni, perchè si levano i manti e li posano piegati sugli sgabelli sparsi per la stanza, mentre salutano l'apostolo che se ne va e una donna e un uomo accorsi al loro arrivo, che ho l'impressione siano i padroni di casa e discepoli o simpatizzanti per il Nazareno, perchè sono pieni di premure e di rispettosa confidenza per Maria.

Questa è vestita di celeste cupo, un azzurro di indaco scurissimo. Ha sul capo il velo bianco, che appare quando si leva il manto che le copre anche il capo.

È molto sciupata in volto. Pare invecchiata. Molto triste, per quanto sorrida con dolcezza. Molto pallida. Anche i movimenti sono stanchi e incerti, come quelli di persona assorta in un suo pensiero.

Dalla porta socchiusa vedo che il proprietario va e viene nell'andito e nel cenacolo, che illumina completamente accendendo i restanti becchi della lumiera. Poi va alla porta di strada e la apre, ed entra Gesù con gli apostoli. Vedo che è sera, perchè le ombre della notte scendono già nella via stretta fra case alte.

È con tutti gli apostoli.
Saluta il proprietario col suo abituale saluto: «La pace sia a questa casa», e poi, mentre gli apostoli scendono nel cenacolo, Egli entra nella stanza dove è Maria.

Le pie donne salutano con profondo rispetto c sa, ne vanno, chiudendo la porta e lasciando liberi la Madre o il Figlio.

Gesù abbraccia sua Madre o la bacia in Fronte.

Maria bacia prima la mano al Figlio e poi la guancia destra.

Gesùfa sedere Maria e si siede al suo fianco, su due sgabelli vicini. La fa sedere, accompagnandola ad essi per la mano, e continua a tenere la mano anche quando Ella è seduta.

Anche Gesùè assorto, pensieroso, triste, per quanto si sforzi a sorridere.
Maria ne studia con ansia l'espressione. Povera Mamma, che per la grazia e per l'amore comprende che ora sia questa! Delle contrazioni di dolore scorrono sul viso di Maria, ed i suoi occhi si dilatano ad un'interna visione di spasimo.

Ma non fa scene. È maestosa come il Figlio.

Egli le parla. La saluta e si raccomanda alle sue preghiere.
«Mamma, sono venuto per prendere forza e conforto da te. Sono come un piccolo bambino, Mamma, che ha bisogno del cuore della Madre per il suo dolore e del seno della Madre per sua forza. Sono tornato, in quest'ora, il tuo piccolo Gesù di un tempo.

Non sono il Maestro, Mamma.
Sono unicamente il Figlio tuo, come a Nazareth quando ero piccino, come a Nazareth prima di lasciare la vita privata.
Non ho che te.
Gli uomini, in questo momento, non sono amici, e leali, del tuo Gesù. Non sono neppure coraggiosi nel bene. Solo i malvagi sanno essere costanti e forti nell'operare il male.

Ma tu mi sei fedele e sei la mia forza, Mamma, in quest'ora. Sostienimi col tuo amore e col tuo orare. Non ci sei che tu che in quest'ora sai pregare, fra chi più o meno mi ama.
Pregare e comprendere.
Gli altri sono in festa, assorbiti da pensieri di festa o da pensieri di delitto, mentre Io soffro di tante cose. Molte cose moriranno dopo quest'ora. E fra queste la loro umanità, e sapranno essere degni di Me, tutti meno colui che s'è perduto e che nessuna forza vale a ricondurre almeno al pentimento.

Ma per ora sono ancora uomini tardi che non mi sentono morire, mentre essi giubilano credendo più che mai prossimo il mio trionfo. Gli osanna di pochi giorni or sono li hanno ubriacati.

Mamma, sono venuto per quest'ora e soprannaturalmente la vedo giungere con gioia.

Ma il mio Io anche la teme, perchè questo calice ha nome tradimento, rinnegamento, ferocia, bestemmia, abbandono.

Sostienimi, Mamma. Come quando col tuo pregare hai attirato su te lo Spirito di Dio, dando per Esso al mondo l'Aspettato delle genti, attira ora sul Figlio tuo la forza che m'aiuti a compiere l'opera per cui venni.

Mamma, addio.

Benedicimi, Mamma; anche per il Padre. E perdona a tutti. Perdoniamo insieme, da ora perdoniamo a chi ci tortura
».

Gesù è scivolato, parlando, ai piedi della Madre, in ginocchio, e la guarda tenendola abbracciata alla vita.

Maria piange senza gemiti, col volto lievemente alzato per una interna preghiera a Dio. Le lacrime rotolano sulle guance pallide e cadono sul suo grembo e sul capo che Gesùle appoggia alla fine sul cuore.

Poi Maria mette la sua mano sul capo di Gesùcome per benedirlo e poi si china, lo bacia fra i capelli, glieli carezza, gli carezza le spalle, le braccia, gli prende il volto fra le mani e lo volge verso di Lei, se lo serra al cuore.
Lo bacia ancora fra le lacrime, sulla fronte, sulle guance, sugli occhi dolorosi, se lo ninna, quel povero capo stanco, come fosse un bambino, come l'ho vista ninnare nella Grotta il Neonato divino.
Ma non canta, ora.
Dice solo: «Figlio! Figlio! Gesù! Gesù mio!».
Ma con una tal voce che mi strazia.
Poi Gesù si rialza. Si aggiusta il manto, resta in piedi di fronte alla Madre, che piange ancora, e a sua volta la benedice.

Poi si dirige alla porta.
Prima di uscire le dice: «Mamma, verrò ancora prima di consumare la mia Pasqua. Prega attendendomi». Ed esce.

L'ultima Cena pasquale

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Comincia la sofferenza del Giovedì Santo.

Gli apostoli, e sono dieci, si dànno un gran da fare a preparare il Cenacolo. Giuda, arrampicato sul tavolo, osserva se l'olio è in tutti i palloncini del grande lampadario, che pare una corolla di fucsia doppia, perchè ha uno stelo circondato da cinque lumi in ampolle simili a petali, poi un secondo giro, più in basso, che è tutta una coroncina di fiammelle, poi ha, per ultimo, tre esili lampadine sospese a catenelle che sembrano i pistilli del luminoso fiore.
Poi scende con un salto e aiuta Andrea a disporre con arte le stoviglie sulla tavola, su cui viene stesa una finissima tovaglia.

Sento Andrea che dice: «Che splendido lino !».

E l'Iscariota: «Uno dei migliori di Lazzaro. Marta l'ha voluta portare per forza».

«E questi calici? e queste anfore, allora?», osserva Tommaso che ha messo il vino nelle anfore preziose e le rimira, specchiandosi nelle loro pance snelle, e ne carezza i manici a cesello con occhio d'intenditore.

«Chissà che valore, eh?», chiede Giuda Iscariota.

«È lavorato a martello. Mio padre ne andrebbe pazzo. L'argento e l'oro in foglia si piega, quando è caldo, con facilità. Ma trattato così... È un momento rovinare tutto. Basta un colpo mal dato. Ci vuole forza e leggerezza insieme. Vedi i manici? Tratti dal blocco. Non saldati. Cose da ricchi... Pensa che tutta la limatura e lo sbozzato si perdono. Non so se mi capisci».

«Eh! se capisco! Insomma è come uno che fa scoltura».

«Proprio così».

Tutti ammirano. Poi tornano al loro lavoro. Chi dispone i sedili e chi fa pronte le credenze.

Entrano insieme Pietro e Simone.
«Oh! siete venuti finalmente! Dove siete andati di nuovo? Dopo essere giunti col Maestro e noi, siete da capo fuggiti», dice l'Iscariota.

«Ancora un'incombenza prima dell'ora», risponde breve Simone.
«Hai delle malinconie?».

«Credo che, con quello che si è udito in questi giorni, e da quelle labbra che mai trovammo menzognere, ce ne sia ben ragione».
«E con quel puzzo di... Bene, sta' zitto, Pietro», borbotta Pietro fra i denti.

«Anche tu! ... Mi sembri folle da qualche giorno. Hai la faccia di un coniglio selvatico che si sente dietro lo sciacallo», risponde Giuda Iscariota.

«E tu hai il muso della faina. Anche tu non sei molto bello da qualche giorno. Guardi in un modo... Hai persino l'occhio storto... Chi aspetti, o che speri vedere? Sembri sicuro, vuoi farlo parere, ma assomigli a chi ha paura», rimbecca Pietro.

«Oh! Quanto a paura!... Non sei certo un eroe neppure tu!».

«Nessuno lo siamo, Giuda. Tu porti il nome del Maccabeo, ma non lo sei. Io dico, col mio, "Dio fa grazie", ma ti giuro che ho in me il tremito di chi sa di portare disgrazia e di essere soprattutto in disgrazia di Dio.
Simone di Giona, ribattezzato "la pietra", è ora molle come cera al fuoco. Non si agguanta più col suo volere. E sì che mai lo vidi pauroso nelle più fiere tempeste!
Matteo, Bartolmai e Filippo sembrano sonnambuli. Mio fratello e Andrea non fanno che sospirare. I due cugini, in cui è il dolore del sangue con quello dell'amore al Maestro, guardali. Sembrano uomini già vecchi. Tommaso ha perduto la sua giocondità. E Simone sembra tornato il lebbroso sfinito di or sono tre anni, tanto è scavato da un dolore, direi corroso, livido, avvilito», gli risponde Giovanni.

(Dio fa grazie, di alcune righe più sopra, è, il significalo del nome Giovanni in ebraico: 190 come al Vol 1 Capp 22 e 24 riferito a Giovanni Battista, al Vol 3 Cap 188 e Vol 6 Cap 366 riferito a Giovanni di Endor, al Vol 4 Cap 275 riferito a costoro e ad altri dello stesso nome, al Vol 6 Cap 400 riferito a Giovanna di Cusa, al Vol 10 Cap 638 riferito al piccolo Giovanni, che è la scrittrice).

«Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l'Iscariota.

«Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e per l'altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: "Hai ragione".
Ma se usi quel termine per dirlo folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.

«E non è follia un'idea fissa di malinconia? Io ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha dato di Sè. Ora è uno stanco di mente».

«Il che significa demente. Non è vero?», chiede l'altro cugino Giuda, in apparenza calmo.

«Proprio così! Aveva visto bene tuo padre (in una sua invettiva contro Gesùal Vol 2 Cap 100 che l'Iscariota aveva accolto con perfidia alcune righe più avanti), giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sè se le è sparse. Noi... lo amammo tanto che l'amore ci fu velo. Ma quelli che l'amarono non idolatramente - tuo padre, tuo fratello Giuseppe, e Simone dapprima - videro giusto... Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole. Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora... Mah! ».

Giuda Taddeo, che, alto come l'Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine:
«Questo per la demenza, rettile! E solo perchè Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del male, e non c'è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva.
È come tu già avessi il capestro al collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».

Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al gesto nuovo del Taddeo. Anzi! ...
È chiaro che tutti approvano. È appena ricomposto l'ambiente che entra Gesù.

Si affaccia sulla soglia della porticina, dalla quale la sua alta persona appena passa, mette piede sul ballatoio di così poco spazio e col suo mite, mesto sorriso dice, aprendo le braccia:
«La pace sia con voi».

La sua voce è stanca, come quella di uno che languisce nel fisico o nel morale. Scende. Carezza sul capo biondo Giovanni che gli è corso vicino. Sorride, come ignaro, al cugino Giuda e dice all'altro cugino:
«Tua madre ti prega di essere dolce con Giuseppe. Ha chiesto di Me e di te poco fa alle donne. Mi spiace non averlo salutato».

«Lo farai domani».

«Domani?... Ma avrò sempre tempo di vederlo... Oh! Pietro! Staremo un poco insieme, finalmente! Da ieri mi sembri un fuoco fatuo. Ti vedo, poi non ti vedo più. Oggi quasi posso dire che ti ho perso. Anche tu, Simone».

«I nostri capelli più bianchi che neri ti possono fare sicuro che non fummo assenti per fame di carne», dice serio Simone.

«Per quanto... a tutte le età si possa avere quella fame... I vecchi! Peggio dei giovani...», dice l'Iscariota offensivo.

Simone lo guarda e sta per ribattere. Ma lo guarda anche Gesù e dice:
«Ti duole un dente? Hai la guancia destra gonfia e rossa».

«Sì. Ho male. Ma non merita occuparsene».

Gli altri non dicono nulla e la cosa muore così.

«Avete fatto tutto quanto era da fare? Tu, Matteo? Andrea? E tu, Giuda, hai pensato all'offerta al Tempio?».

Tanto i due primi come l'Iscariota dicono:
«Tutto fatto di quello che avevi detto da farsi per oggi. Sta' quieto».
«Io ho portato le primizie di Lazzaro a Giovanna di Cusa. Per i bambini. Mi hanno detto: "Erano più buone quelle mele!". Avevano il sapore della fame, quelle! Ed erano le tue mele», dice sorridente e sognante Giovanni.

Anche Gesù sorride ad un ricordo...

«Io ho visto Nicodemo e Giuseppe», dice Tommaso.

«Li hai visti? Hai parlato con loro?», chiede l'Iscariota con interesse esagerato.

«Sì. Che c'è di strano? Giuseppe è un buon cliente del padre mio».

«Non lo avevi detto prima... Mi sono stupito per questo!...».

Giuda cerca rimediare all'impressione, data prima, di affanno per l'incontro di Giuseppe e Nicodemo con Tommaso.
«Mi fa strano che non siano venuti qui a venerarti. Non loro, non Cusa, non Mannanen... Nessuno dei...».

Ma l'Iscariota ride con una falsa risata, interrompendo Bartolomeo, e dice:
«Il coccodrillo si rintana nell'ora buona».

«Che vuoi dire? Che insinui?», interroga Simone, aggressivo quanto non fu mai.

«Pace, pace! Ma che avete? È sera pasquale! Mai avemmo sì degno apparato alla consumazione dell'agnello. Consumiamo dunque la cena con spirito di pace. Vedo che vi ho molto turbato con le mie istruzioni di queste ultime sere. Ma, vedete? Ho finito! Ora non vi turberò più.
Non tutto è detto di quanto a Me si riferisce. Solo l'essenziale. Il resto... lo capirete poi. Vi sarà detto... Sì. Verrà Chi ve lo dirà.
Giovanni, vai con Giuda e qualche altro a prendere le coppe per la purificazione. E poi sediamo alla mensa
».

Gesù è di una dolcezza straziante. Giovanni con Andrea, Giuda Taddeo con Giacomo, portano l'ampia coppa, vi mescono acqua e offrono l'asciugamani a Gesù e ai compagni, i quali poi fanno lo stesso con loro.
La coppa (che è un bacile di metallo) viene messa in un angolo.

«Ed ora ai propri posti. Io qui, e qui (alla destra) Giovanni, e dall'altro lato il mio fedele Giacomo. I due primi discepoli.

Dopo Giovanni la mia Pietra forte, e dopo Giacomo colui che è come l'aria. Non si avverte. Ma è sempre presente e dà conforto: Andrea.

Vicino a lui, mio cugino Giacomo. Tu non ti rammarichi, dolce fratello, se do il primo posto ai primi? Sei il nipote del Giusto, il cui spirito palpita e aleggia su Me, in questa sera, più che mai. Abbi pace, padre della mia debolezza di fanciullino, quercia alla cui ombra ebbero ristoro la Madre e il Figlio!

Abbi pace!... Dopo Pietro, Simone... Simone, vieni un momento qui. Voglio fissare il tuo volto leale. Dopo non ti vedrò che male, perchè altri mi copriranno la tua onesta faccia. Grazie, Simone. Di tutto
», e lo bacia.

Simone, quando è lasciato, va al suo posto portandosi per un attimo le mani al volto con atto di afflizione.

«Di fronte a Simone, il mio Bartolmai. Due onestà e due sapienze che si rispecchiano. Stanno bene insieme. E vicino, tu, Giuda, fratello mio. Così ti vedo,... e mi sembra di essere a Nazaret... quando qualche festa ci riuniva tutti ad una mensa... Anche a Cana... Ricordi? Eravamo insieme. Una festa... una festa di nozze... il primo miracolo... l'acqua mutata in vino... Anche oggi una festa... e anche oggi vi sarà un miracolo... il vino cambierà natura... e sarà... ».

Gesùsi immerge nel suo pensiero.
A capo chino, è come isolato nel suo mondo segreto. Gli altri lo guardano e non parlano. Rialza il capo e fissa Giuda Iscariota, al quale dice:
«Tu mi starai di fronte».

«Tanto mi ami? Più di Simone, che mi vuoi avere sempre di fronte?».

«Tanto. Lo hai detto».

«Perchè, Maestro?».

«Perchè tu sei quello che hai fatto più di tutti per quest'ora».

Giuda guarda con un mutevolissimo sguardo il Maestro e i compagni. Il primo con un che di ironica compassione, gli altri con aria di trionfo.

«E vicino a te, da una parte Matteo, dall'altra Tommaso».
«Allora Matteo alla mia sinistra e Toma a destra».

«Come vuoi, come vuoi», dice Matteo. «Mi basta aver bene di fronte il mio Salvatore».

«Ultimo, Filippo. Ecco, vedete? Chi non è al mio fianco nel lato d'onore, ha l'onore di essermi di fronte».

Gesù, ritto al suo posto, mesce nell'ampio calice collocato a Lui davanti (tutti hanno alti calici, ma Lui ne ha uno molto più ampio, oltre quello che hanno tutti. Deve essere il calice di rito). Mesce in esso il vino. Lo alza, lo offre. Lo posa. Poi tutti insieme chiedono con tono di salmo:

«Perchè questa cerimonia?».
Domanda formale, si capisce. Di rito. Alla quale Gesù, come capo famiglia, risponde:
«Questo giorno ricorda la nostra liberazione dall'Egitto. Sia benedetto Geovè che ha creato il frutto della vigna».

Beve un sorso di questo vino offerto e passa il calice agli altri. Poi offre il pane, lo spezza, lo distribuisce, indi le erbe intinte nella salsa rossastra che è in quattro salsiere. Finita questa parte di pasto, cantano dei salmi, tutti in coro.
Viene portato dalla credenza sulla mensa, e posto di fronte a Gesù, il capace vassoio dell'agnello arrostito.
Pietro, che ha il ruolo di... prima parte, di coro, se più le piace, chiede:
«Perchè quest'agnello, così?».

«A ricordo di quando Israele fu salvo per l'agnello immolato. Non morì primogenito dove il sangue splendeva sugli stipiti e l'architrave. E dopo, mentre tutto l'Egitto piangeva sui primogeniti maschi morti, dalla reggia ai tuguri, gli ebrei, capitanati da Mosè, si mossero verso la terra della liberazione e della promessa. Coi fianchi già cinti, i calzari al piede, in mano il bordone, fu sollecito il popolo di Abramo a porsi in marcia cantando gli inni della gioia».

Tutti si alzano in piedi e intonano:
«Quando Israele uscì dall'Egitto e la casa di Giacobbe di mezzo ad un popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario», ecc. ecc. (se trovo giusto, è il salmo 114. Quello che viene detto subito dopo è il Salmo 113).

Ora Gesù taglia l'agnello, mesce un nuovo calice, lo passa dopo averne bevuto. Poi cantano ancora:
«Fanciulli, lodate il Signore, sia benedetto il nome dell'Eterno ora e sempre nei secoli. Dall'oriente all'occidente deve essere lodato», ecc.

Gesù dà le parti, badando che ognuno sia bon servito, proprio come un padre di famiglia fra figli a lui tutti cari. È solenne, un po' triste, mentre dice:
«Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua. È stato il mio desiderio dei desideri da quando, in eterno, Io fui "il Salvatore". Sapevo che quest'ora precede quella. E la gioia di darmi metteva in anticipo questo sollievo al mio patire...
Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perchè mai più gusterò del frutto della vite finchè sia venuto il Regno di Dio.
Allora mi assiderò nuovamente cogli eletti al Banchetto dell'Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente.
Ma ad esso verranno soltanto coloro che sono stati umili e mondi di cuore come Io sono
».

«Maestro, poco fa Tu hai detto che chi non ha l'onore del posto ha quello d'esserti di fronte. Come allora possiamo sapere chi è il primo fra noi?», chiede Bartolomeo.

«Tutti e nessuno. Una volta... tornavamo stanchi... nauseati per l'astio farisaico. (Vol 5 Cap 352). Ma stanchi non eravate per disputare fra di voi chi fosse il più grande...
Un bambino mi corse vicino... un mio piccolo amico... E la sua innocenza temperò il mio disgusto di tante cose. Non ultima la vostra umanità pervicace. Dove sei ora, piccolo Beniamino dalla sapiente risposta, a te venuta dal Cielo perchè, angelo come eri, lo Spirito ti parlava?
Io vi ho detto allora: "Se uno vuole essere il primo sia l'ultimo e servo di tutti". E vi ho dato ad esempio il fanciullo saggio.

Ora vi dico: "I re delle nazioni le signoreggiano. E i popoli oppressi, pur odiandoli, li acclamano e i re vengono detti ‘Benefattori’, ‘Padri della Patria’.
Ma l'odio cova sotto il bugiardo ossequio".

Ma fra voi così non sia. Il maggiore sia come il minore, il capo come colui che serve. Chi infatti è più grande? Chi sta a mensa, o chi serve?
È colui che sta a mensa. Eppure Io vi servo. E fra poco più vi servirò. Voi siete quelli che siete stati con Me nelle prove. Ed Io dispongo per voi un posto nel mio Regno, così come Io sarò in esso Re secondo il volere del Padre, acciocchè mangiate e beviate alla mia mensa eterna e siate assisi sui troni giudicando le dodici tribù di Israele. Siete rimasti con Me nelle mie prove...
Solo questo è quello che vi dà grandezza agli occhi del Padre
».

«E quelli che verranno? Non avranno posto nel Regno? Noi soli?».

«Oh! quanti principi nella mia Casa! Tutti coloro che saranno stati fedeli al Cristo nelle prove della vita saranno principi nel Regno mio.

Perchè coloro che avranno perseverato sino alla fine nel martirio dell'esistenza saranno pari a voi, che con Me siete rimasti nelle mie prove.
Io mi identifico nei miei credenti.
Il Dolore che Io abbraccio per voi e per tutti gli uomini Io lo do come insegna ai più eletti. Chi nel Dolore mi sarà fedele sarà un mio beato pari a voi, o miei diletti».

«Noi abbiamo perseverato fino alla fine».

«Lo credi, Pietro?
Ed Io ti dico che l'ora della prova ha ancora da venire. Simone, Simone di Giona, ecco che Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano.
Io ho pregato per te, perchè la tua fede non vacilli. Tu, quando sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli
».

«Lo so di essere un peccatore. Ma fedele a Te lo sarò fino alla morte. Non ho questo peccato. Mai l'avrò».

«Non essere superbo, Pietro mio.
Quest'ora muterà infinite cose, che prima erano così ed ora saranno diverse. Quante! ... Esse portano e importano necessità nuove. Voi lo sapete. Io vi ho sempre detto, anche quando andavamo per luoghi remoti percorsi dai banditi: "Non temete. Nulla ci accadrà di male perchè gli angeli del Signore sono con noi. Non preoccupatevi di nulla".
Vi ricordate quando vi dicevo: "Non abbiate sollecitudini per ciò che dovete mangiare e per le vesti. Il Padre sa di che abbiamo bisogno"?
Vi dicevo anche: "L'uomo è molto più di un passero e del fiore che oggi è erba e domani è fieno. Eppure il Padre ha cura anche del fiore e dell'uccellino.

Potete allora dubitare che non abbia cura di voi?".
Vi dicevo ancora: "Date a chiunque vi chiede, a chi vi offende presentate l'altra guancia".
Vi dicevo: "Non abbiate borsa nè bastone". Perchè Io ho insegnato amore e fiducia.

Ma ora... Ora non è più quel tempo.

Ora Io vi dico: "Vi è mai mancato nulla fino ad ora? Foste mai offesi?"
».

«Nulla, Maestro. E solo Tu fosti offeso».

«Vedete dunque che la mia parola era verità. Ma ora gli angeli sono tutti richiamati dal loro Signore. È ora di demoni... Con le ali d'oro essi, gli angeli del Signore, si coprono gli occhi, si fasciano e si dolgono che non siano ali di colore cruccioso, perchè è ora di lutto, e lutto crudele, sacrilego...

Non ci sono angeli sulla Terra questa sera. Sono presso il trono di Dio per coprire col loro canto le bestemmie del mondo deicida e il pianto dell'Innocente.

E noi siamo soli... Io e voi: soli.

E i demoni sono i padroni dell'ora. Perciò ora prenderemo le apparenze e le misure dei poveri uomini che diffidano e non amano.

Ora, chi ha una borsa prenda anche una bisaccia, chi non ha spada venda il suo mantello e ne comperi una.

Perchè anche questo è detto di Me nella Scrittura e si deve compiere: (Isaia 53, 12) "Egli è stato annoverato fra i malfattori".

In verità tutto ciò che mi riguarda ha il suo fine
».

Simone, che si è alzato andando alla cassapanca dove ha deposto il suo ricco mantello - perchè questa sera sono tutti con gli abiti migliori e perciò hanno pugnali, damaschinati ma molto corti, più coltelli che pugnali, alle ricche cinture - prende due spade, due vere spade, lunghe, lievemente ricurve, e le porta a Gesù:

«Io e Pietro ci siamo armati questa sera. Queste abbiamo. Ma gli altri non hanno che il corto pugnale».

Gesù prende le spade, le osserva, ne snuda una e ne prova il taglio sull'unghia. È una strana vista e fa una ancora più strana impressione vedere quell'arnese feroce nelle mani di Gesù.

«Chi ve le ha date?», chiede l'Iscariota mentre Gesù osserva e tace.
E pare sulle spine Giuda...

«Chi? Ti ricordo che mio padre era nobile e potente».
«Ma Pietro...».
«Ebbene? Da quando devo rendere conto dei doni che voglio fare ai miei amici?».

Gesùalza il capo dopo avere ringuainato l'arma. Le rende allo Zelote.
«Va bene. Bastano. Hai fatto bene a prenderle. "Ma ora, avanti la bevuta al terzo calice, attendete un momento. Vi ho detto che il più grande è pari al più piccolo e che Io ho veste di servo a questa tavola, e più vi servirò. Finora vi ho dato cibo. Servizio per il corpo. Ora vi voglio dare un cibo per lo spirito. Non è un piatto del rito antico. È del nuovo rito. Io mi sono voluto battezzare prima di essere il "Maestro".

Per spargere la Parola bastava quel battesimo. Ora verrà sparso il Sangue. Ci vuole un altro lavacro anche su voi, che pure vi siete purificati dal Battista, a suo tempo, e anche oggi nel Tempio. Ma non basta ancora.

Venite, che Io vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa di più alto e necessario del cibo dato al ventre perchè si empia, anche se è cibo santo come questo del rito pasquale.

Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi trono in voi e darvi la Vita. Dare la Vita a chi è mondo
».

Gesùsi alza in piedi, fa alzare Giovanni per uscire meglio dal suo posto, va ad una cassapanca e si leva la veste rossa deponendola piegata sul già piegato mantello, si cinge alla vita un ampio asciugamani, poi va ad un altro bacile, ancora vuoto e mondo. Vi versa dell'acqua, lo porta in mezzo alla stanza, presso la tavola, e lo mette su uno sgabello.

Gli apostoli lo guardano stupefatti.

«Non mi chiedete che faccio?».

«Non sappiamo. Ti dico che siamo già purificati», risponde Pietro.

«Ed Io ti ripeto che non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad essere più puro».

Si inginocchia. Slaccia i sandali all'Iscariota ed uno per volta gli lava i piedi. È facile farlo, perchè i lettisedili sono fatti in modo che i piedi sono verso l'esterno.
Giuda è sbalordito e non dice niente.

Solo quando Gesù, prima di calzare il piede sinistro e alzarsi, fa l'atto di baciargli il piede destro già calzato, Giuda ritrae violentemente il piede e colpisce con la suola la bocca divina. Lo fa senza volere. Non è un colpo forte. Ma mi dà tanto dolore. Gesù sorride, e all'apostolo che gli chiede: «Ti ho fatto male? Non volevo... Perdona», dice:
«No, amico. L'hai fatto senza malizia e non fa male».

Giuda lo guarda... Uno sguardo turbato, sfuggente...

Gesùpassa a Tommaso, poi a Filippo...

Gira il lato stretto della tavola e viene al cugino Giacomo. Lo lava e lo bacia, nell'alzarsi, in fronte.

Passa ad Andrea, che è rosso di vergogna e fa sforzi per non piangere, lo lava, lo carezza come un bambino.

Poi c'è Giacomo di Zebedeo, che non fa che mormorare:
«Oh! Maestro! Maestro! Maestro! Annichilito, sublime Maestro mio!».

Giovanni si è già slacciato i sandali e, mentre Gesùsta curvo ad asciugargli i piedi, si china e lo bacia sui capelli.

Ma Pietro!... Non è facile persuaderlo a quel rito!
«Tu lavare i piedi a me? Non te lo pensare! Sinchè sono vivo, non te lo permetterò. Io sono il verme, Tu sei Dio. Ognuno a suo posto».

«Ciò che Io faccio tu non lo puoi comprendere per ora. Ma poi lo comprenderai. Lasciami fare».

«Tutto quello che vuoi, Maestro. Vuoi tagliarmi il collo? Fàllo. Ma lavarmi i piedi non lo farai».

«Oh! mio Simone! Tu non sai che, se non ti lavo, non avrai parte nel mio Regno?
Simone, Simone! Tu hai bisogno di quest'acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Non vuoi venire con Me? Se non ti lavo, non vieni nel mio Regno
».

«Oh! Signor mio benedetto! Ma allora lavami tutto! Piedi, mani e capo!».

«Chi ha fatto come voi un bagno non ha bisogno che di lavarsi i piedi, giacchè è interamente puro. I piedi... L'uomo coi piedi va nelle lordure. E poco ancora sarebbe perchè, ve l'ho detto, non è ciò che entra ed esce col cibo quello che sporca, e non è quello che si posa sui piedi per via ciò che contamina l'uomo.
(Vedi Vol 5 Capp 300 e 301, e il capitolo 567).
Ma è quanto incuba e matura nel suo cuore e di lì esce a contaminare le sue azioni e le sue membra.

E i piedi dell'uomo dall'animo impuro vanno alle crapule, alle lussurie, agli illeciti commerci, ai delitti...

Perciò sono, fra le membra del corpo, quelle che hanno molta parte da purificare... con gli occhi, con la bocca...

Oh! uomo! uomo! Perfetta creatura un giorno: il primo! E poi così corrotto dal Seduttore!

E non c'era in te malizia, o uomo, e non peccato!... Ed ora? Sei tutto malizia e peccato, e non c'è parte di te che non pecchi!
».

Gesùha lavato i piedi a Pietro, li bacia, e Pietro piange e prende con le sue grosse mani le due mani di Gesù, se le passa sugli occhi e le bacia poi.
Anche Simone si è levato i sandali e senza parola si lascia lavare. Ma poi, quando Gesù sta per passare da Bartolomeo, Simone si inginocchia e gli bacia i piedi dicendo:
«Mondami dalla lebbra del peccato come mi mondasti dalla lebbra del corpo, acciocchè io non sia confuso nell'ora del giudizio, mio Salvatore!».

«Non temere, Simone. Verrai nella Città celeste bianco come neve alpina».

«Ed io, Signore? Al tuo vecchio Bartolmai che dici? Tu mi hai visto sotto l'ombra del fico e mi hai letto nel cuore. Ed ora che vedi, e dove mi vedi? Rassicura un povero vecchio, che teme non avere forza e tempo per giungere a come Tu vuoi che si sia».

Bartolomeo è molto commosso.
«Anche tu non temere. Ho detto allora: "Ecco un vero israelita in cui non è frode". Ora dico: "Ecco un vero cristiano degno del Cristo".
Dove ti vedo? Su un trono eterno, vestito di porpora. Io sarò sempre con te
».

È la volta di Giuda Taddeo. Questo, quando si vede ai piedi Gesù, non sa trattenersi, curva il capo sul braccio appoggiato sulla tavola e piange.

«Non piangere, dolce fratello. Ora sei come uno che deve sopportare lo strappo di un nervo e ti pare di non poterlo sopportare. Ma sarà un breve dolore. Poi... oh! tu sarai felice, perchè mi ami, tu.
Ti chiami Giuda. E sei come il nostro grande Giuda: (cioè Giuda Maccabeo, celebrato in 1 Maccabei 3, 1-9) come un gigante. Sei colui che protegge. Le tue azioni sono da leone e lioncello che rugge. Tu scoverai gli empi che davanti a te indietreggeranno, e saranno atterriti gli iniqui. Io so.
Sii forte. Un'eterna unione stringerà e renderà perfetta la nostra parentela in Cielo
».

Bacia anche lui sulla fronte come l'altro cugino.
«Io sono peccatore, Maestro. Non a me...».

«Tu eri peccatore, Matteo. Ora sei l'Apostolo. Sei una mia "voce". Ti benedico. Questi piedi quanta strada hanno fatto per venire sempre avanti, verso Dio... L'anima li spronava ed essi hanno lasciato ogni via che non fosse la mia via.
Procedi. Sai dove finisce il sentiero? Sul seno del Padre mio e tuo
».

Gesùha finito.

Si leva il telo, si lava in acqua pulita le mani, si riveste, torna al suo posto e dice, mentre si siede al suo posto:

«Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà di esserlo».

Fissa Giuda di Keriot che mostra di non udire, intento a spiegare al compagno Matteo come suo padre si decise a mandarlo a Gerusalemme. Un discorso inutile, che ha l'unico scopo di dare un contegno a Giuda che, per quanto audace, si deve sentire a disagio.

Gesù mesce per la terza volta nel calice comune. Beve, fa bere. Poi intona, e gli altri fanno coro:
«Amo perchè il Signore ascolta la voce della mia preghiera, perchè piega il suo orecchio verso di me. Io lo invocherò per tutta la vita. Mi avevano circondato dolori di morte», ecc.
(Vengono recitati, nell'ordine: Salmo 116, Salmo 117, Salmo 118 [lungo inno], Salmo 119 [quello che non finisce mai]). Un attimo di sosta. Poi riprende a cantare:

«Ebbi fede, per questo ho parlato. Ma ero fortemente umiliato. E dicevo nel mio smarrimento: "Ogni uomo è menzognero"».

Guarda fisso Giuda. La voce, stanca questa sera, del mio Gesù riprende lena quando esclama:
«È preziosa al cospetto di Dio la morte dei santi», e «Tu hai spezzato le mie catene. A Te sacrificherò ostia di lode invocando il nome del Signore», ecc. ecc.

Un'altra breve sosta nel canto e poi riprende:
«Lodate tutte il Signore, o nazioni, tutti i popoli lodatelo. Perchè si è affermata su noi la sua misericordia e la verità del Signore dura in eterno».

Altra breve sosta e poi un lungo inno:
«Celebrate il Signore, perchè Egli è buono, perchè la sua misericordia dura in eterno...».

Giuda di Keriot canta stonato tanto che per due volte Tommaso lo rimette in tono col suo potente vocione baritonale e lo guarda fisso. Anche altri lo guardano, perchè generalmente è sempre ben intonato, e della sua voce ho capito che se ne tiene come del resto. Ma questa sera! Certe frasi lo turbano al punto che stecca, e così certi sguardi di Gesù che sottolineano le frasi.

Una è:
«Meglio confidare nel Signore che confidare nell'uomo».

Un'altra è:
«Urtato, vacillavo e stavo per cadere. Ma il Signore mi ha sorretto».

Un'altra è:
«Io non morrò ma vivrò e narrerò le opere del Signore».

E infine queste due, che dico ora, fanno strozzare la voce in gola al Traditore:
«La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra angolare», e «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

Finito il salmo, mentre Gesù taglia e porge di nuovo dell'agnello, Matteo chiede a Giuda di Keriot: «Ma ti senti male?».

«No. Lasciami stare. Non ti occupare di me».

Matteo si stringe nelle spalle.

Giovanni, che ha udito, dice:
«Anche il Maestro non sta bene. Che hai, Gesù mio? La tua voce è fioca. Come di malato o di chi ha molto pianto», e lo abbraccia stando col capo sul petto di Gesù.

«Non ha che molto parlato, come io non ho che molto camminato e preso fresco», dice Giuda nervoso.

E Gesù, senza rispondere a lui, dice a Giovanni:
«Tu mi conosci ormai... e sai cosa è che mi stanca...».

L'agnello è quasi consumato. Gesù, che ha mangiato pochissimo, bevendo solo un sorso di vino ad ogni calice e bevendo in compenso molt'acqua come fosse febbrile, riprende a parlare:
«Voglio che voi comprendiate il mio gesto di dianzi. Vi ho detto che il primo è come l'ultimo e che vi darò un cibo non corporale.
Un cibo di umiltà vi ho dato.
Per lo spirito vostro.

Voi chiamate Me: Maestro e Signore.

Dite bene, perchè tale Io sono.

Se dunque Io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete farvelo l'un l'altro. Io vi ho dato l'esempio affinchè, come Io ho fatto, voi facciate.

In verità vi dico: il servo non è da più del padrone, nè l'apostolo è più di Colui che tale lo ha fatto. Cercate di comprendere queste cose. Se poi, comprendendole, le metterete in pratica, sarete beati. Ma non sarete tutti beati. Io vi conosco. So chi ho scelto. Non parlo di tutti ad un modo. Ma dico ciò che è vero.

D'altra parte, deve compiersi ciò che è scritto a mio riguardo: (Salmo 41, 10)
"Colui che mangia il pane con Me ha levato il suo calcagno su Me".

Tutto Io vi dico prima che avvenga, perchè non abbiate dubbi su Me. Quando tutto sarà compiuto, voi crederete ancor più che Io sono Io.

Chi accoglie Me accoglie Colui che mi ha mandato: il Padre santo che è nei Cieli; e chi accoglierà coloro che Io manderò, accoglierà Me stesso. Perchè Io sono col Padre e voi siete con Me... Ma ora compiamo il rito
».

Versa di nuovo vino nel calice comune e, prima di berne e di farne bere, si alza, e con Lui si alzano tutti, e canta di nuovo uno dei salmi di prima:
«Ebbi fede e per questo parlai...», e poi uno che non finisce mai. Bello... ma eterno! Credo di ritrovarlo per l'inizio e la lunghezza, nel salmo 119. Lo cantano così. Un pezzo tutti insieme. Poi, a turno, uno ne dice un distico e gli altri insieme un pezzo, e così via sino alla fine.
Lo credo che alla fine abbiano sete!
Gesù si siede. Non si mette sdraiato. Resta seduto, come noi. E parla:
«Ora che l'antico rito è compiuto, Io celebro il nuovo rito. Vi ho promesso un miracolo d'amore. È l'ora di farlo.
Per questo ho desiderato questa Pasqua.
Da ora in poi questo è l'ostia che sarà consumata in perpetuo rito d'amore. Vi ho amato per tutta la vita della Terra, amici diletti. Vi ho amato per tutta l'eternità, figli miei.
E amare vi voglio sino alla fine.
Non vi è cosa più grande di questa. Ricordatevelo. Io me ne vado. Ma resteremo per sempre uniti mediante il miracolo che ora Io compio
».

Gesù prende un pane ancora intiero, lo pone sul calice colmo. Benedice e offre questo e quello, poi spezza il pane e ne prende tredici pezzi e ne dà uno per uno agli apostoli dicendo:
«Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo. Fate questo in memoria di Me che me ne vado».

Dà il calice e dice:
«Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue. Questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e per il Sangue mio, che sarà sparso per voi per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita. Fate questo in memoria di Me».

Gesù è tristissimo. Ogni sorriso, ogni traccia di luce, di colore lo hanno abbandonato. Ha già un volto d'agonia. Gli apostoli lo guardano angosciati.

Gesùsi alza dicendo:
«Non vi muovete. Torno subito».

Prende il tredicesimo pezzetto di pane, prende il calice ed esce dal Cenacolo.

«Va dalla Madre», sussurra Giovanni.

E Giuda Taddeo sospira: «Misera donna!».

Pietro chiede in un soffio: «Credi che sappia?».

«Tutto sa. Tutto ha sempre saputo».

Parlano tutti a voce bassissima, come davanti ad un morto.

«Ma credete che proprio...», chiede Tommaso che non vuole ancora credere.

«E ne hai dubbi? È la sua ora», risponde Giacomo di Zebedeo.

«Dio ci dia la forza di essere fedeli», dice lo Zelote.

«Oh! io...», sta per parlare Pietro.

Ma Giovanni, che è all'erta, dice: «Sss. È qui».

Gesùrientra. Ha in mano il calice vuoto. Appena sul fondo vi è un'ombra di vino, e sotto la luce del lampadario pare proprio sangue. Giuda Iscariota, che ha davanti il calice, lo guarda come affascinato e poi ne torce lo sguardo.
Gesùl'osserva ed ha un brivido che Giovanni, appoggiato come è al suo petto, sente.
«Ma dillo! Tu tremi...», esclama.

«No. Non tremo per febbre... Io tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. Di più non potevo darvi. Me stesso vi ho dato». Ha il suo dolce gesto delle mani che, prima congiunte, ora si disgiungono e si allargano, mentre la testa si china come per dire:
«Scusate se non posso di più. Così è».
«Tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. E ripeto. Il nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di Me. Io vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro. Perchè in verità vi dico che, come è il Maestro, così devono essere i discepoli.

Ricordatelo, ricordatelo.

Anche quando sarete in alto, ricordatelo.
Non vi è discepolo da più del Maestro.

Come Io vi ho lavato, voi fatelo fra voi. Ossia amatevi come fratelli, aiutandovi l'un l'altro, venerandovi a vicenda, essendo l'un coll'altro d'esempio.
E siate puri.
Per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo ed avere in voi e per Esso la forza d'essere i miei discepoli nel mondo nemico, che vi odierà per il mio Nome.

Ma uno di voi non è puro. Uno di voi mi tradirà.

Di questo sono fortemente conturbato nello spirito...

La mano di colui che mi tradisce è meco su questa tavola, e non il mio amore, non il mio Corpo e il mio Sangue, non la mia parola lo ravvedono e lo fanno pentito.

Io lo perdonerei, andando alla morte anche per lui
».

I discepoli si guardano esterrefatti. Si scrutano, in sospetto l'un dell'altro. Pietro fissa l'Iscariota in un risveglio di tutti i suoi dubbi.
Giuda Taddeo scatta in piedi per guardare a sua volta l'Iscariota al disopra del corpo di Matteo.

Ma l'Iscariota è così sicuro! A sua volta guarda fisso Matteo come sospettasse di lui. Poi fissa Gesù e sorride chiedendo:
«Son forse io quello?».

Pare il più sicuro della sua onestà e che dica così, tanto per non lasciare cadere la conversazione.

Gesù ripete il suo gesto dicendo:
«Tu lo dici, Giuda di Simone. Non Io. Tu lo dici. Io non ti ho nominato. Perchè ti accusi? Interroga il tuo interno ammonitore, la tua coscienza di uomo, la coscienza che Dio Padre ti ha data per condurti da uomo, e senti se ti accusa. Tu lo saprai prima di tutti. Ma se essa ti rassicura, perchè dici una parola e pensi un fatto che è anatema anche a dirlo o a pensarlo per gioco?».

Gesù parla con calma.
Sembra sostenga la tesi proposta come lo può fare un dotto alla sua scolaresca. Il subbuglio è forte. Ma la calma di Gesùlo placa.

Però Pietro, che è il più sospettoso di Giuda - forse lo è anche il Taddeo, ma lo pare meno, disarmato come è dalla disinvoltura dell'Iscariota - tira Giovanni per la manica e quando Giovanni, che si è tutto stretto a Gesù udendo parlare di tradimento, si volge, gli sussurra:
«Chiedigli chi è».

Giovanni riprende la sua posizione, solo alza lievemente il capo come per baciare Gesù, e intanto gli mormora all'orecchio:
«Maestro, chi è?».

E Gesù pianissimo, rendendogli il bacio fra i capelli:
«Colui a cui darò un pezzo di pane intinto».

E preso un pane ancora intero, non il resto di quello usato per l'Eucarestia, ne stacca un grosso boccone, lo intinge nel succo lasciato dall'agnello nel vassoio, allunga al disopra della tavola il braccio e dice:
«Prendi, Giuda. Questo a te piace».

«Grazie, Maestro. Mi piace, sì», e ignaro di ciò che è quel boccone se lo mangia, mentre Giovanni, inorridito, chiude persino gli occhi per non vedere l'orrido riso dell'Iscariota mentre coi denti forti morde il pane accusatore.

«Bene. Ora che ti ho fatto felice, va'», dice Gesù a Giuda.

«Tutto è compiuto qui (marca molto la parola). Quello che resta ancora da fare altrove fàllo presto, Giuda di Simone».

«Ti ubbidisco subito, Maestro. Poi ti raggiungerò al Getsemani. Vai là, vero? Come sempre?».

«Vado là... come sempre... sì».

«Che ha da fare?», chiede Pietro. «Va solo?».

«Non sono un pargolo», motteggia Giuda che si sta mettendo il mantello.

«Lascialo andare. Io e lui sappiamo ciò che si deve fare», dice Gesù.

«Sì, Maestro».

Pietro tace. Forse pensa di avere peccato di sospetto verso il compagno. Con la mano sulla fronte, pensa.

Gesùsi stringe al cuore Giovanni e torna a sussurrargli fra i capelli:
«Non dire nulla a Pietro, per ora. Sarebbe un inutile scandalo».

«AdDio, Maestro. Addio, amici». Giuda saluta.

«Addio», dice Gesù.

E Pietro:
«Ti saluto, ragazzo».

Giovanni, col capo quasi nel grembo di Gesù, mormora: «Satana! ».

Solo Gesùl'ode e sospira.

Qui mi cessa tutto, ma Gesùdice:



«Sospendo per pietà di te. Ti darò la fine della Cena in altro momento».

(continua la Cena) Vi è qualche minuto di assoluto silenzio. Gesùsta a capo chino, carezzando macchinalmente i capelli biondi di Giovanni. Poi si scuote. Alza la testa, gira lo sguardo, ha un sorriso che conforta i discepoli.

Dice:
«Lasciamo la tavola. E sediamo tutti ben vicini, come tanti figli intorno al padre». Prendono i letti-sedili che erano dietro la tavola (quelli di Gesù, Giovanni, Giacomo, Pietro, Simone, Andrea ed il cugino Giacomo) e li portano dall'altro lato. Gesùprende posto sul suo, sempre fra Giacomo e Giovanni. Ma, quando vede che Andrea sta per sedersi al posto lasciato dall'Iscariota, grida: «No, là no».
Un grido impulsivo, che la sua somma prudenza non riesce a impedire. Poi modifica dicendo così:
«Non occorre tanto spazio. Stando seduti, si può stare su questi soli. Bastano. Vi voglio molto vicini».

Ora, rispetto alla tavola, sono messi in forma ad U con Gesù al centro e avendo di fronte la tavola, spoglia di vivande ormai, e il posto di Giuda. Giacomo di Zebedeo chiama Pietro:
«Siediti qui. Io mi siedo su questo sgabelletto, ai piedi di Gesù».

«Che Dio ti benedica, Giacomo! Ne avevo tanta voglia!», dice Pietro e si serra al suo Maestro, che è così fra la stretta di Giovanni e Pietro, avendo ai piedi Giacomo.

Gesùsorride:
«Vedo che comincia ad operare la parola detta prima. I buoni fratelli si amano. Anche Io ti dico, Giacomo: "Che Dio ti benedica". Anche questo tuo atto non sarà dimenticato dall'Eterno e lo troverai lassù.

"Tutto Io posso di quanto Io chiedo. Voi lo avete visto. È bastato un mio desiderio perchè il Padre concedesse al Figlio di darsi in Cibo all'uomo.

Con quanto è accaduto adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, perchè è testimonianza di potere il miracolo che non è che possibile agli amici di Dio.

Più è grande il miracolo e più è sicura e profonda questa divina amicizia. Questo è un miracolo che, per la sua forma, durata e natura, per gli estremi di esso ed i limiti che tocca, più forte non ce ne può essere.

Io ve lo dico: tanto è potente, soprannaturale, inconcepibile all'uomo superbo, che ben pochi lo comprenderanno come va compreso, e molti lo negheranno.

Che dirò allora? Condanna per loro? No. Dirò: pietà! Ma più grande è il miracolo, più grande è la gloria che all'autore dello stesso viene.
È Dio stesso che dice: "Ecco, questo mio diletto ciò che ha voluto ha avuto, ed Io l'ho concesso perchè egli ha grande grazia agli occhi miei".

E qui dice: "Ha una grazia senza limiti così come è infinito il miracolo da Lui compiuto".

Parimenti alla gloria che si riversa sull'autore del miracolo da parte di Dio è la gloria che da esso autore si riversa sul Padre.

Perchè ogni gloria soprannaturale, essendo veniente da Dio, alla sua sorgente ritorna. E la gloria di Dio, per quanto già infinita, sempre più si aumenta e sfavilla per la gloria dei suoi santi.

Onde Io dico: come è stato glorificato il Figlio dell'uomo da Dio, così Dio è stato glorificato dal Figlio dell'uomo.

Io ho glorificato Dio in Me stesso.

A sua volta, Dio glorificherà il suo Figlio in Lui.

Ben presto lo glorificherà.

Esulta, Tu che torni alla tua Sede, o Essenza spirituale della Seconda Persona!

Esulta, o Carne che torni ad ascendere dopo tanto esilio nel fango!

E non già il Paradiso d'Adamo, ma l'eccelso Paradiso del Padre sta per esserti dato a dimora.

Chè, se è stato detto che per lo stupore di un comando di Dio (Giosuè 10, 12-14), dato per bocca di un uomo, si arrestò il sole, che non avverrà negli astri quando vedranno il prodigio della Carne dell'Uomo ascendere e sedersi alla destra del Padre nella sua Perfezione di materia glorificata?

Figliolini miei, per poco ancora Io resto con voi. E voi, dopo, mi cercherete come gli orfani cercano il morto genitore. E piangendo andrete parlando di Lui e picchierete invano al muto sepolcro, e poi ancora picchierete alle porte azzurre dei Cieli, con l'anima vostra lanciata in supplice ricerca d'amore, dicendo: "Dove il nostro Gesù? Lo vogliamo. Senza Lui non è più luce nel mondo, non letizia, nè amore. O ce lo rendete, oppure lasciateci entrare. Noi vogliamo essere dove Egli è".

Ma non potete per ora venire dove Io vado. L'ho detto anche ai giudei: (Vedi Vol 7 Cap 488) "Poi mi cercherete, ma dove Io vado voi non potete venire".
Lo dico anche a voi.

Pensate alla Madre... Neppure Lei potrà venire dove Io vado. Eppure Io ho lasciato il Padre per venire a Lei e farmi Gesù nel suo seno senza macchia.

Eppure dall'Inviolata Io sono venuto, nell'estasi luminosa del mio Natale. E del suo amore, divenuto latte, mi sono nutrito.

Io sono fatto di purità e di amore perchè Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall'Amore perfetto che vive in Cielo.

Eppure per Lei Io sono cresciuto, costandole fatiche e lacrime... Eppure Io le chiedo un eroismo quale mai fu compito, e rispetto al quale quello di Giuditta e Giaele sono eroismi di povere femmine contrastanti colla rivale presso la fonte del paese.

Eppure nessuno pari a Lei è nell'amarmi.

E, ciononostate, Io la lascio e vado dove Lei non verrà che fra molto tempo. Per Lei non è il comando che do a voi: "Santificatevi anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ora per ora, per potere venire a Me quando sarà la vostra ora".

In Lei è ogni grazia e santità.

È la creatura che ha tutto avuto e che tutto ha dato. Nulla vi è da aggiungere o da levare.

È la santissima testimonianza di ciò che può Iddio.

Ma per essere certo che in voi sia capacità di potermi raggiungere e di dimenticare il dolore del lutto della separazione daI vostro Gesù, Io vi do un comandamento nuovo.

Ed è che vi amiate gli uni con gli altri. Così come Io ho amato voi, ugualmente voi amatevi l'uno con l'altro.
Da questo si conoscerà che siete miei discepoli.

Quando un padre ha molti figli, da che si conosce che tali sono? Non tanto per l'aspetto fisico - perchè vi sono uomini che sono in tutto simili ad un altro uomo, col quale non vi è nessun rapporto di sangue e neppure di nazione - quanto per il comune amore alla famiglia, al padre loro, e fra loro.

Ed anche morto il padre non si disgrega la buona famiglia, perchè il sangue è uno ed è sempre quello avuto dal seme del padre, e annoda legami che neppure la morte scioglie, perchè più forte della morte è l'amore.

Ora, se voi vi amerete anche dopo che Io vi avrò lasciati, tutti riconosceranno che voi siete miei figli, e perciò miei discepoli, e fra voi fratelli avendo avuto un unico padre
».

«Signore Gesù, ma dove vai?», chiede Pietro.

«Vado dove tu per ora non mi puoi seguire. Ma più tardi mi seguirai».

«E perchè non adesso? Ti ho seguito sempre da quando Tu mi hai detto: "Seguimi". Ho tutto lasciato senza rimpianto... Ora, andartene senza il tuo povero Simone, lasciandomi privo di Te, mio Tutto, dopo che per Te ho lasciato il mio poco bene di prima, non è giusto nè bello da parte tua.
Vai alla morte? Sta bene. Ma io pure vengo. Andremo insieme nell'altro mondo. Ma prima ti avrò difeso. Io sono pronto a dare la vita per Te».

«Tu darai la tua vita per Me? Ora? Ora no. In verità - oh! che in verità te lo dico - non avrà ancora cantato il gallo che tu mi avrai rinnegato tre volte.

Ora è ancora la prima vigilia. Poi verrà la seconda... e poi la terza. Prima che scocchi il gallicinio, tu avrai per tre volte rinnegato il tuo Signore
».

«Impossibile, Maestro! Credo a tutto ciò che dici. Ma non a questo. Sono sicuro di me».

«Ora, per ora sei sicuro. Ma perchè ora hai ancora Me. Hai con te Iddio. Fra poco l'incarnato Iddio sarà preso e non l'avrete più. E Satana, dopo avervi già appesantiti - la tua stessa sicurezza è una astuzia di Satana, zavorra per appesantirti - vi spaurirà. Vi insinuerà: "Dio non è. Io sono". E siccome, per quanto ottusi dallo spavento, ancora ragionerete, voi capirete che quando è Satana il padrone dell'ora è morto il Bene ed è operante il Male, abbattuto lo spirito e trionfante l'umano.

Allora resterete come guerrieri senza duce, inseguiti dal nemico, e nello sbigottimento dei vinti curverete le schiene al vincitore, e per non essere uccisi rinnegherete il caduto eroe.

Ma, ve ne prego. Il vostro cuore non si turbi. Credete in Dio. E credete anche in Me.

Contro tutte le apparenze, credete in Me.

Creda nella mia misericordia e in quella del Padre tanto colui che resta come colui che fugge.
Tanto colui che tace come colui che aprirà la bocca per dire: "Io non lo conosco".

Ugualmente credete nel mio perdono.

E credete che, quali che siano in futuro le vostre azioni, nel Bene e nella mia Dottrina, nella mia Chiesa perciò, esse vi daranno un uguale posto in Cielo.

Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, Io ve lo avrei detto. Perchè Io vado avanti. A preparare un posto per voi.

Non fanno forse così i buoni padri quando devono portare altrove la loro piccola prole? Vanno avanti, preparano la casa, le suppellettili, le provviste. E poi tornano a prendere le loro creature più care.
Così fanno per amore. Perchè ai piccoli nulla manchi, e non provino disagio nel nuovo paese.

Ugualmente così Io faccio. E per lo stesso motivo. Ora vado. E quando avrò preparato ad ognuno il posto nella Gerusalemme celeste, verrò di nuovo, vi prenderò con Me perchè siate con Me dove Io sono, dove non ci sarà più nè morte, nè lutti, nè lacrime, nè grida, nè fame, nè dolore, nè tenebre, nè arsione, ma solo luce, pace, beatitudine e canto.

Oh! canto dei Cieli altissimi quando i dodici eletti saranno sui troni coi dodici patriarchi delle tribù d'Israele, e nell'ardenza del fuoco dell'amore spirituale canteranno, eretti sul mare della beatitudine, il cantico eterno che avrà ad arpeggio l'eterno alleluia dell'esercito angelico...

Io voglio che dove Io sarò voi siate.

E voi sapete dove Io vado e ne conoscete la via
».

«Ma Signore! Noi non sappiamo nulla. Tu non ci dici dove vai. Come possiamo noi sapere la via da prendere per venire verso Te e abbreviare l'attesa?», chiede Tommaso.

«Io sono la Via, la Verità, la Vita. Me lo avete sentito dire e spiegare più volte, ed in verità alcuni, che neppure sapevano esservi un Dio, si sono incamminati avanti, per la mia via, e sono già avanti di voi.
Oh! dove sei tu, pecora spersa di Dio che Io ho ricondotta all'ovile? E dove tu, risorta d'anima?
».

«Chi? Di chi parli? Di Maria di Lazzaro? È di là, con tua Madre. La vuoi? O vuoi Giovanna? Certo è nel suo palazzo. Ma, se vuoi, te l'andiamo a chiamare...».

«No. Non loro... Penso a quella che sarà disvelata solo in Cielo... e a Fotinai... (La samaritana, incontrata nei capitoli 143-144 e in 147 del Vol 2, e ricordata in 571 e in 572; l'altra è Aglae, incontrata la prima volta nel capitolo 77 del Vol 1). Esse mi hanno trovato. E non hanno più lasciato la mia via. Ad una ho indicato il Padre come Dio vero e lo spirito come levita in questa individuale adorazione. All'altra, che neppur sapeva di avere uno spirito, ho detto: "Il mio nome è Salvatore, salvo chi ha buona volontà di salvarsi. Io sono Colui che cerca i perduti, che dà la Vita, la Verità e la Purezza. Chi mi cerca mi trova".

E ambedue hanno trovato IdDio... Vi benedico, deboli Eve divenute più forti di Giuditta... Vengo, dove voi siete vengo... Voi mi consolate... Siate benedette!
... ».

«Mostraci il Padre, Signore, e saremo pari a queste», dice Filippo.

«Da tanto tempo Io sono con voi, e tu, Filippo, non mi hai ancora conosciuto?
Chi vede Me vede il Padre mio.
Come puoi dunque dire: "Mostraci il Padre"? Non riesci a credere che Io sono nel Padre e il Padre è in Me?

Le parole che Io vi dico non le dico da Me. Ma il Padre che dimora in Me compie ogni mia opera. E voi non credete che Io sono nel Padre e Lui è in Me?

Che devo dire per farvi credere?

Ma se non credete alle parole, credete almeno alle opere. Io vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che Io faccio, e ancor di maggiori ne farà, perchè Io vado al Padre.

E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome Io lo farò, perchè il Padre sia glorificato nel suo Figlio.

E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome.

Il mio Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che dal nostro amore procede.

E per quel Nome tutto è possibile.

Chi pensa al mio Nome con amore mi ama e ottiene.

Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei comandamenti per avere il vero amore.

Sono le opere quelle che testificano dei sentimenti. E per questo amore Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui Satana e il mondo non può infierire, lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perchè non lo vede e non lo conosce.

Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra ogni misura, sarà sempre con chi lo ama, anche se povero e debole.

Voi lo conoscerete, perchè già dimora con voi e presto sarà in voi. Io non vi lascerò orfani. Già ve l'ho detto: "Ritornerò a voi". Ma, prima che sia l'ora di venirvi a prendere per andare nel mio Regno, Io verrò. A voi verrò.

Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma voi mi vedete e mi vedrete. Perchè Io vivo e voi vivete. Perchè Io vivrò e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi.

Perchè chi accoglie i miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e possederà Iddio, perchè Dio è carità e chi ama ha in sè Dio.

Ed Io lo amerò, perchè in lui vedrò Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio amore, della mia sapienza, della mia Divinità incarnata.

Saranno i miei ritorni fra i figli dell'uomo, che Io amo nonostante siano deboli e anche nemici.

Ma costoro saranno solo deboli. Ed Io li fortificherò; dirò loro: "Sorgi!", dirò: "Vieni fuori!", dirò: "Seguimi", dirò: "Odi", dirò: "Scrivi"... e voi siete fra questi
».

«Perchè, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.

«Perchè mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo. Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di GesùNazareno ma parola del Padre, perchè Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato.

Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perchè voglio lo stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza.

Ma ancora non potete capire nè ricordare. Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto.

Io vi lascio la mia pace.
Io vi do la mia pace.

Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l'ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti.

Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio.

Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perchè in voi resti una forza nella imminente battaglia. Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora.

Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perchè Io sono il Re della pace.

Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sè soffre, ma non bestemmia e dispera. Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: "Vado al Padre e poi tornerò". Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perchè Io vado dal Padre dopo tanto esilio... Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l'ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinchè, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così! Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio... Poco più ho da parlarvi... e ancora tanto ho da dire!

Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso?

Dubiterò? No.
Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti.

Egli compirà l'opera del suo Verbo.

Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l'umana.

Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente.

Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinchè il mondo conosca che Io amo il Padre e lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.

È l'ora di andare. Alzatevi.

E udite le ultime parole.
Io sono la vera Vite.
Il Padre ne è il Coltivatore.
Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perchè ne porti più ancora.
Voi siete già purificati per la mia parola.
Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali.
Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto.

Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci. Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perchè, senza l'unione con Me, voi nulla potete fare.

Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto.

Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli. Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l'ubbidienza aumenta il reciproco amore.

Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate.

Io vi dico queste cose perchè la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio comandamento nuovo. Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso.

Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando.

Non vi chiamo più servi. Perchè il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio. Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio.

Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perchè andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome.

Non dite: "E allora, se Tu ci hai scelti, perchè hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perchè hai fatto questo?". Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È Satana.

L'ho detto all'amico fedele e l'ho lasciato dire dal figlio diletto. È Satana. Se Satana non si fosse incarnato, l'eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù.

Ho detto: "posseduto". No. È molto di più: è un annullato in Satana
».

«Perchè, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d'Alfeo.

«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».

«Io, allora?».

«Io?».

«Io?».

«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».

«Ma perchè non lo hai vinto? Non potevi?».

«Potevo. Ma, per impedire a Satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell'uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».

«Dimmelo, Signore, dimmelo! ». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio.
«Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu... Tu hai detto che ti rinnegherò... Ed io tremo... Oh! che orrore essere io!...».

«No, Simone di Giona. Non tu».

«Perchè mi hai levato il mio nome di "Pietra"? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici! ... Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo... ditelo voi... Quando è che ho potuto divenire traditore?... Simone?... Giovanni?... Ma parlate!...».

«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perchè penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità».

«Chi, allora?».

«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.

«Perchè non me lo hai detto prima? Perchè?», urla anche Pietro.

«Silenzio. È Satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?».

«A cercarlo».

«Posa subito quel mantello e quell'arma. O ti devo scacciare e maledire?».

«No, no! Oh! Signor mio! Ma io... ma io... Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!».
Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.

«Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l'odio, in voi sia solo l'amore. Per tutti.
Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male.

Altrimenti il Padre odierà voi. Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio.

Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati.

Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi.

Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perchè non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato.

Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre.

Perchè Io e il Padre siamo una sola Unità con l'Amore.

Ma era scritto: (Salmi 35, 19; 69, 5) "Mi odiasti senza ragione".

Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perchè dal principio foste con Me.

Questo vi dico perchè, quando sarà l'ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò.

Non hanno conosciuto nè il Padre nè Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perchè eravate come bambini pur mo' nati. Ma ora la Madre vi lascia. Io vado.

Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate. Nessuno più mi chiede: "Dove vai?". La tristezza vi fa muti.

Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada.
Altrimenti non verrà il Consolatore.

Io ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l'eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità.

E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti.

Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perchè ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perchè non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro.

Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.

Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.

Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro.

Udite una parabola. L'ultima del vostro Maestro.
Quando una donna ha concepito e giunge all'ora del parto, è in grande afflizione perchè soffre e geme.

Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perchè un uomo è venuto al mondo.

Così voi.

Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una gioia che il mondo mai conoscerà.
Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi.

Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne.
Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa.

Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perchè abbiate sempre più gioia.

Domandate, domandate.
E riceverete.

Viene l'ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perchè sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perchè vi avrà dato forza nella prova.

E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: "Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te". Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi
».

«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio!».

«Adesso credete? All'ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione.

Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso.

Non come lo disse Satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico.

È il vero frutto dell'albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà "Dio" nel Regno di Dio.

Voi sarete dèi se permarrete in Me. Eppure ecco... pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poichè sta venendo l'ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo...

Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare! Tutto vi ho detto... Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. Io ho vinto il mondo
».

Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente. (Nel suo Vangelo: Giovanni 17).

Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno. Gesù li benedice.

Poi ordina:
«Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, di' al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani... vi farà piacere rivedere questo luogo».

Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli. Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia.

«Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo.

«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».

Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l'ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un ordigno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino.

Dice Gesù:

«Dall'episodio della Cena, oltre la considerazione della carità di un Dio che si fa Cibo agli uomini, risaltano quattro ammaestramenti principali.

Primo: la necessità per tutti i figli di Dio di ubbidire alla Legge. La Legge diceva che si doveva per Pasqua consumare l'agnello secondo il rituale dato dall'Altissimo a Mosè, ed Io, Figlio vero del Dio vero, non mi sono riputato, per la mia qualità divina, esente dalla Legge.
Ero sulla Terra: Uomo fra gli uomini e Maestro degli uomini. Dovevo perciò fare il mio dovere di uomo verso Dio come e meglio degli altri. I favori divini non esimono dall'ubbidienza e dallo sforzo verso una sempre maggiore santità.
Se paragonate la santità più eccelsa alla perfezione divina, la trovate sempre piena di mende, e perciò obbligata a sforzare se stessa per eliminarle e raggiungere un grado di perfezione per quanto più è possibile simile a quello di Dio.

Secondo: la potenza della preghiera di Maria. Io ero Dio fatto Carne. Una Carne che, per essere senza macchia, possedeva la forza spirituale per signoreggiare la carne.
Eppure non ricuso, anzi invoco l'aiuto della Piena di Grazia, la quale anche in quell'ora di espiazione avrebbe trovato, è vero, sul suo capo il Cielo chiuso, ma non tanto che non riuscisse a strapparne un angelo, Lei, Regina degli angeli, per il conforto del suo Figlio.
Oh! non per Lei, povera Mamma! Anche Lei ha assaporato l'amaro dell'abbandono del Padre, ma per questo suo dolore offerto alla Redenzione m'ha ottenuto di potere superare l'angoscia dell'orto degli Ulivi e di portare a termine la Passione in tutta la sua multiforme asprezza, di cui ognuna era volta a lavare una forma e un mezzo di peccato.

Terzo: il dominio su se stessi e la sopportazione dell'offesa, carità sublime su tutte, la possono avere unicamente quelli che fanno vita della loro vita la legge di carità che Io avevo bandita. E non bandita solo, ma praticata realmente.
Cosa sia stato per Me aver meco alla mia tavola il mio Traditore, il dovere darmi ad esso, il dovere umiliarmi ad esso, il dovere dividere con esso il calice di rito e posare le labbra là dove egli le aveva posate, e farle posare a mia Madre, voi non potete pensare.
I vostri medici hanno discusso e discutono sulla mia rapida fine e le dànno origine in una lesione cardiaca dovuta alle percosse della flagellazione.
Sì, anche per queste il mio cuore divenne malato. Ma lo era già dalla Cena. Spezzato, spezzato nello sforzo di dover subire al mio fianco il mio Traditore. Ho cominciato a morire allora, fisicamente. Il resto non è stato che aumento della già esistente agonia.
Quanto ho potuto fare l'ho fatto perchè ero uno con la Carità. Anche nell'ora in cui Dio-Carità si ritirava da Me, ho saputo esser carità, perchè ero vissuto, nei miei trentatrè anni, di carità.
Non si può giungere ad una perfezione, quale si richiede per perdonare e sopportare il nostro offensore, se non si ha l'abito della carità. Io l'avevo, e ho potuto perdonare e sopportare questo capolavoro di Offensore che fu Giuda.

Quarto: il Sacramento opera quanto più uno è degno di riceverlo. Se ne è fatto degno con una costante volontà, che spezza la carne e fa Signore lo spirito, vincendo le concupiscenze, piegando l'essere alle virtù, tendendolo come arco verso la perfezione delle virtù e soprattutto della carità.
Perchè, quando uno ama, tende a far lieto chi ama. Giovanni, che mi amava come nessuno e che era puro, ebbe dal Sacramento il massimo della trasformazione. Cominciò da quel momento ad essere l'aquila, a cui è familiare e facile l'altezza nel Cielo di Dio e l'affissare il Sole eterno.
Ma guai a chi riceve il Sacramento senza esserne affatto degno, ma anzi avendo accresciuto la sua sempre umana indegnità con le colpe mortali. Allora esso diviene non germe di preservazione e di vita ma di corruzione e di morte. Morte dello spirito e putrefazione della carne, per cui essa "crepa", come dice Pietro di quella di Giuda. (Atti 1, 18). Non sparge il sangue, liquido sempre vitale e bello nella sua porpora, ma le sue interiora, nere di tutte le libidini, marciume che si riversa fuori dalla carne marcita come da carogna di animale immondo, oggetto di ribrezzo per i passanti.
La morte del profanatore del Sacramento è sempre la morte di un disperato, e perciò non conosce il placido trapasso proprio di chi è in grazia, nè l'eroico trapasso della vittima che soffre acutamente ma con lo sguardo fisso al Cielo e l'anima sicura della pace.
La morte del disperato è atroce di contorsioni e di terrori, è una convulsione orrenda dell'anima già ghermita dalla mano di Satana, che la strozza per svellerla dalla carne e che la soffoca col suo nauseabondo fiato.
Questa la differenza fra chi trapassa all'altra vita dopo essersi nutrito in essa di carità, fede, speranza e d'ogni altra virtù e dottrina celeste e del Pane angelico che l'accompagna coi suoi frutti - meglio se con la sua reale presenza - nel viaggio estremo, e chi trapassa dopo una vita di bruto con morte da bruto che la Grazia e il Sacramento non confortano. La prima è la serena fine del santo, a cui la morte apre il Regno eterno. La seconda è la spaventosa caduta del dannato, che si sente precipitare nella morte eterna e conosce in un attimo ciò che ha voluto perdere, nè più può riparare.
Per uno acquisto, per l'altro spogliamento. Per uno gioia, per l'altro terrore. Questo è quanto vi date a seconda del vostro credere ed amare, o non credere e deridere il dono mio.
E questo è l'insegnamento di questa contemplazione
».

Ora santa

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«“Se non ti laverò non avrai parte nel mio Regno”.

Anima che amo, e voi tutti che amo, udite.

Io sono che vi parlo, perchè voglio passare con voi quest’ora. Io, Gesù, non vi allontano dal mio altare anche se ad esso venite con l’anima lesa da piaghe e malattie o avvolta in liane di passioni che vi mortificano nella vostra libertà spirituale, dandovi legati in potere della carne e del suo re: Lucifero.

Io sono sempre Gesù, il Rabbi di Galilea, quello che i lebbrosi, i paralitici, i ciechi, gli ossessi, gli epilettici chiamavano a gran voce dicendo:
“Figlio di Davide, abbi pietà di me”.

Io sono sempre Gesù, il Rabbi che tende la mano a colui che affoga e gli dice: “Perchè dubiti di Me?”.

Io sono sempre Gesù, il Rabbi che dice ai morti: “Alzati e vai. Lo voglio. Esci dal tuo sonno di morte, dal tuo sepolcro, e cammina” e vi rendo a chi vi ama.

E chi vi ama, o miei diletti? Chi vi ama di amore vero, non egoista, non mutabile? Chi vi ama di un amore non interessato, non avaro, ma unica sua mèta è quella di darvi ciò che per voi ha accumulato e dirvi: “Prendi. È tutto tuo. Tutto questo l’ho fatto per te, perchè sia tuo e tu ne goda”?

Chi?
L’eterno Dio.

Ed Io a Lui vi rendo.

A Lui che vi ama.

Io non vi allontano dal mio altare. Perchè quell’altare è la mia cattedra, è il mio trono, è la dimora del Medico che guarisce ogni male. Da qui Io vi insegno ad avere fede. Da qui, Re di Vita, vi dono la Vita. Da qui mi curvo sulle vostre malattie e le risano con l’alito del mio amore.

Faccio più ancora, o figli. Scendo da questo altare e vi vengo incontro. Eccomi che mi faccio alla soglia di queste mie case dove troppo pochi entrano e in meno ancora vi entrano con fede sicura. Eccomi che, figura di pace, mi affaccio sulle vostre vie dove passate accasciati, avvelenati, arsi dal dolore, dall’interesse, dall’odio.

Ecco che vi tendo le mani perchè vi vedo vacillare stanchi sotto il peso di macigni che vi siete imposti e che hanno preso il posto di quella croce che Io vi avevo data in mano perchè vi fosse sostegno come lo è il bordone per il pellegrino.

Ecco che vi dico: “Entra. Riposa. Bevi”, perchè vi vedo esausti, assetati. Ma voi non mi vedete. Mi passate accosto, mi urtate, talora per malanimo, talora per offuscamento di vista spirituale, mi guardate delle volte. Ma sapete di essere sozzi e non osate accostarvi al mio candore di Ostia divina.

Ma questo Candore vi sa compatire. Conoscetemi, uomini, che di Me diffidate perchè non mi conoscete. Udite. Io ho voluto lasciare la Libertà e la Purezza che sono l’atmosfera del Cielo e scendere in questa vostra carcere, in quest’aria impura, per aiutarvi, perchè vi amo.

Più ancora ho fatto: mi sono privato della mia libertà di Dio e mi sono reso schiavo di una carne. Lo spirito di Dio chiuso in una carne, l’Infinità serrata in un pugno di muscoli e ossa, soggetta a sentire le voci di questa carne a cui è pena il freddo e il sole, la fame, la sete, la fatica.

Tutto potevo ignorare. Ho voluto conoscere le torture dell’uomo decaduto dal suo trono di innocente per amarvi di più.

Non mi è bastato ancora. Ho voluto – poichè per compatire bisogna patire ciò che patisce chi si compatisce – ho voluto sentire l’assalto di tutti i sentimenti per sentire le vostre lotte, per capire quale astuta tirannide vi pone nel sangue Satana, per comprendere come è facile rimanere ipnotizzati dal Serpente se si abbassano un solo momento gli occhi sul suo sguardo fascinatore, dimenticando di vivere nella luce. Perchè nella luce non vive il serpe. Va nei recessi ombrosi che paiono riposanti e sono unicamente insidiosi. Per voi queste ombre hanno nome: donna, denaro, potere, egoismo, senso, ambizione. Vi eclissano la Luce che è Dio. In mezzo ad esse è il Serpente: Satana. Pare un monile. È la corda per il vostro strangolamento.

Ho voluto conoscere ciò perchè vi amo. Non mi è bastato ancora. A Me sarebbe bastato. Ma la Giustizia del Padre poteva dire alla sua Carne: “Tu hai trionfato dell’insidia. L’uomo-carne come Te, ora, non sa trionfare, e perciò sia punito perchè Io non posso perdonare a chi è sozzo”.

Ho preso su Me le vostre sozzure. Quelle passate, quelle del momento e quelle future.
Tutte.

Più di Giobbe, immerso in un letamaio putrido per fare velo alle sue piaghe, Io fui quando, sommerso dal peccato di tutto un mondo, non osavo neppur più alzare gli occhi a cercare il Cielo e gemevo sentendo pesare su Me il corruccio del Padre accumulato da secoli, cosciente delle colpe avvenire. Un diluvio di colpe sulla Terra, dalla sua alba alla sua notte. Un diluvio di maledizioni sul Colpevole. Sull’Ostia del Peccato. O uomini!

Più innocente di un pargolo che la madre bacia al ritorno dal suo battesimo Io ero. E di Me inorridì l’Altissimo perchè ero il Peccato, avendo preso su Me tutto il peccato del mondo. Ho sudato di ribrezzo.

Sangue ho sudato per il ribrezzo di questa lebbra su Me che ero l’Innocente. Il sangue m’ha rotto le vene nello schifo di questo fetido stagno in cui ero sommerso.

E a compiere questa tortura, a spremere dal cuore il mio sangue, si è unito l’amaro di esser maledetto, perchè non ero in quell’ora il Verbo di Dio: ero l’Uomo.
L’Uomo.
Il Colpevole.

Posso, Io che ho provato, non comprendere il vostro avvilimento e non amarvi perchè siete avviliti?

Vi amo per questo. Non ho che ricordare quell’ora per amarvi e chiamarvi: “Fratelli!”. Ma chiamarvi così non basta perchè il Padre vi possa chiamare: “Figli”. Ed Io voglio che così vi chiami. Che fratello sarei se non vi volessi meco nella Casa paterna?

Ecco allora che vi dico:
“Venite chè Io vi lavi”.

Nessuno è tanto lurido che il mio lavacro non lo deterga.
Nessuno è tanto puro da non aver bisogno del mio bagno.

Venite.

Non è acqua questa. Vi sono fonti di miracolo che sanano le piaghe e i morbi della carne. Ma questa è più di esse.

Questa fonte sgorga dal mio petto.

Ecco il Cuore squarciato da cui zampilla l’acqua che lava. Il mio Sangue è la più limpida acqua che sia nel creato.

In esso si annullano infermità e imperfezioni. E bianca e integra torna la vostra anima, degna del Regno.

Venite.
Lasciate che Io vi dica: “Io ti assolvo!”

Apritemi il vostro cuore.
In esso sono le radici dei vostri mali. Lasciate che Io entri. Lasciate che Io sleghi le vostre bende. Vi fanno ribrezzo le vostre piaghe? Viste alla mia luce vi appaiono qual sono: brulicanti di vermi schifosi. Non le guardate. Guardate le mie. Lasciatemi fare. Ho mano leggera. Non sentirete che una carezza… e tutto sarà guarito. Non sentirete che un bacio e una lacrima. E tutto sarà mondato.

O come belli sarete, allora, intorno al mio altare! Angeli fra gli angeli del Ciborio. E grande gioia ne avrà il mio Cuore.

Perchè sono il Salvatore e non disprezzo nessuno.

Ma sono anche l’Agnello che si pasce fra i gigli, e d’esser circondato di candore mi beo perchè per farvi candidi ho preso vita e ho dato vita. O come vedo sorridervi il Padre e sfolgorarvi dei suoi fulgori l’Amore, perchè non siete più macchiati di peccato!

Venite alla fonte del Salvatore.

Il mio Sangue scenda sull’animo contrito e una voce, in cui è la mia, dica:
“Io ti assolvo nel nome del Padre, Figlio e Spirito Santo”.»


«“Uno di voi mi tradirà”.
Uno di voi!
Sì, nella proporzione di uno a dodici uno di voi mi tradisce.

Ogni tradimento è più penoso di una lanciata. Guardate l’Umanità del vostro Redentore. Dalla testa ai piedi è tutta una ferita. La flagellazione fa inorridire chi la medita e agonizzare chi la prova. Ma fu strazio di un’ora.

Voi che mi tradite mi flagellate il Cuore. Sono secoli che lo fate. Io vi ho amato. Io vi amo. Io vi compatisco. Io vi perdono. Io vi lavo, levandomi il Sangue per farvene bagno purificatore.
E voi mi tradite.

Sono il Verbo di Dio. Sono glorioso in Cielo. Ma in questo Cielo vi sono non solo come spirito. Vi sono anche come Carne. La carne ha sentimenti e affetti.

Perchè volete rinnovare a Me, continuamente, quel corrodente fuoco che è la vicinanza di un traditore?

Il Cielo è lontano?
No, figli che mi tradite. Io sono vicino a voi. Sono fra voi. E voi mi bruciate con la vampa del vostro tradire.

Guardo, cercando un conforto, fra le diverse classi di persone. Ed in ognuna incontro sguardi e sguardi di traditori.

Perchè mi tradite? Io sto fra voi per farvi del bene.

Perchè mi volete fare del male? Io vi porto i miei doni.

Perchè voi mi gettate contro mordenti aspidi? Io vi chiamo: “Amici”.

Perchè voi mi rispondete: “Maledetto”? Che vi ho fatto? Quale uomo conoscete che sia paziente e buono più di Me?

Guardate. Quando siete felici nessuno vi abbandona. Ma se piangete, ma se la ricchezza vi abbandona, ma se una malattia vi fa contagiosi, ecco che tutti si allontanano da voi.
Io resto.

Anzi Io vi accolgo proprio allora, perchè allora venite. Non avete più nessuno con cui piangere e parlare, e allora vi ricordate di Me. Ed Io non vi dico: “Va’ via, chè non ti conosco”.
Lo potrei dire perchè infatti non siete mai venuti a dirmi, mentre eravate ricchi, sani e felici: “Lo sono e te ne dico grazie”. Ma no. Non pretendo neppure questo, da chi non è già gigante d’amore. Il “grazie” non lo pretendo. Mi basterebbe mi diceste: “Sono felice”. Dirmelo. Non considerarmi estraneo a voi. Ricordarvi che ci sono anche Io. Avere un pensiero per questo Gesù.

Il “grazie” lo direi Io per voi a Dio: Padre mio e vostro. Invece non venite mai. E potrei dire: “Non vi conosco”. Invece, ecco che vi apro le braccia e dico: “Vieni, chè piangiamo insieme”.

Guardate. Sono nelle carceri, nelle celle piccole e avvilenti, seduto sullo stesso tavolaccio del forzato, e gli parlo di una libertà più vera di quella che è oltre quelle quattro mura, di una libertà che non teme più d’esser lesa da colpe che vanno punite. Eppure quel carcerato è uno che mi ha tradito, offendendo la mia legge d’amore. Forse ha ucciso. Forse ha rubato. Ma ora mi chiama. Eccomi da lui. Il mondo lo sprezza. Io lo amo. Ho chiamato “amico” colui che uccideva Me e mi derubava della vita. Posso chiamare “amico” questo infelice che mi ritorna.

Sono, fiamma d’amore, presso i malati. Le loro febbri conoscono la mia carezza, il loro sudore il mio sudario, i loro languori il mio braccio che li sostiene, le loro angosce la mia parola. Eppure molti sono malati per avermi tradito nella mia legge. Hanno servito la carne. E la carne, pazza belva, si è perduta e li perde, ora, anche nella vita.
Pure eccomi che Io sono l’Unico che non mi stanco del loro male e veglio con loro, e soffro con loro, e sorrido alle loro speranze e, se appena il Padre lo vuole, le muto in realtà. Ma se vedo che il decreto è di morte, ecco che prendo questo mio fratello, che trema davanti al mistero della morte e che mi chiama, e gli dico:
“Non temere. Credi sia tenebra: è luce. Credi sia dolore: è gioia. Dàmmi la tua mano. Conosco la morte. L’ho conosciuta prima di te. So che è un attimo e che Dio soprannaturalmente sovviene ad attutire il sensorio per non accasciare l’anima nella lotta estrema. Fidati. Guarda Me. Me solo… Ecco! vedi? Hai passato la soglia. Vieni con Me ora, dal Padre. Non temere neppure ora. Io sono con te. Il Padre ama chi amo”.

Sono nelle case deserte. Prima erano liete di voci. È passata la morte o la miseria. Il superstite si aggira solo. Gli amici fuggiti. Gli amati lontani, per lavoro o per morte. Vi è il sole nel cielo, ma al superstite tutto è tenebra. Vi è pace nell’aria notturna, ma per il superstite non c’è riposo. Eppure molte volte in quella casa mi si è tradito, facendo delle creature degli dèi. Si è amato idolatramente le creature tradendo la mia legge. Ma Io entro e vengo a mettere un raggio nelle tenebre, a infondere una pace dove è tempesta. Quel superstite mi ha chiamato… Forse soprappensiero… forse senza vera volontà di avermi.

Ma Io vado senza ritardo.

Oh! che non chiedo che di esser con voi.
Ogni ricordo cade, di passato errore, quando mi chiamate:
Gesù!”.

Ma non mi flagellate il Cuore!

È già aperto e svenato. Non invelenite la sua ferita. E a quelli che mi hanno capito nel mio dolore di tradito dico: “Uno di voi mi tradirà. Datemi il vostro amore fedele per balsamo”.

E lo dico a tutti. Ai santi, i prediletti miei come Dio. Ai peccatori, i prediletti miei come Gesù.
Perchè anche i peccatori, per cui divenni Gesù, possono medicarmi questa ferita. Siete samaritani? Lo so. Ma la mia parabola parla di un samaritano buono che medica le ferite non medicate dai figli della Legge che passano oltre, assorti nella fretta di servire Dio.

Non sanno che Dio si serve più amando che facendo pratiche. Io sono il Ferito languente sulle vostre vie. I predoni mi hanno assalito e spogliato. I predoni: coloro che indegnamente fruiscono del mio sacrificio di Dio che si fa carne.

Mi spogliano: negandomi con le loro eresie molteplici i miei attributi. Spogliano la Verità perchè quella veste fa loro gola perchè è splendente.
Ma non sanno che splende perchè è indossata da chi è Sole e in mano a loro, che la coprono della bava della loro mente superba, diviene straccio qualunque.

La Verità è verità, e di questa luce illumina ogni cosa quando è vista unita a Dio. Divisa, diviene linguaggio babelico. Perchè la Verità è Scienza e Sapienza. Ma avulsa da Dio diviene caos.

Voi medicatemi, anche se samaritani.

Datemi il vostro olio e vino.
L’olio: l’amore; il vino: la contrizione del vostro io.

Medicatemi. Non vi sdegno. La peccatrice che ristora i miei piedi stanchi vi parli e dica se Io sprezzo il peccatore.

Ma non mi tradite mai più.

Andate e non peccate più.

Tutto vi perdono se tutto in voi mi ama. Datemi un bacio sincero. La mia guancia brucia per il bacio dei traditori. Medicatela col bacio della fedeltà.»


«“Amatevi l’un l’altro come Io vi ho amati”. Dalla cuna alla croce. Da Betlem al monte Oliveto, vi ho amati.

Il freddo e la miseria della prima mia notte nel mondo non mi hanno impedito di amarvi collo spirito mio e, annichilendo Me stesso sino a non poter dirvi, Io-Verbo: “Vi amo”, vi ho detto quelle parole con lo spirito mio, inscindibile da quello del Padre e con esso operante in una attività inesausta.

L’agonia della mia ultima notte sulla Terra non mi ha impedito di amarvi. Anzi ha toccato le vette più alte dell’amore. Anzi ha arso nell’incendio più vivo. Anzi ha consumato tutto quanto non era amore sino a spremere, insieme al ribrezzo per il peccato e al dolore del paterno abbandono, il sangue dalle mie vene.

Quale amore più grande di quello che sa amare sapendosi odiato? Io vi ho amati così.

Il primo gesto delle mie mani, una carezza.

L’ultimo, una benedizione.

E in mezzo a questi due gesti, nato il primo nel buio di una notte d’inverno, l’ultimo nello splendore di un ardente mattino d’estate, trentatrè anni di gesti di amore, rispondenti ad altrettanti moti di amore.

Amore di miracoli, amore di carezze ai pargoli e agli amici, amore di maestro, amore di benefattore, amore di amico, amore, amore, amore…

E amore più che umano nell’ultima Cena. Prima d’essere legate e trafitte, queste mie mani hanno lavato i piedi degli apostoli, anche di colui al quale avrei voluto lavare il cuore, ed hanno spezzato il pane.
E mi spezzavo il Cuore con quel pane.
Quello vi davo.

Perchè sapevo prossimo il mio ritorno al Cielo e non volevo lasciarvi soli.

Perchè sapevo come siete facili a dimenticarvi e volevo vi vedeste, fratelli seduti ad un unico desco, intorno alla mia mensa, per dirvi l’un l’altro: “Siamo di Gesù!”.

Quale amore più grande di quello che sa amare chi lo tortura?

Eppure Io vi ho amati così. E per voi ho saputo pregare mentre morivo.

Amatevi come Io vi ho amati.

L’odio estingue la luce. Anche il semplice astio offusca la pace.

Dio è pace, è luce, perchè Dio è amore. Ma se non amate, e [non] amate come Io vi ho amati, non potrete avere Dio.

Come Io vi ho amati.

Perciò senza superbie. Da questo tabernacolo, da questa croce, da questo Cuore non escono che parole di umiltà.

Sono Dio e sono Servo vostro, e sto qui in attesa che mi diciate: “Ho fame” per darmi Pane a voi.

Sono Dio e mi espongo ai vostri occhi su un legno che era patibolo infame, nudo e maledetto.

Sono Dio e vi prego di amare il mio Cuore.

Vi prego.

Per amore vostro, perchè se mi amate fate del bene a voi.

Io sono Dio. Con o senza il vostro amore sono sempre Dio. Ma voi no.
Senza il mio amore siete nulla: polvere.

Io vi voglio con Me.
Vi voglio qui.

Voglio della vostra polvere fare una luce di beatitudine. Voglio che non moriate. Ma viviate perchè Io sono Vita e voglio che voi abbiate la Vita.

Amatevi senza egoismi. Sarebbe un amore impuro, destinato a morire di malattia.

Amatevi volendo per gli altri più bene di quello che non augurate a voi.

È molto difficile. Lo so.

Ma vedete questo eucaristico Pane? Esso ha fatto i martiri.
Erano creature come voi: paurose, deboli, viziose anche. Questo Pane ne ha fatto degli eroi.

Nel primo punto vi ho indicato il mio Sangue per vostra purificazione.

Al terzo punto, per fare di voi dei santi, vi indico questa Mensa e questo Pane.

Il Sangue da peccatori vi ha fatto giusti.
Il Pane da giusti vi fa santi.

Un bagno monda ma non nutre. Rinfresca, ristora, ma non si fa carne nella carne. Il cibo invece diviene sangue e carne, diviene voi stessi.

Il mio Cibo diviene voi stessi.

Oh! pensate! Guardate un piccolo bambino. Oggi mangia il suo pane e domani ancora e poi domani, e domani, e domani. Eccolo che si fa uomo: alto, robusto, bello. È sua mamma che l’ha fatto così? No.
Sua madre l’ha concepito, portato, dato alla luce, allattato e amato, amato, amato.

Ma il piccolino, se dopo il latte non avesse avuto altro che bagni, baci e amore, sarebbe perito di inedia. Quel piccolo si fa uomo per il cibo da adulto che prende. Quell’uomo è tale perchè prende giornalmente il suo cibo.

Lo stesso è per il vostro io spirituale.

Nutritelo del Cibo vero che dal Cielo discende e che dal Cielo vi porta tutte le energie per farvi virili nella Grazia. La virilità sana e forte è sempre buona. Guardate come è più facile vedere uno, malazzato, essere aspro e senza compatimento e pazienza.

Il mio Cibo vi farà sani e forti nella virilità dello spirito e saprete amare gli altri più di voi stessi, come Io vi ho amati.
Perchè, guardate, figli, Io vi ho amati non come uno ama se stesso. Ma più di Me stesso. Tanto che mi sono posto a morte per salvare voi dalla morte. Se amerete così, conoscerete Dio. Sapete cosa vuol dire conoscere Dio? Vuol dire sapere il gusto della vera Gioia, della vera Pace, della vera Amicizia.
Oh! l’Amicizia, la Pace, la Gioia di Dio! È premio promesso ai beati. Ma esso è già dato a chi ama sulla Terra con tutto se stesso.

L’amore per esser vero non è di parole. È di fatti.
Attivo come la sua fonte che è Dio.
Nè mai si stanca di operare neppure per delusioni che vengono dai fratelli. Povero quell’amore che cade come uccello dalle ali deboli quando un ostacolo lo ferisce!

Il vero amore, anche ferito, sale.

Con l’unghia e col becco si arrampica, se più non può volare, per non giacere nell’ombra e nel gelo, per essere nel sole, medicina di ogni male. E appena rinvigorito ecco che riprende il volo.

E va da Dio ai fratelli e da questi a Dio, angelica farfalla che porta i pollini dei celesti giardini per fecondare i terrestri fiori, e porta i profumi, rapiti ai più umili fiori, a Dio perchè li accolga e li benedica.

Ma guai se si allontana dal sole.

Il Sole è la mia Eucarestia, perchè in essa è benedicente il Padre, amante lo Spirito, mentre Io, il Verbo, opero.

Venite e prendete.

Questo è il Cibo che ardentemente chiedo sia consumato da voi.»


«“Se rimanete in Me e rimane in voi la mia dottrina, vi sarà dato quel che chiedete”.

Io scendo in voi e mi faccio cibo vostro. Ma, come Centro che Io sono, a Me vi aspiro. Voi vi nutrite di Me, ma con più ragione Io mi nutro di voi.

Le due fami sono insaziabili e continue.

La vite nutre i suoi polloni. Ma sono i polloni che fanno la vite.

L’acqua nutre i mari, ma sono i mari che nutrono l’acqua, risalendo in evaporazioni per scendere di nuovo.

Perciò voi dovete rimanere in Me come Io in voi.

Divisi, non Io, ma voi morreste.

Io sono cibo per lo spirito e cibo per il pensiero.

Lo spirito si nutre della Carne di un Dio. Essenza effusa da Dio, non può aver cibo che da ciò che è la sua matrice. Il pensiero si nutre della mia Parola che è il Pensiero di un Dio. Il vostro pensiero!

L’intelligenza è quella che vi fa somiglianti a Dio perchè nell’intelligenza è memoria, intelletto e volontà, come nello spirito è somiglianza per essere spirito, libero, immortale.

Il vostro pensiero, per esser capace di ricordare, intelligere, volere ciò che è bene, deve esser nutrito della mia dottrina.

Essa vi ricorda i benefici e le opere di Dio, chi è Dio, che si deve a Dio.

Essa vi fa comprendere il bene e discernerlo dal male. Essa vi fa volere fare il bene.

Senza la mia dottrina divenite schiavi di altre che hanno nome “dottrina”, ma sono errori. E come navi senza bussola e timone voi andate a naufragio. Uscite dalle rotte. E come potete allora dire: “Dio mi ha abbandonato” quando siete voi che avete abbandonato Lui?

Rimanete in Me.

Se non vi rimanete, è segno che mi odiate. E il Padre mio odia chi mi odia, perchè chi odia Me odia il Padre essendo Io uno col Padre.

Rimanete in Me.

Fate che il Padre non possa distinguere il tralcio dalla vite tanto il tralcio è uno con essa. Fate che il Padre non possa capire dove finisco Io e cominciate voi tanto la somiglianza è piena.

Chi ama finisce per prendere dell’amato inflessioni, intercalari e gesti. Io voglio che voi siate altrettanti Gesù.

E questo perchè voglio che voi abbiate quanto chiedete – fusi a Me, non potete chiedere che cose buone – e non abbiate a conoscere ripulse. E questo perchè Io voglio che abbiate più ancora di quanto chiedete, perchè il Padre effonde in un continuo flusso d’amore i suoi tesori sul Figlio suo.

E chi è nel Figlio fruisce di questa infinita effusione, che è l’amore di Dio che si letifica nel suo Verbo e che circola in Lui.

Ora Io sono il Corpo e voi le membra, e perciò la Gioia che mi inonda e viene dal Padre, la Potenza, la Pace, ogni altra perfezione che in Me circola, si trasfonde in voi, miei fedeli che siete parte di Me, inscindibile qui e oltre.

Venite e chiedete.

Non abbiate paura di chiedere.

Tutto potete chiedere perchè Dio tutto può dare.

Chiedete per voi e per tutti.

Io vi ho insegnato.

Chiedete per i presenti e per gli assenti.

Chiedete per i passati, i presenti, i futuri.

Chiedete per questa vostra giornata e per la vostra eternità, e per questa e quella di chi amate.


Chiedete, chiedete, chiedete.


Per tutti.

Per i buoni perchè Dio li benedica.

Per i malvagi perchè Dio li converta.

Dite con Me:
“Padre, perdona loro”.

Chiedete: la salute, la pace in famiglia, la pace nel mondo, la pace per l’eternità.

Chiedete la santità. Sì, anche questa. Dio è il Santo ed è il Padre.

Chiedetegli, in un con la vita che vi mantiene, la santità attraverso la Forza che viene da Lui.


Non abbiate paura di chiedere.


Il pane quotidiano e la benedizione quotidiana.

Non siete tutto corpo, non siete ancora tutto spirito. Chiedete per questo e quello, e vi sarà dato. Non temete di osare troppo. Io per voi ho chiesto la mia stessa gloria, anzi ve l’ho data addirittura perchè siate simili a Noi che vi amiamo e il mondo conosca che siete figli di Dio.

Venite. In questo mio Cuore è il Padre vostro. Entrate, chè Egli vi possa riconoscere e dire:
“Si faccia gran festa nei Cieli perchè ho ritrovato un figlio che amavo”.»



«Ti ho accontentata»
dice Gesù. «Ho parlato sempre Io. Ho voluto parlasse la mia eucaristica Voce. Abbiatela per mio regalo. Benedico te e tutti quelli che l’ascolteranno.»

Passione e morte di Gesù: Introduzione

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«Ed ora vieni. Per quanto tu sia questa sera come uno prossimo a spirare, vieni, chè Io ti conduca verso le mie sofferenze. Lungo sarà il cammino che dovremo fare insieme, perchè nessun dolore mi fu risparmiato.

Non dolore della carne, non della mente, non del cuore, non dello spirito.

Tutti li ho assaggiati, di tutti mi sono nutrito, di tutti dissetato, fino a morirne. Se tu appoggiassi sul mio labbro la tua bocca, sentiresti che essa ancora conserva l'amarezza di tanto dolore.
Se tu potessi vedere la mia Umanità nella sua veste, ora fulgida, vedresti che quel fulgore emana dalle mille e mille ferite che coprirono con una veste di porpora viva le mie membra lacerate, dissanguate, percosse, trafitte per amore di voi.

Ora è fulgida la mia Umanità. Ma fu un giorno che fu simile a quella d'un lebbroso, tanto era percossa ed umiliata. L'Uomo-Dio, che aveva in Sè la perfezione della bellezza fisica, perchè Figlio di Dio e della Donna senza macchia, apparve allora, agli occhi di chi lo guardava con amore, con curiosità o con occhio sprezzante, brutto: un "verme", come dice Davide, l'obbrobrio degli uomini, il rifiuto della plebe.

L'amore per il Padre e per le creature del Padre mio mi ha portato ad abbandonare il mio corpo a chi mi percoteva, ad offrire il mio volto a chi mi schiaffeggiava e sputacchiava, a chi credeva fare opera meritoria strappandomi le chiome, svellendomi la barba, trapassandomi la testa con le spine, rendendo complice anche la terra e i suoi frutti dei tormenti inflitti al suo Salvatore, slogandomi le membra, scoprendo le mie ossa, strappandomi le vesti e dando così alla mia purezza la più grande delle torture, configgendomi ad un legno e innalzandomi come agnello sgozzato sugli uncini di un beccaio, e abbaiando, intorno alla mia agonia, come torma di lupi famelici che l'odore del sangue fa ancora più feroci.

Accusato, condannato, ucciso.

Tradito, rinnegato, venduto.

Abbandonato anche da Dio perchè su Me erano i delitti che m'ero addossato. Reso più povero del mendico derubato da briganti, perchè non mi fu lasciata neppur la veste per coprire la mia livida nudità di martire.

Non risparmiato neppur oltre la morte dall'insulto di una ferita e dalle calunnie dei nemici. Sommerso sotto il fango di tutti i vostri peccati, precipitato sino in fondo al buio del dolore, senza più luce del Cielo che rispondesse al mio sguardo morente, nè voce divina che rispondesse al mio invocare estremo.

Isaia la dice la ragione di tanto dolore: "Veramente Egli ha preso su di Sè i nostri mali ed ha portato i nostri dolori".

I nostri dolori! Sì, per voi li ho portati! Per sollevare i vostri, per addolcirli, per annullarli, se mi foste stati fedeli.

Ma non avete voluto esserlo.
E che ne ho avuto? Mi avete "guardato come un lebbroso, un percosso da Dio". Si, era su Me la lebbra dei vostri peccati infiniti, era su Me come una veste di penitenza, come un cilicio; ma come non avete visto tralucere Dio, nella sua infinita carità, da quella veste indossata per voi sulla sua santità?

"Piagato per le nostre iniquità, trafitto per le nostre scelleratezze" dice Isaia, che coi suoi occhi profetici vedeva il Figlio dell'uomo divenuto tutta una lividura per sanare quelle degli uomini. E fossero state unicamente ferite alla mia carne!

Ma ciò che più m'avete ferito fu il sentimento e lo spirito.

Dell'uno e dell'altro avete fatto zimbello e bersaglio; e mi avete colpito nell'amicizia, che avevo posto in voi, attraverso Giuda; nella fedeltà, che speravo da voi, attraverso Pietro che rinnega; nella riconoscenza per i miei benefici, attraverso coloro che mi gridavano: "Muori!", dopo che Io li avevo risorti da tante malattie; attraverso l'amore, per lo strazio inflitto a mia Madre; attraverso alla religione, dichiarandomi bestemmiatore di Dio, Io che per lo zelo della causa di Dio m'ero messo nelle mani dell'uomo incarnandomi, patendo per tutta la vita e abbandonandomi alla ferocia umana senza dire parola o lamento.

Sarebbe bastato un volgere di occhi per incenerire accusatori, giudici e carnefici. Ma ero venuto volontariamente per compiere il sacrificio, e come agnello, perchè ero l'Agnello di Dio e lo sono in eterno, mi sono lasciato condurre per essere spogliato e ucciso e per fare della mia Carne la vostra Vita.

Quando fui innalzato ero già consumato da patimenti senza nome, con tutti i nomi. Ho cominciato a morire a Betlemme nel vedere la luce della Terra, così angosciosamente diversa per Me che ero il Vivente del Cielo.

Ho continuato a morire nella povertà, nell'esilio, nella fuga, nel lavoro, nell'incomprensione, nella fatica, nel tradimento, negli affetti strappati, nelle torture, nelle menzogne, nelle bestemmie.

Questo ha dato l'uomo a Me che venivo a riunirlo con Dio!

Maria, guarda il tuo Salvatore. Non è bianco nella veste e biondo nel capo. Non ha lo sguardo di zaffiro che tu gli conosci. Il suo vestito è rosso di sangue, è lacero e coperto di immondezze e di sputi.

Il suo volto è tumefatto e stravolto, il suo sguardo velato dal sangue e dal pianto, e ti guarda attraverso la crosta di questi e della polvere che appesantiscono le palpebre.

Le mie mani - lo vedi? - sono già tutte una piaga e attendono la piaga ultima.

Guarda, piccolo Giovanni, come mi guardò tuo fratello Giovanni. Dietro il mio andare restano impronte sanguigne. Il sudore dilava il sangue che geme dalle lacerazioni dei flagelli, che ancor resta dall'agonia dell'Orto. La parola esce, nell'anelito dell'affanno di un cuore già morente per tortura d'ogni nome, dalle labbra arse e contuse.

D'ora in poi mi vedrai sovente così. Sono il Re del Dolore e verrò a parlarti del dolore mio con la mia veste regale.

Seguimi, nonostante la tua agonia. Saprò, poichè sono il Pietoso, mettere davanti alle tue labbra, attossicate dal mio dolore, anche il miele profumato di più serene contemplazioni.

Ma devi ancor più preferire queste di sangue, perchè per esse tu hai la Vita e con esse porterai altri alla Vita.
Bacia la mia mano sanguinosa e vigila meditando su Me Redentore
».

Vedo Gesù così come Egli si descrive. Questa sera, dalle 19 in poi (sono le 1,15 dell'11, ormai) sono proprio in agonia.





Mi dice Gesù questa mattina, 11 febbraio, alle 7,30:
«Ieri sera non ho voluto che parlarti di Me penante, perchè ho iniziato la descrizione e visione dei miei dolori. Ieri sera è stata l'introduzione. Ed eri così sfinita, amica mia! Ma, prima che l'agonia torni, ti devo fare un dolce rimprovero.

Ieri mattina sei stata egoista. Hai detto al Padre: (cioè a Padre Migliorini, la cui fatica viene spiegata in nota al Vol 3 Cap 174)
"Speriamo che io duri, perchè la mia fatica è la più grande".
No.
La sua è la più grande, perchè è faticosa e non compensata dalla beatitudine del vedere e dall'avere Gesùpresente, come tu hai, anche con la sua santa Umanità.
Non essere mai egoista, neppure nelle cose minime. Una discepola, un piccolo Giovanni, deve essere umilissimo e caritatevolissimo come il suo Gesù.

Ed ora vieni a stare con Me.
"I fiori sono apparsi... il tempo di potare è venuto... si è sentita nelle campagne la voce della tortorella...".
E sono i fiori nati nelle pozze del Sangue del tuo Cristo. E Colui che sarà reciso come ramo potato è il Redentore. E la voce della tortora, che chiama la sposa al suo convito di nozze dolorose e sante, è la mia che ti ama.
Sorgi e vieni, come dice la Messa d'oggi. (Da Cantico dei cantici 2, 10-12, che comprende la citazione riportata sopra tra virgolette. Per i riferimenti a Davide e Isaia, come per altri che non annoteremo rimandiamo all’indice tematico).
Vieni a contemplare ed a soffrire. È il dono che concedo ai prediletti
».

Verso il Getsemani con undici apostoli. L'agonia spirituale e la cattura

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La via è tutta silenziosa. Solo una fontanella che ricade in un bacino di pietra mette un suono in tanto silenzio.
Lungo i muri delle case, dal lato d'oriente, vi è ancora oscurità, mentre dall'altro lato la luna comincia a fare bianco il sommo delle case e, dove la via allarga in una piazzetta, ecco che il latteo argenteo della luna scende a far belli anche i ciottoli e la terra della via.
Ma sotto i frequenti archivolti che vanno da casa a casa, simili a ponti levatoi od a puntelli a queste vecchie case dalle scarsissime aperture sulle vie, e che in questa ora sono tutte chiuse e buie come fossero case abbandonate, vi è l'oscurità perfetta, e il rossastro della torcia portata da Simone acquista una singolare vivezza e un'ancora più grande utilità.

I visi, in quella luce rossa e mobile, si mostrano con un rilievo netto e, tanti quanti sono, rivelano altrettanti e diversi stati d'animo.

Il più solenne e calmo è quello di Gesù.
Per quanto una stanchezza lo invecchi marcandolo di linee che solitamente non ha e che fanno già apparire la futura effigie del suo volto ricomposto nella morte.
Giovanni, che gli è al fianco, gira uno sguardo stupefatto, dolente, su tutto quanto vede. Sembra un fanciullo terrorizzato da qualche racconto udito o da qualche promessa paurosa e che invochi aiuto da chi sa di più di lui. Ma chi gli può dare aiuto?
Simone, che è all'altro fianco di Gesù, ha il viso chiuso, cupo, di chi rimugina in sè pensieri atroci. Ed è ancora l'unico che, dopo Gesù, mostri un aspetto dignitoso.

Gli altri, in due gruppi che continuamente si alternano nella loro formazione, sono tutto un fermento. E ogni tanto la voce rauca di Pietro o quella baritonale di Tommaso si elevano con risonanza strana. Poi si riabbassano, come paurosi di quello che dicono. Discutono sul da farsi, e chi propone l'una e chi l'altra cosa.

Ma cadono tutte le proposte, perchè realmente sta per iniziarsi "l'ora delle tenebre" e i giudizi umani restano oscurati e confusi.

«Bisognava dirmelo prima», arrangola Pietro.

«Ma non uno ha parlato. Non il Maestro...», dice Andrea.

«Sì! Proprio Lui te lo diceva. Ma fratello! Sembra che tu non lo conosca!...», gli risponde Pietro.

«Io sentivo qualche cosa di turbato. E l'ho detto: "Andiamo a morire con Lui". Ve lo ricordate? Ma, per il nostro santissimo Iddio, se avessi saputo che era Giuda di Simone!...», tuona Tommaso minaccioso.

«E che volevi fare?», chiede Bartolomeo. «Io? Io farei anche ora se mi aiutaste!».

«Cosa? Partiresti per ucciderlo? E dove?».

«No. Porterei via il Maestro. È più semplice».

«Non verrebbe! »

«Non gli chiederei se verrebbe. Lo rapirei come si rapisce una donna».

«Non sarebbe una malvagia idea!», dice Pietro.
E impulsivo torna indietro, si mette nel gruppo dei due figli di Alfeo che con Matteo e Giacomo bisbigliano piano come congiurati.

«Sentite, dice Tommaso di portare via Gesù. Tutti insieme. Si potrebbe... dal Get-Samnì per Betfage a Betania e di là... vela per qualche posto. Lo facciamo? Messo in salvo Lui, si torna e si stermina Giuda».

«È inutile. Israele è tutta una trappola», dice Giacomo d'Alfeo.

«Ed ora è prossima a chiudersi. Lo si capiva. Troppo odio!».

«Ma, Matteo! Mi fai rabbia! Avevi più coraggio quando eri peccatore! Di' tu, Filippo».

Filippo, che viene solo solo e pare monologare fra sè, alza il viso e si ferma. Pietro lo raggiunge e bisbigliano fra loro. Poi raggiungono il gruppo di prima:
«Io direi che il posto migliore è nel Tempio», dice Filippo.

«Sei matto?», urlano i cugini, Matteo e Giacomo. «Ma se là lo vogliono morto!».

«Sss! Quanto baccano! So quello che mi dico. Lo cercheranno da per tutto. Ma non lì. Tu e Giovanni avete buone amicizie fra i servi di Anna. Si dà un bel boccone d'oro... e tutto è fatto. Credete! Il posto migliore per nascondere uno ricercato è in casa dei carcerieri».

«Io non lo faccio», dice Giacomo di Zebedeo. «Però, senti anche gli altri. Giovanni per primo. E se poi lo arrestano? Non voglio che si dica che sono io il traditore...».

«Non ci avevo pensato. E allora?». Pietro è annichilito.

«E allora io direi che è pietoso fare una cosa. L'unica che possiamo. Portare via la Madre...», dice Giuda d'Alfeo.

«Già!... Ma... Chi ci va? Che le si dice? Va' tu, parente».

«Io resto con Gesù. È mio diritto. Va' tu».

«Io?! Mi sono armato di spada per morire come Eleazaro di Saura. (1 Maccabei 6, 43-46). Traverserò legioni per difendere il mio Gesù e colpirò senza ritegno. Se la forza dei più mi ucciderà, non importa. Lo avrò difeso», proclama Pietro.

«Ma sei proprio sicuro che è l'Iscariota?», chiede Filippo al Taddeo.

«Ne sono sicuro. Nessuno di noi ha cuore di serpe. Solo lui... Va' tu, Matteo, da Maria e dille...»

«Io? Ingannarla? Vederla al mio fianco ignara, e poi?... Ah! no. Sono pronto alla morte, ma non a tradire quella colomba...»

Le voci si mischiano in un sussurro.
«Odi? Maestro, noi ti amiamo», dice Simone.

«Lo so. Non ho bisogno di quelle parole per saperlo. E se danno pace al cuore del Cristo esse feriscono la sua anima».

«Perchè, Signor mio? Sono parole d'amore».

«Di tutto umano amore. In verità, in questi tre anni non ho fatto nulla, perchè voi siete ancora più umani della prima ora. Lievitano in voi tutti i fermenti più fangosi, questa sera. Ma non è colpa vostra...».

«Salvati, Gesù!», geme Giovanni.

«Mi salvo».

«Sì? Oh! Mio Dio, grazie!». Giovanni pare un fiore piegato da arsione e che torni fresco sullo stelo. «Lo dico agli altri. Dove andiamo?».

«Io alla morte. Voi alla Fede».

«Ma non avevi detto ora che ti salvavi?». Il prediletto si accascia di nuovo.

«Mi salvo, infatti, mi salvo. Se non ubbidissi al Padre mi perderei. Ubbidisco. Perciò mi salvo. Ma non piangere così! Sei meno bravo dei discepoli di quel filosofo greco di cui ti parlai un giorno. Essi rimasero presso il Maestro morente per cicuta, confortandolo col loro virile dolore. Tu... tu sembri un pargolo che abbia perduto suo padre».

«E non è forse così? Più che se perdessi il padre, io perdo! Perdo Te...».

«Non mi perdi poichè continui a volermi bene. È perduto uno che è da noi separato dalla dimenticanza sulla Terra e dal giudizio di Dio nell'al di là. Ma noi non saremo separati. Mai. Nè da questo, nè da quello».

Ma Giovanni non intende ragioni. Simone si fa ancora più vicino a Gesù e gli confida sottovoce: «Maestro... io... io e Simon Pietro speravamo di fare qualche cosa di buono... Ma... Tu che sai tutto, dimmi: fra quante ore pensi essere catturato?».

«Non appena la luna è al colmo del suo arco».

Simone ha un atto di dolore e di impazienza, per non dire di stizza. «Allora tutto fu inutile... Maestro, ora ti spiego. Tu hai quasi rimproverato me e Simon Pietro per averti lasciato tanto solo in questi ultimi giorni... Ma eravamo lontani per Te... per amore di Te. Pietro, nella notte del lunedì, impressionato dalle tue parole, è venuto da me mentre dormivo e mi ha detto:
"Io e te, di te mi fido, dobbiamo fare qualche cosa per Gesù.
Anche Giuda ha detto di volersene occupare". Oh! perchè non abbiamo capito allora? Perchè non ci hai detto nulla Tu? Ma, dimmi, a nessuno lo hai detto? Proprio a nessuno? Forse lo hai compreso solo poche ore fa?».

«L'ho sempre saputo. Prima ancora che egli fosse nei discepoli. E perchè il suo delitto non fosse perfetto, e nel divino e nell'umano, ho cercato in tutti i modi di allontanarlo da Me. Coloro che vogliono che Io muoia sono i carnefici di Dio. Questo, mio discepolo e amico, è anche il traditore, il carnefice dell'Uomo. Il mio primo carnefice, perchè mi ha già fatto morto con lo sforzo di averlo al fianco, alla mensa, e di doverlo proteggere con Me stesso contro voi».

«E nessuno lo sa?».

«Giovanni. Gliel'ho detto alla fine della Cena. Ma che avete fatto?».

«E Lazzaro? Non sa proprio nulla Lazzaro? Oggi fummo da lui, perchè egli è venuto di prima mattina, ha sacrificato ed è ripartito senza neppure fermarsi al suo palazzo nè andare al Pretorio. Perchè lui ci va sempre, per consuetudine presa dal padre. E Pilato, lo sai, c'è in città, in questi giorni...».

«Sì. Tutti ci sono. C'è Roma, la nuova Sionne, con Pilato. C'è Israele con Caifa ed Erode. C'è tutto Israele, perchè la Pasqua ha raccolto i figli di questo popolo ai piedi dell'altare di Dio... Hai visto Gamaliele?».

«Si. Perchè questa domanda? Lo devo rivedere anche domani...».

«Gamaliele questa sera è a Betfage. Lo so. Quando saremo giunti al Getsemani tu andrai da Gamaliele e gli dirai: "Fra poco avrai il segno che attendi da ventun'anni". Null'altro. Poi tornerai coi compagni».

«Ma come lo sai? Oh! Maestro mio, povero Maestro che non hai neppure il conforto di ignorare le opere altrui!».

«Dici bene! Il conforto di ignorare! Povero Maestro! Perchè sono più le opere malvagie delle buone. Ma vedo anche quelle buone e ne giubilo».

«Allora Tu sai che...».

«Simone, è la mia ora di passione. Per renderla più completa il Padre mi ritira la luce man mano che si approssima. Fra poco non avrò che tenebre e la contemplazione di ciò che è tenebre: ossia tutti i peccati degli uomini. Non puoi, non potete capire. Nessuno, meno chi sarà a ciò chiamato da Dio per speciale missione, comprenderà questa passione nella grande Passione e, poi che l'uomo è materiale anche nell'amare e nel meditare, ci sarà chi piangerà e soffrirà per le mie battiture, per le torture del Redentore, ma non si misurerà questa spirituale tortura che, credetelo voi che mi udite, sarà la più atroce...
Parla, perciò, Simone. Guidami sui sentieri dove la tua amicizia andò per Me, perchè Io sono un povero che accieca e che vede fantasmi, non cose reali
...».

Giovanni lo strige e chiede: «Che? Non vedi più il tuo Giovanni?».

«Ti vedo. Ma i fantasmi sorgono dalle nebbie di Satana. Visioni d'incubo e dolore. Tutti siamo avvolti in questo miasma d'inferno, questa sera.
In Me cerca di creare viltà, disubbidienza e dolore.
In, voi creerà delusione e paura.
In altri, che pure non sono nè paurosi nè delinquenti, darà delinquenza e pavidità.
In altri, che già sono di Satana, darà il pervertimento soprannaturale.

Dico così perchè la loro perfezione nel male sarà tale da superare le umane possibilità e raggiungere il perfetto che è sempre nel sopraumano. Parla, Simone
».

«Sì. Da martedì non facciamo che andare per sapere, per prevenire, per cercare aiuti».

«E che avete potuto fare?».

«Nulla. O ben poco».

«E il poco sarà "nulla" quando la paura paralizzerà i cuori».

«Mi sono anche urtato con Lazzaro... La prima volta che mi avviene... Urtato, perchè mi parve inerte... Lui potrebbe fare. È amico del Governatore. E sempre il figlio di Teofilo! Ma Lazzaro ha respinto ogni mia proposta. L'ho lasciato urlando: "Io penso che l'amico di cui parla il Maestro sia tu. Mi fai orrore!", e non volevo più tornare da lui...
Ma questa mattina egli mi ha chiamato e detto: "Puoi ancora pensare che sia io il suo traditore?". Io avevo già visto Gamaliele e Giuseppe e Cusa, e Nicodemo e Mannaen, ed infine tuo fratello Giuseppe... e non potevo più credere questo.
Gli ho detto: "Perdona, Lazzaro. Ma mi sento la mente sconvolta più di quando ero io stesso un condannato". Ed è così, Maestro... Io non sono più io... Ma perchè sorridi?».

«Perchè ciò conferma quanto Io ti ho detto prima. La nebbia di Satana ti avvolge e turba. Che ha risposto Lazzaro?».

«Ha detto: "Ti capisco. Vieni oggi, con Nicodemo. Ho bisogno di vederti". E sono andato, mentre Simon Pietro è andato dai galilei. Perchè tuo fratello, lui, da tanto lontano, ne sa più di noi. Dice che lo ha saputo per caso parlando con un vecchio galileo, amico di Alfeo e Giuseppe, che abita vicino ai mercati».

«Ah!... sì... Un grande amico della casa...».

«Egli è là con Simone e le donne. Vi è anche la famiglia di Cana».

«Ho visto Simone».

«Ebbene, Giuseppe da questo suo amico e amico di uno del Tempio, che è divenuto suo parente per donne, ha saputo che è decisa la tua cattura e ha detto a Pietro: "Io l'ho sempre combattuto. Ma per amore. E finchè Egli era ancora forte. Ma, ora che diventa come un bambino in preda dei suoi nemici, io, parente che sempre l'ho amato, sono con Lui. È dovere di sangue e di cuore"».

Gesù sorride, riavendo per un attimo il viso sereno delle ore di gioia.

«E Giuseppe ha detto a Pietro: "I farisei di Galilea sono aspidi come tutti i farisei. Ma la Galilea non è tutta farisei. E qui sono molti galilei che lo amano. Andiamo a dire loro di radunarsi per difenderlo. Non abbiamo che i coltelli. Ma anche i bastoni sono armi, se ben maneggiati. E, se non vengono le milizie romane, avremo presto ragione di quella canaglia vile che sono gli sgherri del Tempio". E Pietro è andato con lui. Io intanto andavo da Lazzaro. Con Nicodemo. Avevamo deciso di persuadere Lazzaro a venire con noi e ad aprire la sua casa per stare con Te.
Ci ha detto: "Devo ubbidire a Gesù e stare qui. A soffrire il doppio...". È vero?».

«È vero. Io gli ho dato questo ordine».

«Però mi ha dato le spade. Sono sue. Una per me, una per Pietro. Anche Cusa voleva darmi le spade. Ma... Che sono due pezzi di ferro contro tutto un mondo? Cusa non può credere che sia vero quanto Tu dici. Giura che egli non sa nulla e che nella corte non c'è che il pensiero di godere della festa... Un bagordo come al solito. Tanto che egli ha detto a Giovanna di ritirarsi in una loro casa in Giudea. Ma Giovanna vuole rimanere qui. Chiusa nel suo palazzo, come se non ci fosse. Ma non si allontana.
È con lei Plautina, Anna, Niche e due dame romane della casa di Claudia. Piangono, pregano e fanno pregare gli innocenti. Ma non è tempo di preghiere. Di sangue è tempo. Io sento tornare vivo lo "zelote" e ardo di uccidere per fare vendetta!...».

«Simone! Se volevo farti morire maledetto, non ti levavo alla desolazione...». Gesù è severissimo.

«Oh! perdono, Maestro... Perdono! Sono come un ebbro, un delirante».

«E Mannaen che dice?».

«Mannaen dice che non può essere vero e che, se lo fosse, egli ti seguirà anche nel supplizio».

«Come tutti fidate di voi!... Quanta superbia è nell'uomo! E Nicodemo e Giuseppe? Che sanno?».

«Nulla più di me. Tempo fa in una assemblea Giuseppe si prese col Sinedrio, perchè li chiamò assassini volendo uccidere un innocente, e disse:
"Tutto è illegale qui dentro. Lui dice bene. L'abbominio è nella casa del Signore. Questo altare va distrutto perchè profanato". Non lo lapidarono perchè è lui. Ma da allora lo hanno tenuto all'oscuro di tutto. Solo Gamaliele e Nicodemo gli si sono conservati amici. Ma il primo non parla. E il secondo... Nè lui nè Giuseppe furono più chiamati al Sinedrio per le decisioni più vere. Esso si aduna illegalmente qua e là, ad ore diverse, per paura di loro e di Roma.
Ah! dimenticavo!... I pastori. Anche loro sono coi galilei. Ma pochi siamo! Se Lazzaro avesse voluto ascoltarci e venire dal Pretore! Ma non ci ascoltò... Questo abbiamo fatto... Molto... e nulla... e io sono tanto accasciato che vorrei andare per la campagna urlando come uno sciacallo, abbrutendomi in un'orgia, uccidendo come un brigante, pur di levarmi questo pensiero che è "tutto inutile", come ha detto Lazzaro, come ha detto Giuseppe e Cusa e Mannaen e Gamaliele...». Lo Zelote non sembra più lui...

«Che ha detto il rabbi?».

«Ha detto: "Io non so esattamente i propositi di Caifa. Ma vi dico che solo per il Cristo è profetizzato quanto dite. E siccome io non ammetto in questo profeta il Cristo, non trovo ci sia da agitarsi. Verrà ucciso un uomo, buono, amico di Dio. Ma di quanti suoi simili ha bevuto il sangue Sionne?!".
E poichè noi insistevamo sulla tua divina Natura, ha ripetuto cocciuto: "Quando vedrò il segno, crederò". Ed ha promesso di astenersi dal votare la tua morte, e anzi, se sarà possibile, di persuadere gli altri a non condannarti. Questo, non più. Non crede! Non crede! Se si potesse giungere a domani... Ma Tu dici di no. Oh! che faremo noi?!».

«Tu andrai da Lazzaro e cercherai di portare con te quanti più puoi. Non solo degli apostoli. Ma anche dei discepoli che troverai vaganti per le vie della campagna. Cerca di vedere i pastori e da' loro questo ordine. La casa di Betania è più che mai la casa di Betania, la casa della buona ospitalità.
Quelli che non hanno coraggio di affrontare l'odio di tutto un popolo si rifugino là. Ad attendere
...».

«Ma noi non ti lasceremo».

«Non vi separate... Divisi, sareste un nulla.
Uniti, sarete ancora una forza.

Simone, promettimi questo. Tu sei pacato, fedele, hai parola e impero anche su Pietro. E hai un grande obbligo con Me. Te lo ricordo per la prima volta, per importi l'ubbidienza. Guarda, siamo al Cedron. Di lì sei salito a Me lebbroso e di lì sei partito mondato. Per quello che ti ho dato, dammi. Dàllo all'Uomo ciò che Io ho dato all'uomo. Ora il lebbroso sono Io
...».

«Nooo! Non lo dire!», gemono insieme i due discepoli.

«Così è! Pietro, i fratelli miei saranno i più accasciati. Come un delinquente si sentirà l'onesto mio Pietro e non avrà pace. E i fratelli... Non avranno cuore di guardare la loro e la mia Madre... Te li raccomando...».

«Ed io, Signore, di chi sarò? A me non pensi?»

«O mio fanciullo! Tu sei affidato al tuo amore. E tanto forte che ti guiderà come una madre. Non ti do ordine nè guida. Ti lascio sulle acque dell'amore. Sono in te un fiume tanto calmo e profondo che non mi mettono dubbio sul tuo domani. Simone, hai inteso? Promettimi, promettimi!».

È penoso vedere Gesù tanto angosciato... Riprende:
«Prima che vengano gli altri! Oh! grazie! Sii benedetto!».

Tutto il gruppo si riunisce.

«Ora dividiamoci. Io salgo in alto, a pregare. Con Me voglio Pietro, Giovanni e Giacomo. Voi rimanete qui.
E, se foste sopraffatti, chiamate. E non temete. Non vi sarà torto un capello. Pregate per Me. Deponete odio e paura. Non sarà che un attimo... e poi la gioia sarà piena.

Sorridete.

Che Io abbia nel cuore i vostri sorrisi.

E ancora grazie di tutto, amici. Addio. Il Signore non vi abbandoni
...».

Gesù si separa dagli apostoli e va avanti, mentre Pietro si fa dare da Simone la torcia dopo che questo ha acceso con essa degli sterpi resinosi, che bruciano scoppiettando sul limite dell'uliveto e spandendo un odore di ginepro.

Mi fa pena vedere il Taddeo che guarda con uno sguardo talmente intenso e doloroso Gesù che questo si volge e cerca chi lo ha guardato.
Ma il Taddeo si nasconde dietro a Bartolomeo e si morde le labbra per frenarsi.

Gesù fa un gesto con la mano, fra la benedizione e l'addio, e poi prosegue il suo cammino. La luna, ormai ben alta, circonda della sua luce la sua alta figura e pare renderla anche più alta, spiritualizzandola, facendone più chiara la veste rossa e più pallido l'oro dei capelli. Dietro a Lui affrettano il passo Pietro con la torcia e i due figli di Zebedeo.

Proseguono sino a raggiungere il limite della prima balza del rustico anfiteatro dell'uliveto, a cui fa da entrata la piazzuola irregolare e da gradinate le diverse balze che ascendono a scaglioni di ulivi sul monte, poi Gesù dice:
«Fermatevi, attendetemi qui, mentre Io prego. Ma non dormite. Potrei avere bisogno di voi. E, ve lo chiedo per carità, pregate! Il vostro Maestro è molto accasciato».

È infatti di un accasciamento già profondo. Pare già aggravato da un peso. Dove è più il virile Gesù che parlava alle folle, bello, forte, dall'occhio dominatore, il pacato sorriso, la voce sonora e bellissima? Pare già preso da un affanno.
È come uno che ha corso o che ha pianto. Ha una voce stanca e affannata. Triste, triste, triste...

Pietro risponde per tutti: «Sta' tranquillo, Maestro. Vigileremo e pregheremo. Non hai che chiamarci, che verremo».

E Gesù li lascia, mentre i tre si curvano a radunare foglie e sterpi per fare un fuocherello che serva a tenerli desti e anche a combattere la guazza che comincia a scendere abbondante.

Cammina, volgendo loro le spalle, da occidente a oriente, avendo perciò in faccia la luce lunare. Vedo che un grande dolore fa ancor più dilatato l'occhio, forse è un bistro di stanchezza che lo allarga, forse è l'ombra dell'arco sopraccigliare. Non so. So che ha l'occhio più aperto e incavato. Sale a testa china, solo ogni tanto la alza con un sospiro, come facesse fatica e anelasse, e allora gira il suo occhio tanto triste sul placido uliveto. Fa qualche metro in salita, poi gira intorno ad uno scaglione, che rimane così fra Lui e i tre lasciati più in basso.

Lo scaglione, alto pochi decimetri all'inizio, sale sempre più e dopo poco è alto più di due metri, di modo che ripara completamente Gesù da ogni sguardo più o meno discreto e amico.

Gesù prosegue sino ad un grosso masso che ad un certo punto sbarra il sentieruolo, forse messo a sostegno alla costa che in giù scoscende più ripida e nuda sino ad una desolata macia, che precede le mura oltre le quali è Gerusalemme, e in su continua a salire con altri balzi e altri ulivi.

Proprio sopra al grosso sasso si spenzola un ulivo tutto nodoso e contorto. Pare un bizzarro punto interrogativo messo dalla natura a chiedere qualche perchè. I rami folti sulla cima danno risposta alla domanda del tronco, dicendo ora di si col piegarsi verso terra, ora di no dimenandosi da destra a manca, sotto un vento lieve che passa a ondate fra le fronde e che a volte sa soltanto di terra, a volte di quell'odore amarognolo dell'ulivo, alle volte di un misto profumo di rose e mughetti che non si sa da dove possa venire.

Oltre il sentieruolo, in basso, sono altri ulivi, ed uno, proprio sotto al masso, fenduto da qualche fulmine eppure sopravvissuto, o scosciato per non so che causa, ha del tronco iniziale fatto due tronchi che salgono come le due aste di un grande V in stampatello, e le due chiome si affacciano al di qua e al di là del masso, come volessero vedere e velare nello stesso tempo, o fare ad esso masso una base di un grigio argento tutto pace.

Gesù si ferma lì. Non guarda la città che appare là in basso, tutta bianca nella luce lunare. Anzi le volge le spalle e prega a braccia aperte a croce, col volto alzato verso il cielo.
E non vedo il volto suo perchè è nell'ombra, avendo la luna quasi a perpendicolo sul capo, è vero, ma anche la folta ramaglia dell'ulivo fra Lui e la luna, che appena filtra fra foglia e foglia con occhiellini ed aghi di luce in perpetuo movimento.

Una lunga, ardente preghiera. Ogni tanto ha un sospiro e qualche parola più netta. Non è un salmo, non è il Pater.

E` una preghiera fatta dallo sgorgare del suo amore e del suo bisogno.

Un vero discorso fatto al Padre suo.
Lo comprendo per le poche parole che afferro:
«Tu lo sai...
Sono il tuo Figlio...
Tutto, ma aiutami...
L'ora è venuta...
Io non sono più della Terra. Cessa ogni bisogno di aiuto al tuo Verbo... Fa' che l'Uomo ti soddisfi come Redentore come ti fu ubbidiente la Parola...
Ciò che Tu vuoi...
Per loro ti chiedo pietà...
Li farò salvi?

Questo ti chiedo. Voglio così: dal mondo salvi, dalla carne, dal demonio... Posso chiedere ancora? È giusta domanda, Padre mio.
Non per Me. Per l'uomo, che è tua creazione e che volle rendere fango anche la sua anima.

Io getto nel mio dolore e nel mio Sangue questo fango, perchè torni l'incorruttibile essenza dello spirito a Te gradito... Ed è dovunque. Egli è il re questa sera. Nella reggia e nelle case. Fra le milizie e nel Tempio...
La città ne è colma, e domani sarà un inferno
...».

Gesù si volge, si appoggia con la schiena al masso e incrocia le braccia. Guarda Gerusalemme. Il viso di Gesù si fa sempre più mesto. Mormora:
«Pare di neve... ed è tutta un peccato. Anche in essa quanti ho guarito! Quanto ho parlato!... Dove sono quelli che mi parevano fedeli?»...

Gesù curva il capo e guarda fisso il terreno coperto di una erbetta corta e lucida di guazza. Ma, per quanto abbia il capo chino, comprendo che piange, perchè delle gocce lucono nel cadere dal volto al suolo. Poi alza il capo, disserra le braccia, le congiunge tenendole al disopra del capo e agitandole così unite.

Poi si incammina.
Torna verso i tre apostoli seduti intorno al loro fuocherello di sterpi. E li trova mezzo addormentati. Pietro si è addossato ad un tronco con le spalle e, con le braccia conserte sul petto, ciondola con la testa nelle prime caligini di un robusto sonno.
Giacomo è seduto, con il fratello, su un radicone che affiora e sul quale hanno messo i mantelli per sentirne meno le gobbe, ma, nonostante siano scomodi più di Pietro, sono anche loro sonnecchianti.
Giacomo ha abbandonato la testa sulla spalla di Giovanni e questo ha piegato la sua su quella del fratello, come se il dormiveglia li avesse immobilizzati in quella posa.

«Dormite? Non avete saputo vegliare un'ora sola? Ed Io ho tanto bisogno del vostro conforto e delle vostre preghiere!».

I tre sobbalzano confusi. Si sfregano gli occhi. Mormorano una scusa, accusando lo sforzo del digerire come causa prima di questo loro sonnecchiare:
«È; il vino... il cibo... Ma ora passa. Un momento è stato. Non avevamo voglia di parlare e questo ci ha portati al sonno. Ma ora pregheremo a voce alta e non succederà più».

«Sì. Pregate e vigilate. Anche per voi ne avete bisogno».

«Sì, Maestro. Ti ubbidiremo».

Gesù torna via. La luna che gli batte in volto, così forte nel suo chiarore d'argento che rende sempre più pallida la veste rossa come la velasse di una polvere bianco lucente, mi fa vedere il suo volto sconfortato, addolorato, invecchiato.
Lo sguardo è sempre dilatato, ma pare appannato. La bocca ha una piega di stanchezza.

Torna al suo masso ancor più lento e curvo.
Si inginocchia appoggiando le braccia al masso, che non è liscio ma a mezza altezza ha come un seno, quasi fosse stato lavorato apposta così, e su questo breve seno è nata una pianticina, che mi pare di quei fioretti simili a piccoli gigli che ho visto anche in Italia (nei posti rocciosi. Il loro nome è cimballarie), dalle fogliette piccole, tonde ma dentellate agli orli e polpute e i fiorellini minuti sugli esilissimi steli. Sembrano piccoli fiocchi nevosi spruzzanti il grigio del masso e le fogliette verde scuro.

Gesù appoggia le mani lì presso e i fiorellini gli vellicano la guancia, perchè Egli appoggia il capo sulle mani giunte e prega.
Dopo un poco sente il fresco delle piccole corolle, alza il capo. Le guarda. Le carezza. Parla loro:
«Voi siete pure!... Voi mi date ristoro! C'erano anche nella grotticella della Mamma questi fiorellini... e Lei li amava perchè diceva: "Quando ero piccina, diceva mio padre: 'Tu sei un giglio così piccino e tutto pieno di rugiada celeste"'...

La Mamma!
Oh! Mamma mia!
».

Ha uno scoppio di pianto. Col capo sulle mani congiunte, ricaduto un poco sui calcagni, lo vedo e l'odo piangere, mentre le mani stringono le dita e le tormentano l'una all'altra.

Sento che dice:
«Anche a Betlemme... e te li ho portati, Mamma. Ma questi, chi te li porterà più?...».

Poi riprende a pregare e a meditare. Deve essere ben triste la sua meditazione, angosciosa più che triste, perchè per sfuggirla Egli si alza, va avanti e indietro mormorando parole che non afferro, alzando il volto, abbassandolo, gestendo, passandosi sugli occhi, sulle gote, sui capelli, le mani con mosse macchinali e agitate, proprie di chi è in grande angoscia.

Dirlo non è niente.
Descriverlo è impossibile.
Vederlo è andare nella sua angoscia.

Gestisce verso Gerusalemme. Poi torna ad alzare le braccia verso il cielo come per invocare aiuto. Si leva il mantello come avesse caldo. Lo guarda... Ma che vede? I suoi occhi non guardano altro che la sua tortura, e tutto serve a questa tortura, ad aumentarla. Anche il mantello tessuto dalla Madre. Lo bacia e dice:
«Perdono, Mamma! Perdono!».

Pare lo chieda alla stoffa filata e tessuta dall'amore di Mamma... Se lo rimette.

È in uno strazio. Vuole pregare per superarlo. Ma con la preghiera tornano i ricordi, le apprensioni, i dubbi, i rimpianti... E una valanga di nomi... città... persone... fatti... Non posso seguirlo perchè è veloce e saltuario.
È la sua vita evangelica che gli sfila davanti... e gli riporta Giuda traditore.
È tanto l'affanno che urla, per vincerlo, il nome di Pietro e Giovanni.
E dice: «Ora verranno. Sono ben fedeli loro!».

Ma "loro" non vengono. Chiama di nuovo. Pare terrorizzato come vedesse chissà che. Fugge veloce verso il luogo dove è Pietro e i due fratelli.
E li trova più comodamente e pesantemente addormentati intorno a poche bragie che, ormai morenti, hanno solo dei zig e zag di rosso fra il grigio della cenere.

«Pietro! Vi ho chiamati tre volte! Ma che fate? Dormite ancora? Ma non sentite quanto soffro? Pregate. Che la carne non vinca, non vi vinca. In nessuno. Se lo spirito è pronto, la carne è debole. Aiutatemi...».

I tre sono più lenti a svegliarsi. Ma infine lo fanno e, con occhi imbambolati, si scusano. Si alzano, prima mettendosi seduti, poi mettendosi proprio ritti.

«Ma guarda!», mormora Pietro. «Non ci è mai accaduto! Deve essere proprio stato quel vino. Era forte. E anche questo fresco. Ci si è coperti per non sentirlo (infatti si erano coperti coi mantelli anche sul capo) e non si è più visto il fuoco, non si è avuto più freddo, ed ecco che il sonno è venuto.
Dici che hai chiamato? Eppure non mi pareva di dormire tanto forte...
Su, Giovanni, cerchiamo dei rametti, muoviamoci. Ci passerà.
Sta' sicuro, Maestro, che ora poi!... Resteremo in piedi...», e getta una manata di fogliette secche sulle bragie, e soffia finchè la fiamma risuscita, e la alimenta con i rami di rovo portati da Giovanni, mentre Giacomo porta un grosso ramo di ginepro, o simile pianta, che ha tagliato da un macchione poco discosto, e lo unisce al resto.

La fiamma si alza alta e gioconda illuminando il povero viso di Gesù. Un viso veramente di una tristezza che non si può guardare senza piangere. Ogni fulgore di quel volto è annullato in una stanchezza mortale.

Dice: «Sono in un'angoscia che mi uccide! Oh! sì! L'anima mia è triste sino a morirne. Amici!... Amici! Amici!».

Ma, se anche così non dicesse, il suo aspetto direbbe che Egli è proprio come uno che muore, e nel più angoscioso e desolato abbandono. Pare che ogni parola sia un singhiozzo...

Ma i tre sono troppo carichi di sonno. Sembrano quasi ebbri tanto vanno traballando ad occhi semichiusi...

Gesù li guarda... Non li mortifica con rimproveri. Scuote il capo, sospira e torna via. Al posto di prima. Prega di nuovo in piedi, con le braccia in croce. Poi in ginocchio come prima, col volto curvo sui piccoli fiori. Pensa. Tace...

Poi si dà a gemere e singhiozzare forte, quasi prostrato tanto è rilassato sui calcagni.

Chiama il Padre.

Sempre più affannosamente...

«Oh!», dice, «È troppo amaro questo calice!
Non posso!
Non posso!

È al di sopra di quanto Io posso.

Tutto ho potuto! Ma non questo... Allontanalo, Padre, dal tuo Figlio! Pietà di Me!... Che ho fatto per meritarlo?
».

Poi si riprende e dice: «Però, Padre mio, non ascoltare la mia voce se essa chiede ciò che è contrario alla tua volontà. Non ricordarti che ti sono Figlio, ma solo servo tuo. Non la mia, ma la tua volontà sia fatta».

Rimane così qualche tempo. Poi ha un grido soffocato e alza un viso sconvolto. Un attimo solo, poi piomba al suolo, proprio volto a terra, e resta così. Uno straccio d'uomo su cui preme tutto il peccato del mondo, su cui si abbatte tutta la Giustizia del Padre, su cui scende la tenebra, la cenere, il fiele, quella tremenda, tremenda, tremendissima cosa che è l'abbandono di Dio mentre Satana ci tortura...

E l'asfissia dell'anima, è l'essere sepolti vivi in questo carcere che è il mondo, quando non si può più sentire che fra noi e Dio vi è un legame, è l'essere incatenati, imbavagliati, lapidati dalle nostre preghiere stesse che ci ricadono addosso irte di punte e sparse di fuoco, è il dare di cozzo contro un Cielo chiuso in cui non penetrano nè voce nè sguardi della nostra angoscia, è l'essere "orfani di Dio", è la pazzia, l'agonia, il dubbio d'essersi sino allora ingannati, è la persuasione di essere scacciati da Dio, di esser dannati.
È l'inferno!...
Oh! lo so! e non posso, non posso vedere lo spasimo del mio Cristo, e sapere che esso è un milione di volte più atroce di quello che mi ha consumata lo scorso anno e che, quando mi torna alla mente, mi sconvolge ancora...

Gesù geme, fra rantoli e sospiri proprio d'agonia: «Niente!...
Niente!...
Via!...

La volontà del Padre!
Quella!
Quella sola!...

La tua volontà, Padre.
La tua, non la mia...

Inutile. Non ho che un Signore: Iddio santissimo.

Una legge: l'ubbidienza.

Un amore: la redenzione...

No.
Non ho più Madre.

Non ho più vita.

Non ho più divinità.

Non ho più missione.

Inutilmente mi tenti, demonio, con la Madre, la vita, la mia divinità, la mia missione.

Ho per madre l'Umanità e l'amo sino a morire per lei.

La vita la rendo a Chi me l'ha data e me la chiede, supremo Padrone di ogni vivente.

La divinità l'affermo essendo capace di questa espiazione.

La missione la compio con la mia morte.

Nulla ho più.
Fuorchè fare la volontà del Signore, mio Dio.

Va' indietro, Satana!

L'ho detto la prima e la seconda volta.
Lo ridico per la terza: "Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia, la tua volontà sia fatta".

Va' indietro, Satana.

Io sono di Dio
».

Poi non parla più altro che per dire fra gli ansiti: «Dio! Dio! Dio!».

Lo chiama ad ogni battito di cuore, e pare che ad ogni battito il sangue trabocchi.
La stoffa tesa sulle spalle se ne imbibisce e torna scura, nonostante il grande chiarore lunare che lo fascia tutto.
Pure un chiarore più vivo si forma sul suo capo, sospeso a circa un metro da Lui, un chiarore così vivo che anche il Prostrato lo vede filtrare fra le onde dei capelli, già pesanti di sangue, e il velo che il sangue fa agli occhi.

Alza il capo... Splende la luna sul povero volto, e ancora più splende la luce angelica simile a quella del diamante bianco azzurro della stella Venere.

E appare tutta la tremenda agonia nel sangue che trasuda dai pori.
Le ciglia, i capelli, i baffi, la barba sono aspersi e cospersi di sangue.
Sangue cola dalle tempie, sangue sgorga dalle vene del collo, sangue gocciano le mani, e quando Egli tende le mani verso la luce angelica e le ampie maniche scorrono in su, verso i gomiti, appaiono tutti sudanti sangue gli avambracci di Cristo. Nel viso, solo le lacrime fanno due righe nette fra la maschera rossa.

Si torna a levare il mantello e si asciuga le mani, il volto, il collo, gli avambracci. Ma il sudore continua. Egli si preme più e più volte la stoffa sul volto tenendola premuta con le mani, ed ogni volta che cambia posto, sulla stoffa rosso scura appaiono nette le impronte che, umide come sono, sembrano essere nere.

L'erba del suolo è rossa di sangue. Gesù pare prossimo a mancare. Si slaccia la veste al collo come si sentisse soffocare. Si porta la mano al cuore e poi al capo e se l'agita davanti al volto come per farsi vento, tenendo la bocca dischiusa.
Si trascina contro il masso, ma più verso lo scrimolo del balzo, e si appoggia con la schiena ad esso, stando con le braccia pendenti lungo il corpo come fosse già morto, la testa penzoloni sul petto. Non si muove più. La luce angelica decresce piano piano. Poi viene come assorbita nel chiarore lunare.

Gesù riapre gli occhi. Alza a fatica il capo.
Guarda.

È solo.

Ma è meno angosciato. Allunga una mano. Tira a Sè il mantello, lasciato abbandonato sull'erba, e torna ad asciugarsi il volto, le mani, il collo, la barba, i capelli. Prende una larga foglia, nata proprio in riva al ciglio, tutta bagnata di guazza, e con quella finisce di pulirsi, bagnandosi volto e mani e poi asciugandosi da capo. E ripete, ripete con altre foglie, finchè ha cancellato le tracce del suo tremendo sudore.
Solo la veste, e specie sulle spalle e alle pieghe dei gomiti, al collo e alla cintura, ai ginocchi, è macchiata. Se la guarda e scuote il capo. Guarda anche il mantello. Ma lo vede troppo macchiato. Lo piega e lo pone sul masso, là dove esso fa cuna, presso i fioretti.

Con fatica, come per debolezza, si rigira mettendosi in ginocchio. Prega appoggiando il capo sul mantello, su cui sono già le mani.

Poi si puntella al masso, si alza e, ancora lievemente barcollando, va dai discepoli. Il suo viso è pallidissimo. Ma non è più turbato. E un viso pieno di divina bellezza, pure essendo esangue e mesto oltre il solito.

I tre dormono saporitamente. Tutti avvolti nei mantelli, sdraiati affatto, presso il fuoco spento, si sentono respirare profondamente in un principio di sonoro russare.
Gesù li chiama.
Inutile.
Deve chinarsi e scuotere generosamente Pietro.
«Cosa è? Chi mi arresta?», dice questo emergendo, sbalordito e spaventato, dal suo mantello verde scuro.

«Nessuno. Sono Io che ti chiamo».

«È mattina?».

«No. È quasi terminata la seconda vigilia».

Pietro è tutto ingranchito. Gesù scuote Giovanni, che ha un grido di terrore vedendo su di lui curvo un volto di fantasma tanto è marmoreo.
«Oh!... Mi parevi morto!».

Scuote Giacomo, e questo, che crede che sia il fratello che lo chiama, dice: «Hanno preso il Maestro?».

«Non ancora, Giacomo», risponde Gesù. «Ma alzatevi ormai e andiamo. Chi mi tradisce è vicino».

I tre, ancora imbambolati, si alzano. Si guardano intorno... Ulivi, luna, usignoli, venticello, pace... Null'altro. Seguono però Gesù senza parlare. Anche gli altri otto sono più o meno addormentati intorno al fuoco spento.

«Sorgete!», tuona Gesù.
«Mentre Satana viene, mostrate all'insonne e ai suoi figli che i figli di Dio non dormono!».

«Sì, Maestro».

«Dove è, Maestro?».

«Gesù, io...».

«Ma che è stato?».

E fra arruffate domande e risposte si rimettono i mantelli...

Appena in tempo per apparire in ordine alla sbirraglia capitanata da Giuda, che irrompe nella quieta piazzuola illuminandola violentemente con molte torce accese. Sono un'orda di banditi camuffati da soldati, facce da galera torte in ghigni da demoni. Vi è anche qualche campione del Tempio.

Gli apostoli balzano tutti in un angolo. Pietro davanti, e dietro in gruppo gli altri.

Gesù resta dove è.
Giuda si accosta sostenendo lo sguardo di Gesù, che è tornato il lampeggiante sguardo dei suoi giorni migliori. E non abbassa il volto. Anzi si fa vicino con un sorriso da iena e lo bacia sulla guancia destra.

«Amico, e che sei venuto a fare? Con un bacio mi tradisci?».

Giuda curva per un attimo la testa, poi la rialza... Morto al rimprovero come ad ogni invito al pentimento.

Gesù, dopo le prime parole ancora dette con imponenza di Maestro, prende il tono accorato di chi si rassegna ad una sventura.

La sbirraglia, con un clamore di urla, viene avanti con funi e bastoni e cerca di impadronirsi degli apostoli, oltre che di Cristo. Meno Giuda Iscariota, si intende.

«Chi cercate?», chiede Gesù calmo e solenne.

«Gesù Nazareno».

«Sono Io».

La voce è un tuono.
Davanti al mondo assassino e a quello innocente, davanti alla natura e alle stelle, Gesù si rende questa testimonianza, aperta, leale, sicura, direi che è lieto di potersela dare.

Ma, se avesse sprigionato un fulmine, non avrebbe potuto fare di più.
Come un fascio di spighe falciate, tutti cadono al suolo. Restano in piedi solo Giuda, Gesù e gli apostoli, che davanti allo spettacolo dei soldati abbattuti riprendono fiato, tanto che si avvicinano a Gesù con delle minacce così esplicite per Giuda che questo fa un balzo, appena in tempo per sfuggire al colpo Maestro della spada di Simone, e invano inseguito da pietre e bastoni, lanciatigli dietro dagli apostoli non armati di spada, fugge oltre il Cedron e si infosca nel nero di un viottolo.

«Alzatevi. Chi cercate? Torno a chiedervi».

«Gesù Nazareno».

«Ve l'ho detto che sono Io», dice con dolcezza Gesù.
Si, con dolcezza.

«Lasciate dunque liberi questi altri. Io vengo. Riponete le spade e i bastoni. Non sono un ladrone. Stavo sempre fra voi. Perchè non mi avete preso allora? Ma questa è la vostra ora e quella di Satana...».

Ma, mentre parla, Pietro si accosta all'uomo che già tende le funi per legare Gesù e mena un maldestro colpo di spada. Se l'avesse usata di punta, lo sgozzava come un montone. Così non fa che staccargli quasi l'orecchio, che resta penzoloni fra un gran gemere di sangue. L'uomo grida dicendosi morto. Vi è tumulto fra chi vuol venire avanti e chi ha paura vedendo luccicare spade e pugnali.

«Riponete quelle armi. Ve lo comando. Se volessi, avrei gli angeli del Padre a difendermi. E tu, guarisci.
Nell'anima per prima cosa, se puoi
». E, prima di tendere le mani alle corde, tocca l'orecchio e lo rende sano.

Gli apostoli hanno urli scomposti...
Sì. Mi spiace dirlo ma è così.

Chi dice una cosa, chi l'altra.
Chi urla: «Ci hai traditi!», e chi: «Ma è folle!», e chi dice: «E chi ti può credere?». Chi non urla, fugge...

E Gesù resta solo... Lui e gli sgherri... E incomincia il cammino...

Riflessioni sull'agonia nel getsemani e premessa agli altri dolori della Passione

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«La sofferenza della mia agonia spirituale tu l'hai contemplata nella sera del Giovedì.
Hai visto il tuo Gesù accasciarsi come uomo colpito a morte che sente fuggire la vita attraverso le ferite che lo svenano, o come creatura soverchiata da un trauma psichico superiore alle sue forze.

Ne hai visto le fasi crescenti, di questo trauma, culminate nell'effusione sanguigna, provocata dallo squilibrio circolatorio causato dallo sforzo di vincermi e di resistere al peso che mi si era abbattuto sopra.

Io ero, sono, il Figlio del Dio altissimo.

Ma ero anche il Figlio dell'uomo.

Da queste pagine voglio che sgorghi nitida questa mia duplice natura, ugualmente totale e perfetta.

Della mia Divinità vi fa fede la mia parola, la quale ha accenti che solo un Dio può avere.

Della mia Umanità i bisogni, le passioni, le sofferenze che vi presento e che patii nella mia carne di vero Uomo, proposta a modello della vostra umanità, così come vi istruisco lo spirito con la mia dottrina di vero Dio.

Tanto la mia santissima Divinità come la mia perfettissima Umanità, nel corso dei secoli e per l'azione disgregante della "vostra" umanità imperfetta, sono risultate menomate, svisate nella loro illustrazione.

Avete resa irreale la mia Umanità, l'avete resa inumana, così come avete resa piccola la mia figura divina, negandola in tante parti che non vi faceva comodo riconoscere o che non potevate più riconoscere con i vostri spiriti, menomati dalle tabi del vizio e dell'ateismo, dell'umanismo, del razionalismo.

Io vengo, in quest'ora tragica, prodromo di universali sventure, vengo a rinfrescarvi nella mente la mia duplice figura di Dio e di Uomo, perchè voi la conosciate quale Essa è, perchè voi la riconosciate dopo tanto oscurantismo con cui l'avete coperta ai vostri spiriti, perchè voi la amiate e torniate ad Essa e vi salviate per mezzo di Essa.

È la figura del vostro Salvatore, e chi la conoscerà e l'amerà sarà salvo.

In questi giorni ti ho fatto conoscere le mie sofferenze fisiche.
Esse hanno torturato la mia Umanità.

Ti ho fatto conoscere le mie sofferenze morali, connesse, intrecciate, fuse a quelle della Madre mia, così come sono le inestricabili liane delle foreste equatoriali, che non si possono separare per reciderne una sola, ma che si deve spezzarle con un unico colpo d'accetta per aprirsi il varco, uccidendole insieme;
così come sono le vene di un corpo, che non se ne può privare di sangue una perchè un unico umore le empie;
così, meglio ancora, così come non si può impedire che nella creatura, che si forma nel seno della madre, entri la morte se la madre muore, perchè è la vita, il calore, il nutrimento, il sangue della madre quello che, con ritmo sonante sul moto del materno cuore, penetra, attraverso le interne membrane, sino al nascituro e lo completa alla vita.

Ella, oh! Ella, la pura Madre mia, mi ha portato non solo per i nove mesi con cui ogni femmina d'uomo porta il frutto dell'uomo, ma per tutta la vita.

I nostri cuori erano uniti da spirituali fibre e hanno palpitato insieme sempre, e non c'era lacrima materna che cadesse senza rigarmi il cuore del suo salso, e non c'era mio interno lamento che non risuonasse in Lei svegliando il suo dolore.

Vi fa pena la madre di un figlio destinato alla morte per morbo insanabile, la madre di un condannato al supplizio dal rigore dell'umana giustizia.

Ma pensate a questa Madre mia, che dal momento in cui mi ha concepito ha tremato pensando che ero il Condannato, a questa Madre che quando m'ha dato il primo bacio sulle carni morbide e rosee di neonato ha sentito le future piaghe della sua Creatura, a questa Madre che avrebbe dato dieci, cento, mille volte la sua vita per impedirmi di divenire Uomo e di giungere al momento dell'Immolazione, a questa Madre che sapeva e che doveva desiderare quell'ora tremenda per accettare la volontà del Signore, per la gloria del Signore, per bontà verso l'Umanità.

No, non vi è stata agonia più lunga, e finita in un dolore più grande, di quella della Madre mia.

E non vi è stato un dolore più grande, più completo del mio.

Ero Uno col Padre.

Egli mi aveva dall'eternità amato come solo Dio può amare.
Si era compiaciuto di Me ed aveva trovato in Me la sua divina gioia.

Ed Io l'avevo amato come solo un Dio può amare, e trovato nell 'unione con Lui la mia gioia divina.

Gli ineffabili rapporti che legano ab eterno il Padre col Figlio non possono esservi spiegati neppure dalla mia parola, perchè, se essa è perfetta, la vostra intelligenza non lo è, e non potete comprendere e conoscere ciò che è Dio finchè non siete seco Lui nel Cielo.

Ebbene, Io sentivo, come acqua che monta e preme contro una diga, crescere, ora per ora, il rigore del Padre verso di Me.

A testimonianza contro gli uomini-bruti, che non volevano comprendere chi ero, Egli aveva aperto, durante il tempo della mia vita pubblica, tre volte il Cielo: al Giordano (Vol 1 Cap 45), al Tabor (Vol 5 Cap 349) e in Gerusalemme (Vol 9 Cap 598) nella vigilia della Passione. Ma l'aveva fatto per gli uomini, non per dare sollievo a Me.
Io ormai ero l'Espiatore.

Molte volte, Maria, Dio fa conoscere agli uomini un suo servo perchè essi ne siano scossi e trascinati, attraverso esso, a Lui, ma ciò avviene anche attraverso il dolore di quel servo.

È desso che paga in proprio, mangiando il pane amaro del rigore di Dio, i conforti e la salvezza dei fratelli.
Non è vero?
Le vittime d'espiazione conoscono il rigore di Dio. Poi viene la gloria. Ma dopo che la Giustizia è placata.

Non è come per il mio Amore, che alle sue vittime dà i suoi baci.
Io sono Gesù, Io sono il Redentore, Colui che ha sofferto e sa, per personale esperienza, cosa sia il dolore d'esser guardato con severità da Dio ed essere abbandonato da Lui, e non sono mai severo, e non abbandono mai.

Consumo ugualmente, ma in un incendio d'amore.

Più l'ora dell'espiazione si avvicinava e più Io sentivo allontanarsi il Padre. Sempre più separato dal Padre, la mia Umanità si sentiva sempre meno sorretta dalla Divinità di Dio.
E ne soffrivo in tutte le maniere.

La separazione da Dio porta seco paura, porta seco attaccamento alla vita, porta seco languore, stanchezza, tedio.
Più è profonda e più sono forti queste sue conseguenze. Quando è totale, porta disperazione.
E quanto più chi, per un decreto di Dio, la prova senza averla meritata, più ne soffre, perchè lo spirito vivo sente la recisione da Dio così come una carne viva sente la recisione di un arto.
E uno stupore doloroso, accasciante, che chi non l'ha provato non intende.

Io l'ho provato.
Tutto ho dovuto conoscere per potere di tutto perorare presso il Padre in vostro favore.

Anche le vostre disperazioni. Oh, Io l'ho provato cosa vuol dire: "Sono solo. Tutti mi hanno tradito, abbandonato.
Anche il Padre, anche Dio non m'aiuta più".
Ed è per questo che opero misteriosi prodigi di grazia presso i poveri cuori che la disperazione soverchia, e che chiedo ai miei prediletti di bere il mio calice così amaro di esperienza, perchè essi, coloro che naufragano nel mare della disperazione, non ricusino la croce che offro per àncora e per salvezza, ma vi si afferrino ed Io li possa portare alla beata riva dove non vive che pace.

Nella sera del Giovedì, Io solo so se avrei avuto bisogno del Padre!

Ero uno spirito già agonizzante per lo sforzo di aver dovuto superare i due più grandi dolori di un uomo: l'addio ad una madre amatissima, la vicinanza dell'amico infedele.
Erano due piaghe che mi bruciavano il cuore. Una col suo pianto, l'altra col suo odio.

Avevo dovuto spezzare il mio pane col mio Caino. Avevo dovuto parlargli da amico per non accusarlo agli altri, della cui violenza non ero sicuro, e per impedire un delitto, inutile d'altronde poichè tutto era già segnato nel gran libro della vita: e la mia Morte santa, ed il suicidio di Giuda.

Inutili altre morti riprovate da Dio.

Nessuno altro sangue che non fosse il mio doveva esser sparso, e sparso non fu. Il capestro strozzò quella vita chiudendo nel sacco immondo del corpo del traditore il suo sangue impuro venduto a Satana, sangue che non doveva mescolarsi, cadendo sulla Terra, al Sangue purissimo dell'Innocente.

Sarebbero bastate quelle due piaghe a fare di Me un agonizzante nel mio Io.
Ma ero l'Espiatore, la Vittima, l'Agnello.

L'agnello, prima d'esser immolato, conosce il marchio rovente, conosce le percosse, conosce lo spogliamento, conosce la vendita al beccaio.
Solo per ultimo conosce il gelo del coltello che penetra nella gola e svena e uccide.
Prima deve lasciare tutto: il pascolo dove è cresciuto, la madre al cui petto si è nutrito e scaldato, i compagni con cui ha vissuto. Tutto.

Io ho conosciuto tutto:
Io, Agnello di Dio.

Perciò è venuto Satana, mentre il Padre si ritirava nei Cieli. Era già venuto all'inizio della mia missione, a tentarmi per sviarmi da essa. Ora tornava. Era la sua ora. L'ora della tregenda satanica.

Torme e torme di demoni erano quella notte sulla Terra, per portare a termine la seduzione nei cuori e farli pronti a volere il domani l'uccisione del Cristo.

Ogni sinedrista aveva il suo, e il suo Erode, e il suo Pilato, e il suo ogni singolo giudeo che avrebbe invocato su lui il mio Sangue.

Anche gli apostoli avevano il loro tentatore al fianco, che li assopiva mentre Io languivo, che li preparava alla viltà.

Osserva il potere della purezza.
Giovanni, il puro, si liberò primo fra tutti della grinfia demoniaca e tornò subito presso il suo Gesù e lo comprese nel suo inespresso desiderio, e mi condusse Maria.

Ma Giuda aveva Lucifero, ed Io avevo Lucifero.
Egli nel cuore, Io al fianco.

Eravamo i due principali personaggi della tragedia, e Satana si occupava personalmente di noi.

Dopo aver condotto Giuda al punto di non potere più retrocedere, si volse a Me.

Con la sua astuzia perfetta, mi presentò le torture della carne con un verismo insuperabile. Anche nel deserto aveva cominciato dalla carne.

Lo vinsi pregando.

Lo spirito signoreggiò le paure della carne.

Mi presentò allora l'inutilità del mio morire, l'utilità di vivere per Me stesso senza occuparmi degli uomini ingrati. Vivere ricco, felice, amato. Vivere per la Madre mia, per non farla soffrire. Vivere per portare a Dio con un lungo apostolato tanti uomini, i quali, una volta Io morto, m'avrebbero dimenticato, mentre se fossi stato Maestro non per tre anni ma per lustri e lustri avrebbero finito ad immedesimarsi della mia dottrina. I suoi angeli mi avrebbero aiutato a sedurre gli uomini. Non vedevo che gli angeli di Dio non intervenivano nell'aiutarmi?
Dopo, Dio mi avrebbe perdonato vedendo la messe di credenti che gli avrei portato. Anche nel deserto m'aveva indotto a tentare Iddio con l'imprudenza.

Lo vinsi con la preghiera.

Lo spirito signoreggiò la tentazione morale.

Mi presentò l'abbandono di Dio. Egli, il Padre, non mi amava più. Ero carico dei peccati del mondo. Gli facevo ribrezzo. Era assente, mi lasciava solo. Mi abbandonava al ludibrio di una folla feroce. E non mi concedeva neppure il suo divino conforto. Solo, solo, solo. In quell'ora non c'era che Satana presso il Cristo. Dio e gli uomini erano assenti, perchè non mi amavano.
Mi odiavano o erano indifferenti. Io pregavo per coprire col mio orare le parole sataniche.
Ma la preghiera non saliva più a Dio. Ricadeva su Me come le pietre della lapidazione e mi schiacciava sotto la sua macia.
La preghiera, che per Me era sempre carezza data al Padre, voce che saliva, ed alla quale rispondeva carezza e parola paterna, ora era morta, pesante, invano lanciata contro i Cieli chiusi.

Allora sentii l'amaro del fondo del calice. Il sapore della disperazione. Era questo che voleva Satana.

Portarmi a disperare per fare di Me un suo schiavo.

Ho vinto la disperazione e l'ho vinta con le sole mie forze, perchè ho voluto vincerla.

Con le sole mie forze di Uomo.

Non ero più che l'Uomo.

E non ero più che un uomo non più aiutato da Dio.

Quando Dio aiuta è facile sollevare anche il mondo e sostenerlo come giocattolo di bimbo.
Ma quando Dio non aiuta più, anche il peso di un fiore ci è faticoso.

Ho vinto la disperazione, e Satana suo creatore, per servire Dio e voi dandovi la Vita.

Ma ho conosciuto la Morte.
Non la morte fisica del crocifisso - quella fu meno atroce - ma la Morte totale, cosciente, del lottatore che cade, dopo aver trionfato, col cuore spezzato e il sangue che si stravasa nel trauma di uno sforzo superiore al possibile.

Ed ho sudato sangue.

Ho sudato sangue per essere fedele alla volontà di Dio.

Ecco perchè l'angelo del mio dolore mi ha prospettato la speranza di tutti i salvati per il mio sacrificio come medicina al mio morire.

I vostri nomi!
Ognuno m'è stato una stilla di farmaco infuso nelle vene per ridare loro tono e funzione, ognuno m'è stato vita che torna, luce che torna, forza che torna.

Nelle inumane torture, per non urlare il mio dolore di Uomo, e per non disperare di Dio e dire che Egli era troppo severo e ingiusto verso la sua Vittima, Io mi sono ripetuto i vostri nomi.

Io vi ho visti.

Io vi ho benedetti da allora.

Da allora vi ho portati nel cuore.

E quando è per voi venuta la vostra ora di essere sulla Terra, Io mi sono proteso dai Cieli ad accompagnare la vostra venuta, giubilando al pensiero che un nuovo fiore di amore era nato nel mondo e che avrebbe vissuto per Me.

Oh! miei benedetti! Conforto del Cristo morente!
La Madre, il Discepolo, le Donne pietose erano intorno al mio morire, ma voi pure c'eravate.

I miei occhi morenti vedevano, insieme al volto straziato della Mamma mia, i vostri visi amorosi, e si sono chiusi così, beati di chiudersi perchè vi avevano salvati, o voi che meritate il Sacrificio di un Dio».

«Hai conosciuto ormai tutti i dolori che hanno preceduto la Passione propriamente detta. Ora ti farò conoscere i dolori della Passione in atto. Quei dolori che più colpiscono la vostra mente quando li meditate.
Ma li meditate molto poco. Troppo poco.

Non riflettete a quanto mi siete costati e di quale tortura è fatta la vostra salvezza.

Voi che vi lamentate di una scorticatura, di un urto contro uno spigolo, di un male di capo, non pensate che Io ero tutto una piaga, che quelle piaghe erano invelenite da molte cose, che le cose stesse servivano a tormento del loro Creatore, perchè torturavano il già torturato Dio-Figlio senza rispetto a Colui che, Padre del creato, le aveva formate.

Ma le cose non erano colpevoli.
Era ancora e sempre l'uomo il colpevole.

Il colpevole dal giorno che ascoltò Satana nel Paradiso terrestre. Non spine, non tossico, non ferocia avevano sino a quel momento le cose del creato per l'uomo creatura eletta.

Dio lo aveva fatto re, questo uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, e nel suo paterno amore non aveva voluto che le cose potessero essere insidiose all'uomo.
Satana mise l'insidia.
Nel cuore dell'uomo per prima. Poi essa partorì all'uomo, colla punizione del peccato, triboli e spine.

Ed ecco che Io, l'Uomo, ho dovuto soffrire anche per le cose e dalle cose, oltre che dalle persone. Queste mi dettero insulti e sevizie; quelle ne furono arma.

La mano che Dio aveva fatto all'uomo per distinguerlo dai bruti, la mano che Dio aveva insegnato all'uomo ad usare, la mano che Dio aveva messo in rapporto con la mente rendendola esecutrice dei comandi della mente, questa parte di voi così perfetta e che avrebbe dovuto aver solo carezze per il Figlio di Dio, dal quale aveva avuto solo carezze e guarigione se era malata, si rivoltò contro il Figlio di Dio e lo colpì di guanciate, di pugni, si armò di flagelli, si fece tenaglia per strappare capelli e barba, e maglio per conficcare i chiodi.

I piedi dell'uomo, che avrebbero dovuto unicamente correre solerti ad adorare il Figlio di Dio, furono veloci per venire a catturarmi, a sospingermi e trascinarmi per le vie dai miei carnefici, e per colpirmi di calci come non è lecito fare con un mulo restio.

La bocca dell'uomo, che avrebbe dovuto usare della parola, la parola che è dote data unicamente all'uomo su tutti gli animali creati, per lodare e benedire il Figlio di Dio, si empi di bestemmie e menzogne e gettò queste, insieme con la sua bava, contro la mia persona.

La mente dell'uomo, quella che è la prova della sua origine celeste, stancò se stessa per escogitare tormenti di un raffinato rigore.

L'uomo, tutto l'uomo usò di se stesso, nelle sue singole parti, per torturare il Figlio di Dio. E chiamò la terra, con le sue forme, ad aiuto nel torturare.
Fece, delle pietre dei torrenti, proiettili per ferirmi; dei rami delle piante, randelli per percuotermi; della ritorta canapa, laccio per trascinarmi, segandomi le carni; delle spine, una corona di pungente fuoco al mio capo stanco; dei minerali, un esasperato flagello; della canna, uno strumento di tortura; delle pietre delle vie, un'insidia al piede vacillante di Colui che saliva, morendo, per morire crocifisso.

E alle cose della terra si unirono le cose del cielo.
Il freddo dell'alba al mio corpo già esausto dell'agonia dell'orto, il vento che esaspera le ferite, il sole che aumenta arsione e febbre e porta mosche e polvere, che abbacina gli occhi stanchi a cui le mani prigioniere non possono far riparo.

E alle cose del cielo si uniscono le fibre concesse all'uomo per rivestire la sua nudità: nel cuoio che diviene flagello, nella lana della veste che si attacca alle aperte piaghe dei flagelli e dà tortura di confricamento e di lacerazione ad ogni mossa.

Tutto, tutto, tutto ha servito per tormentare il Figlio di Dio.

Egli, per cui tutte le cose sono state create, nell'ora in cui era l'Ostia offerta a Dio ebbe tutte le cose nemiche.

Non ha avuto sollievo, Maria, il tuo Gesù da nessuna cosa.

Come vipere inferocite, tutto quanto è si volse a mordermi le carni e ad accrescere il patire.

Questo occorrerebbe pensare quando soffrite e, paragonando le vostre imperfezioni alla mia perfezione e il mio dolore al vostro, riconoscere che il Padre ama voi come non amò Me in quell'ora, ed amarlo perciò con tutti voi stessi, come Io l'ho amato nonostante il suo rigore
».

La conoscenza del tormento del Getsemani

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Dice Gesù:

«Vedi, anima mia, che avevo molta ragione di dire: "La conoscenza del mio tormento del Getsemani non sarebbe capita e diverrebbe scandalo"?

La gente non ammette il Demonio.

Quelli che l'ammettono non ammettono che il Demonio abbia potuto vessare l'anima di Cristo sino al punto di far sudare sangue.

Ma tu, che hai avuto un briciolo di questa tentazione, puoi comprendere. Parliamo dunque insieme.

Mi hai chiesto: "Quante sono le agonie del Getsemani che mi dai?".
Oh! tante! Non per piacere di tormentarti. Unicamente per bontà di Maestro e Sposo.

Non potrei su te, piccola sposa, abbattere tutto insieme il cumulo di desolazione che mi accasciò quella sera e che nessuno intuì, che nessuno comprese fuorchè mia Madre e il mio Angelo.
Ne morresti pazza.

E allora ti dò adesso un briciolo, domani un altro, di modo da farti gustare tutto il mio cibo e di ottenere dal tuo soffrire il massimo di amore di compassione per il tuo dolente Sposo e di redenzione per i tuoi fratelli.

Ecco perchè ti dò tante ore di Getsemani.

Uniscile e, come il mosaicista unendo le tessere piano piano vede formarsi il quadro completo, tu, riunendo nel tuo pensiero il ricordo delle diverse ore, vedrai l'Agonia vera del tuo Signore.

Rifletti come ti amo. La prima volta ti ho dato soltanto la vista della mia smania fisica. E tu, soltanto per vedermi col Volto stravolto, andare e venire, alzare le braccia, torcermi le mani, piangere e abbattermi, ne hai avuta tanta pena che per poco non mi moristi.

Ti ho presentato quella tortura visibile più e più volte sinchè l'hai conosciuta e l'hai potuta sopportare.

Poi, volta per volta, ti ho svelato le mie tristezze.

Le mie tristezze.
Di uomo.
Tutte le passioni dell'uomo si sono drizzate come serpi irritate, fischiando i loro diritti d'essere, ed Io le ho dovute strozzare una per una per esser libero di salire il mio Calvario.

Non tutte le passioni sono malvagie. Te l'ho già spiegato. Io dò a questo nome il senso filosofico, non quello che voi gli date scambiando il senso col sentimento.
E le passioni buone il tuo GesùUomo le aveva come tutti gli uomini giusti.

Ma anche le passioni buone possono divenire nemiche in certe ore, quando con la loro voce fanno catena, e catena di durissimo, fortissimo, annodatissimo acciaio, per impedirci di compiere la volontà di Dio.

Amare la vita, dono di Dio, è dovere, tanto che chi si uccide è colpevole come e più di chi uccide, poichè colui che uccide manca alla carità di prossimo ma può avere l'attenuante di una provocazione che lo dissenna, mentre chi si uccide manca contro sè stesso e contro Dio, che gli ha dato la vita perchè egli la viva sino al suo richiamo.

Uccidersi è strapparsi di dosso il dono di Dio e gettarlo con urlo di maledizione sul Volto di Dio.
Chi si uccide dispera di avere un Padre, un Amico, un Buono.
Chi si uccide nega ogni dogma di fede e ogni asserzione di fede.
Chi si uccide nega Dio.
Dunque occorre aver cara la vita.

Ma come: cara? Facendosi schiavi di essa?
No.

Amica buona la vita. Amica dell'altra.
Della Vita vera.

Questa è la grande Vita. Quella è lapiccola vita.

Ma come un'ancella serve e procura cibo alla sua signora, così la piccola vita serve e nutre la grande Vita, la quale raggiunge l'età perfetta attraverso le cure che la piccola vita le da.

È proprio questa piccola vita che vi procura la veste ornata da indossare quando divenite le Signore del Regno di Vita.

È proprio questa piccola vita che vi fortifica col pane amaro, intriso di forte aceto, delle cose di ogni giorno, e vi fa adulti e perfetti per possedere la Vita che non termina.

Ecco perchè occorre chiamare "cara" questa triste esistenza d'esilio e di dolore.
È la banca in cui maturano i frutti delle ricchezze eterne.

È passabilmente buona? Lodarne il Signore.

È cosparsa di pene? Dir "grazie" al Signore.

È triste oltre misura? Non dir mai: "È troppo". Non dir mai: "Dio è cattivo".

L'ho detto mille volte:
"Il male e le tristezze che sono se non frutto del male? il male non viene da Dio.
È l'uomo il malvagio che fa soffrire".

L'ho detto mille volte:
"Dio sa finchè potete soffrire e, se vede che è troppo ciò che il prossimo vi procura, interviene non soltanto aumentando la vostra forza di sopportazione, ma con conforti celesti; e quando è l'ora con spezzare i malvagi, perchè non è lecito torturare oltre misura il prossimo migliore".

La vita è cara per le oneste soddisfazioni che procura. Dio non le biasima. Il lavoro Egli l'ha messo. Per punizione, ma anche per svago all'uomo colpevole.
Guai se aveste dovuto vivere nell'ozio. Da secoli la Terra sarebbe un enorme manicomio di furenti che si sbranerebbero l'un coll'altro. Lo fate già, perchè ancor troppo oziate.
L'onesta fatica rasserena e da gioia e riposo sereno.

La vita è ancor più cara per gli affetti santi di cui si infiora. Dio non li biasima.
Potrebbe Dio, che è Amore, biasimare un amore onesto?
O gioia d'esser figli! e gioia d'esser padri!
O gioia di trovare una compagna che genera figli al proprio nome e figli a Dio!
O gioia di avere una dolce sorella, un buon fratello, e amici sinceri! No, che queste oneste dolcezze Dio non le biasima.

L'amore lo ha messo Lui, e non sulla Terra, come il lavoro, per punizione e svago del colpevole. Ma nel Terrestre Paradiso per base alla grande gioia di esser figli di Dio. "Non è bene che l'uomo sia solo" ha detto.
Re del creato, l'uomo sarebbe stato in un deserto senza una compagna.

Buoni gli animali tutti col loro re, ma troppo, sempre troppo inferiori al figlio di Dio. Buono, infinitamente buono Dio col suo figlio, ma sempre troppo superiore ad esso. L'uomo avrebbe patito la solitudine di essere ugualmente distante dal divino e dall'animale.

E Dio gli diede la compagna. Non solo. Ma dal casto amore con la stessa gli avrebbe concesso i dolci figli, perchè l'uomo e la donna potessero dire la parola più dolce dopo il Nome di Dio: "Figlio mio!"; e i figli potessero dire la parola più santa dopo il Nome di Dio: "Mamma!".

Mamma! Chi dice "mamma" prega già.

Dire "mamma" vuol dire ringraziare Dio della sua Provvidenza, che da una madre ai figli dell'uomo e fino ai piccoli figli delle fiere e dei domestici animali e dei volanti uccelli e fin dei muti pesci, perchè l'uomo non conoscesse l'orrore di crescere solo e non cadesse per mancanza di sostegno quando ancora è troppo debole per conoscere il Bene e il Male.

Dire "mamma" vuol dire benedire Iddio che ci fa conoscere cosa sia l'amore attraverso il bacio di una madre e le parole delle sue labbra.

Dire "mamma" vuol dire conoscere Iddio che ci da un riflesso del suo principale attributo, la Bontà, attraverso l'indulgenza di una madre. E conoscere Iddio vuol dire Sperare, credere e amare. Vuol dire salvarsi.

Avere un fratello non è come avere, per una pianta, la pianta gemella che sostiene nelle ore di burrasca, intrecciando i rami, e che nelle ore di gioia aumenta la fioritura di essa col polline del suo amore?
Per questo ho voluto che i cristiani si chiamassero l'un l'altro "fratelli",perchè è giusto, dato che venite tutti da un Dio e da un sangue d'uomo, e perchè è santo, perchè è confortevole per coloro che non hanno fratelli di carne poter dire al vicino: "Fratello, io ti amo. Amami".

Avere un amico sincero non è come avere un compagno nel cammino?
Andare soli è troppo triste.
Quando Dio elegge alla solitudine di vittima un'anima, allora gli si fa compagno perchè soli non si può stare senza flettere.

La vita è una strada scoscesa, sassosa, spesso interrotta da crepacci e correnti vorticose.Aspidi e spine lacerano e mordono sull'irto sentiero.

Esser soli sarebbe perire.
Dio ha creato l'amicizia per questo. In due cresce la forza e il coraggio. Anche un eroe ha attimi di debolezza.
Se è solo dove si appoggia? Ai rovi? Dove si afferra? Agli aspidi? Dove si adagia? Nel torrente vorticoso o nell'orrido oscuro?
Ovunque troverebbe nuova ferita e nuovo pericolo. Ma ecco l'amico. Il suo petto è appoggio, il suo braccio sostegno, il suo affetto riposo. E l'eroe riprende forza. Il camminatore cammina di nuovo sicuro.

Per valorizzare l'amicizia Io ho voluto chiamare "amici" i miei apostoli, e tanto ho apprezzato questo affetto che nell'ora del dolore ho voluto i tre più cari con Me nel Getsemani.
Li ho pregati di vegliare e pregare con Me, per Me... e di vederli incapaci di farlo ne ho tanto sofferto da uscirne indebolito, e perciò più suscettibile alle seduzioni sataniche.
Una parola, avessi potuto scambiare una parola con degli amici desti e comprensivi del mio stato, non sarei giunto a svenarmi, prima della Tortura, nella lotta per respingere Satana.


Ma vita e affezioni non devono divenire nemiche. Mai. Se tali divengono, occorre spezzarle. Le ho spezzate. Una per una.

Avevo già spezzato l'umano fermento di sdegno verso il Traditore. E un nervo del mio Cuore s'era lacerato nello sforzo.

Ora ecco che sorgeva la paura di perdere la vita. La vita! Avevo trentatrè anni. Ero uomo in quell'ora.
Ero l'Uomo.
Avevo perciò l'amore vergine della vita come lo aveva Adamo nel Paradiso Terrestre. Una gioia d'esser vivo, d'esser sano, d'esser forte, bello, intelligente, amato, rispettato. Una gioia di vedere, di intendere, di poter esprimere. Una gioia di respirare l'aria pura e profumata, di udire l'arpa del vento fra gli ulivi e del rio fra i sassi, e il flauto di un usignolo innamorato; di vedere splendere le stelle in cielo, tanti occhi di fuoco che guardavano Me con amore; di vedere farsi d'argento la terra per la luna così bianca e lucente che riverginizza ogni sera il mondo, e pare impossibile che sotto la sua onda di candida pace possa agire il Delitto.

E tutto questo lo dovevo perdere.
Non più vedere, non più udire, non più muovermi, non più esser sano, non più esser rispettato. Divenire l'aborto marcioso che si scansa col piede torcendo il capo con disgusto, l'aborto espulso dalla società che mi condannava per esser libera di darsi ai suoi sozzi amori.

Gli amici!...

Uno mi aveva tradito.
E mentre Io attendevo la morte, egli si affrettava a portarmela. Credeva di darsi gioia con la mia morte... Gli altri dormivano.
Eppure li amavo. Avrei potuto destarli, fuggire con loro, altrove, lontano, e salvare vita e amicizia.

E invece dovevo tacere e restare. Restare voleva dire perdere amici e vita. Esser un reietto, voleva dire.

La Mamma!
O amore della Mamma!
Invocato amore curvo sul mio dolore! Respinto amore per non farti morire del mio dolore! Amore della mia Mamma!

Sì, lo so.
Ogni mio singhiozzo ti giungeva, o Santa. Ogni mio chiamarti valicava lo spazio e penetrava come spirito nella chiusa stanza dove tu, come sempre, passavi la tua notte orando, e in quella notte orando non con estasi ma con tortura d'anima.
Lo so.
E mi interdivo di chiamarti per non farti giungere il lamento del tuo Figlio, o Madre martire che iniziavi la tua Passione, solitaria come Io solitario, nella notte del Giovedì pasquale!

Il figlio che muore fra le braccia di sua madre non muore:
si addormenta cullato da una ninna nanna di baci, che continuano gli angeli sino al momento che la visione di Dio smemora il figlio del desiderio di sua madre.

Ma Io dovevo morire fra le braccia dei carnefici e di un patibolo, e chiudere vista e udito su schiamazzi di maledizione e gesti di minaccia.

Come ti ho amata, Madre, in quell'ora del Getsemani!

Tutto l'amore che ti avevo dato e che mi avevi dato in trentatrè anni di vita erano davanti a Me e peroravano la loro causa e mi imploravano di aver pietà di essi, ricordando ogni bacio tuo, ogni tua cura, le stille di latte che mi avevi dato, il cavo tiepido delle tue mani per i miei piedini freddi d'infante povero, le canzoni della tua bocca, la leggerezza delle tue dita sui miei riccioli fitti, e il tuo sorriso e il tuo sguardo e le tue parole e i tuoi silenzi e il tuo passo di colomba che posa i piedi rosei al suolo ma tiene le ali già socchiuse al volo, e non piega stelo tanto il suo andare è leggero, poichè tu eri sulla Terra per mia gioia, o Madre, ma tu avevi l'ali sempre trepide di Cielo, o santa, santa, santa e innamorata!

Tutte le lacrime che già ti ero costato, e tutte quelle che ora cadevano dal tuo ciglio e quelle che sarebbero cadute nei tre giorni avvenire, ecco che le udivo cadere come pioggia di lamento.
O lacrime di mia Mamma!

Ma chi può vedere piangere, udire piangere sua mamma e non avere poi, finchè vita gli dura, lo strazio presente di quel pianto?

Io ho dovuto sperdere, strozzare l'amore umano per te, Mamma, e calpestare il tuo e il mio amore per camminare sulla via della Volontà di Dio.

Ed ero solo. Solo! Solo! Terra e Cielo non avevano più abitanti per Me.

Ero l'Uomo carico dei peccati del mondo.
Odiato perciò da Dio. Dovevo pagare per redimermi ed essere di nuovo amato.

Ero l'Uomo carico della Bontà del Cielo. Odiato perciò dagli uomini a cui la Bontà è ripugnante. Dovevo essere ucciso per punizione d'esser buono.

E anche voi, oneste gioie del lavoro compiuto per dare il pane quotidiano a Me stesso prima, per dare il pane spirituale poi agli uomini, mi siete venute avanti a dirmi: "Perchè ci lasci?".

Nostalgia della quieta casa fatta santa da tante orazioni di giusti, fatta Tempio per aver accolto gli sponsali di Dio, fatta Cielo per aver ospitato fra le sue mura la Trinità chiusa nell'anima del Cristo di Dio!

Nostalgia delle folle umili e schiette alle quali davo luce e grazie, e dalle quali mi veniva amore! Voci di bambini che mi chiamavano con un sorriso, voci di madri che mi chiamavano con un singhiozzo, voci di malati che mi chiamavano con un gemito, voci di peccatori che mi chiamavano con un tremito!

Tutte le udivo e mi dicevano:
"Perchè ci abbandoni? Non ci vuoi più accarezzare? Chi ci darà carezze, sui ricci biondi o bruni, simili alle tue?".
"Non vuoi più renderci le creature estinte, guarirci le morenti? Chi avrà pietà delle madri come Tu, Figlio santo?".
"Non vuoi più sanarci? Chi ci guarirà se Tu scompari?".
"Non vuoi più redimerci? Non ci sei che Tu che sei Redenzione. Ogni tua parola è forza che schianta una corda di peccato nel nostro buio cuore. Noi siamo più malati dei lebbrosi, perchè per loro la malattia cessa con la morte, per noi si accresce. E Tu te ne vai? Chi ci capirà? Chi sarà giusto e pietoso? Chi ci rialzerà? Resta, Signore! ".

"Resta! Resta! Rimani!", urlava la folla buona.

"Figlio!", urlava mia Madre.

"Salvati! ", urlava la vita.

Ho dovuto spezzare queste gole che urlavano, strozzarle per non farle più urlare, per aver forza di spezzarmi il cuore, strappando uno per uno i suoi nervi per compiere la Volontà di Dio.

Ed ero solo.

Cioè: ero con Satana.

La prima parte dell'orazione era stata penosa, ma ancora potevo sentire lo sguardo di Dio e sperare nell'amore degli amici.

La seconda fu più penosa perchè Dio si ritirava e gli amici dormivano. Riconfermavano il sibilo di Satana e la voce della vita:
"Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono".

La terza... la terza fu la demenza, fu la disperazione, fu l'agonia, fu la morte. La morte dell'anima mia.
Non è risorto soltanto il corpo mio.

\ Anche la mia anima ha dovuto risorgere.

Poichè conobbe la Morte.

Non vi paia eresia.
Cosa è la morte dello spirito?

La separazione eterna da Dio.

Ebbene: Io ero separato da Dio.

Il mio spirito era morto.

È la vera ora di eternità che Io concedo ai miei prediletti.

Quella che tu, piccola sposa, ti sei chiesta che fosse da quando ti hanno detto che tu hai sorte simile a Veronica Giuliani, che al termine della esistenza conobbe questo strazio superiore a tutti gli strazi sovrumani.

Noi conosciamo la morte dello spirito, senza averla meritata, per comprendere l'orrore della dannazione che è tormento dei peccatori impenitenti.

La conosciamo per ottenere di salvarli.
Lo so.

Il cuore si spezza.
Lo so.

La ragione vacilla.
So tutto, anima diletta.

L'ho provato prima di te.

È l'orrore infernale. Siamo in balìa del Demonio poichè siamo separati da Dio.

Credi tu che Marta, che vinse il dragone, abbia tremato più di noi?
No.

La sofferenza è più grande in noi. La belva vinta da Marta era una spaventosa belva, ma sempre una belva della Terra. Noi vinciamo la Belva-Lucifero. Oh! non c'è confronto!

E la Belva-Lucifero viene sempre più vicino quanto più tutto, in Cielo e in Terra, da noi si allontana.

Ero già stato tentato nel deserto. Una fola di tentazione, poichè allora avevo soltanto la debolezza del cibo materiale.

Ora ero affamato di cibo spirituale e affamato di cibo morale, e non c'era pane per il mio spirito e pane per il mio cuore.
Non più Dio per lo spirito mio.
Non più affetti per il cuore mio.

Ecco, allora, esile come lama di vento, penetrante come pungiglione d'ape, irritante come veleno di colubro, la voce di Lucifero.

Un flauto che suona in sordina, così piano, così piano che non desta la nostra vigile attenzione.
Penetra con la seduzione della sua magica armonia, ci fa sonnecchiare, sembra un conforto, ha aspetto di conforto soprannaturale.

Oh! Ingannatore eterno, come sei sottile!
L'io non chiede che di essere aiutato. E pare che quel suono aiuti. Parole di compassione e di comprensione, dolci come carezze su una fronte febbrile, calmanti come unguento su una bruciatura, stordenti come vino generoso versato a chi è digiuno. L'anima stanca si addormenta.

Se non fosse più che vigile col suo subcosciente, il quale è vigile soltanto in coloro che nutrono sè stessi di costante unione all'Amore, finirebbe col cadere in un letargo che la darebbe in balia totale di Satana, in un ipnotico sonno durante il quale Lucifero le farebbe compiere qualsiasi azione.

Ma l'anima che ha nutrito sè stessa costantemente di Amore non perde l'integrità del suo subcosciente, neppure nelle ore che uomini e Dio pare si uniscano per fare di lei una demente.
E il subcosciente sveglia l'anima.

Le grida: "Agisci. Sorgi. Satana ti è alle spalle".

La lotta tremenda ha inizio.
Il veleno è già in noi. Occorre perciò lottare coi suoi effetti e contro le ondate accelerate, sempre più veementi e accelerate, del nuovo veleno della parola satanica che si versa su noi.

Il frastuono cresce. Non è più suono di flauto in sordina, non è più carezza e unguento.

È clangore di strumenti pieni, è percossa, è ferita di gladio, è fiamma che soffoca e arde.

E nella fiamma ecco la vita che passa davanti allo Sguardo spirituale.

Già c'era passata col suo rassegnato aspetto di cosa sacrificata. Ora torna con veste di prepotente regina e dice: "Adorami! Io son che regno! Questi sono i miei doni. I doni che ti ho dato e più belli ti darò se tu mi sarai fedele".

E nel suono degli strumenti tornano le voci delle cose e delle persone. Non pregano più. Comandano, imprecano, insultano, maledicono, perchè le abbandoniamo.

Tutto torna per tormentarci.
Tutto. E l'anima sbalordita lotta sempre più debolmente.

Quando vacilla come guerriero svenato e cerca un appoggio in Cielo o in Terra per non procombere, ecco che Lucifero le da la sua spalla. Non c'è che lui... Si chiama al soccorso... Non risponde che lui... Si cerca uno sguardo di pietà... Non si trova che il suo...

Guai a illudersi sulla sua sincerità!

Col resto di energia che sopravvive bisogna scostarsi da quell'appoggio, rientrare nella solitudine, chiudere gli occhi e contemplare l'orrore del nostro destino piuttosto che il suo subdolo aspetto, alzare le mani che tremano e stringerle sulle orecchie per fare ostacolo alla voce che inganna.

Cade ogni arma nel fare così. Non si è più che una povera cosa morente e sola. Non si riesce neppur più a pregare con la parola, perchè l'acre del fiato di Satana ci strozza le fauci.

Solo il subcosciente prega.

Prega.

Prega.

Come batter convulso di farfalla trafitta esso agita le sue ali nell'agonia, ed ogni colpo d'ala dice:
"Credo, spero, amo. Credo ugualmente, spero ugualmente, ti amo ugualmente".

Non dice:
"Dio".

Non osa più pronunciare il suo Nome. Si sente troppo insozzato dalla vicinanza di Satana. Ma quel Nome lo tracciano le lacrime di sangue del cuore sulle ali angeliche dello spirito, che voi chiamate subcosciente mentre in realtà è il super cosciente, e ad ogni colpo d'ala quel Nome sfavilla come rubino percosso dal sole, e Dio lo vede, e le lacrime di pietà di Dio circondano di perle il rubino del vostro sangue che goccia in pianto eroico...

Oh! anime che salite a Dio con quel Nome scritto così in rubini e perle!...

Fiori del mio Paradiso!

Satana mi diceva, poichè la voce entrava nonostante ogni mio riparo:
"Tu vedi. Ancora non sei morto e già sei abbandonato.
Tu vedi. Hai beneficato e sei odiato.
Tu vedi. Lo stesso Dio non ti soccorre. Se non ti ama Dio, di cui sei Figlio, puoi mai sperare ti siano grati gli uomini del tuo sacrificio?

Sai cosa occorre per loro?
La Vendetta, non l'Amore come Tu credi.

Vendicati, o Cristo, di tutti questi stolti, di tutti questi crudeli.
Vendicati.

Colpiscili con un miracolo che li fulmini. Appari quale sei: Dio.
Il Dio terribile del Sinai.

Il Dio terribile che mi ha fulminato e che ha cacciato Adamo dal Paradiso.

Fino ad ora hai detto parole di bontà.
I tuoi rari rimproveri erano sempre troppo dolci per queste belve dalla pelle spessa più del cuoio dell'ippopotamo. Il tuo sguardo medicava le tue parole.

Non sai che amare.

Odia. E regnerai. L'odio tiene curve le schiene sotto la sua sferza e passa trionfante su queste schiene servili. Le schiaccia. E sono felici d'esserlo. Non sono che dei sadici, e la tortura è l'unica carezza che apprezzano e che ricordano.

È tardi? No, che non è tardi. Già gli armati vengono a questa volta? Non importa. Lo so che Tu ti appresti ad esser mite. Sei in errore. Una volta ti avevo insegnato a trionfare nella vita. Non hai voluto ascoltarmi e Tu vedi che sei un vinto. Ora ascoltami. Ora che ti insegno a trionfare dalla Morte.
Sii Re e Dio.
Non hai armi? Non milizie? Non ricchezze? Te l'ho detto già una volta che un resto di amore, quel poco che può essermi rimasto dal tesoro d'amore che era la mia vita angelica, è in me per Te che sei buono. Ti amo, mio Signore, e ti voglio servire.
Sei il Redentore degli uomini. Perchè non vuoi esserlo del tuo angelo decaduto? Ero il tuo prediletto perchè ero il più luminoso e Tu sei la Luce.

Ora sono la Tenebra.

Ma le lacrime del mio tormento hanno empito l'Inferno di liquido fuoco tanto sono numerose. Lascia che io mi redima. Un poco soltanto. Che da demone divenga uomo. L'uomo è sempre tanto inferiore agli angeli. Ma quanto è superiore a me, demonio!
Fa' che io divenga uomo. Dammi una vita d'uomo tribolata, torturata, angosciosa quanto ti pare. Sarà sempre un paradiso rispetto al mio tormento demonico. E potrò viverla in modo da meritare di espiare per dei millenni e giungere infine di nuovo alla Luce: a Te.
Lascia che io ti serva in cambio di questo che ti chiedo. Nessun'arma vince le mie. Nessun esercito è più numeroso del mio. Le ricchezze di cui dispongo non hanno misura, perchè ti farò re del mondo se Tu accetti il mio aiuto, e tutti i ricchi saranno gli schiavi tuoi. Guarda: i tuoi angeli, gli angeli del Padre tuo sono assenti. Ma i miei sono pronti a vestirsi di angelici aspetti per farti corona e stupire la plebe ignorante e malvagia.
Non sai dire parole di imperio? Io te le suggerirò. Sono qui per questo. Tuona e minaccia. Ascoltami. Di' parole di menzogna. Ma trionfa. Di' parole di maledizione. Di' che te le suggerisce il Padre.
Vuoi che simuli la voce dell'Eterno? Lo farò. Tutto posso fare. Sono il Re del mondo e dell'Inferno. Tu non sei che il Re del Cielo. Io sono più grande perciò di Te. Ma metto tutto ai tuoi piedi se Tu lo vuoi.
La Volontà del Padre tuo? Ma come puoi pensare che Egli voglia la morte del suo Figlio? Pensi che possa illudersi sull'utilità della stessa? Tu fai torto all'Intelligenza di Dio.
Già hai redento coloro che sono suscettibili di redenzione con la tua santa Parola. Non occorre di più. Credi che chi non muta per la Parola non muta per il tuo Sacrificio. Credi che il Padre ti ha voluto provare. Ma gli basta la tua ubbidienza. Non vuole di più.
Quanto lo servirai di più vivendo! Puoi percorrere il mondo. Evangelizzare. Guarire. Elevare. O sorte felice! La Terra abitata da Dio! Ecco la vera redenzione. Rifare della Terra il Paradiso terrestre dove l'uomo torna a vivere in santa amicizia con Dio e ne ode la voce e ne vede l'aspetto. Più ancora felice della sorte dei due Primi. Poichè vedrebbero Te: vero Dio, vero Uomo.
La Morte! La tua Morte! Lo strazio di tua Madre! Lo scherno del mondo! Perchè? Vuoi essere fedele a Dio? Perchè? Ti è fedele Lui? No. Dove sono i suoi angeli? Dove è il suo sorriso? Cosa hai per anima, adesso? Un cencio lacero, afflosciato, abbandonato.
Deciditi. Dimmi: 'Sì'.
Senti? Escono dal Tempio i sicari. Deciditi. Liberati. Sii degno della tua Natura. Tu sei un sacrilego, perchè permetti che mani sozze di sangue e libidine tocchino Te: Santo dei santi. Sei il primo sacrilego del mondo. Dai la Parola di Dio in mano ai porci, in bocca ai porci.
Deciditi. Sai che morte ti attende. Io ti offro la vita, la gioia. La Madre ti riporto. Povera Madre! Non ha che Te! Guardala come agonizza... e Tu ti appresti a farla agonizzare più ancora. Che figlio sei? Che rispetto porti alla Legge? Non rispetti Dio-Te. Non rispetti la Genitrice. Tua Madre... Tua Madre... Tua Madre...".






Ho risposto... Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto:

"Non ho più madre.
Non ho più vita.
Non ho più divinità.
Non ho più missione.

Nulla ho più. Fuorchè fare la Volontà del Signore mio Dio.

Va' indietro, Satana!

L'ho detto la prima e la seconda volta. Lo ridico perla terza:
'Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia: la tua Volontà sia fatta'.

Va' indietro, Satana.

Io son di Dio!".

Maria, ho risposto così...
E il Cuore si è franto nello sforzo.

Il sudore è divenuto non più stille, ma rivoli di sangue.

Non importa. Ho vinto.

Io ho vinto la Morte.
Io.
Non Satana.
La Morte si vince accettando la morte.

Ti avevo promesso un grande regalo. Come a pochi l'ho concesso. Te l'ho dato.

Hai conosciuto l'estrema tentazione del tuo Gesù. Te l'avevo già svelata. Ma eri ancora immatura per conoscerla in pieno. Ora lo puoi fare.

Vedi che ho ragione di dire che non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani e non cristiani formati? Va' in pace, che Io sono con te
».

[Il presente "dettato" sull'Ora del Getsemani, scritto su un fascicoletto a sè stante, è senza data; ma da I quaderni del 1944 si apprende che fu promesso, come "grande regalo", il 5 luglio e dato il giorno seguente]


I processi e il rinnegamento di Pietro. Considerazioni su Pilato

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Incomincia il doloroso cammino per la stradetta sassosa che conduce dalla piazzetta dove Gesù fu catturato al Cedron e da questo, per altra stradetta, alla città.
E subito incominciano i lazzi e le sevizie. Gesù, legato come è ai polsi e persino alla cintura come fosse un pazzo pericoloso, con i capi delle funi affidati a degli energumeni briachi di odio, è stiracchiato qua e là come un cencio abbandonato all'ira di una torma di cuccioli.

Ma, fossero cani coloro che così agiscono, sarebbero ancora scusabili. Invece hanno nome di uomini, sebbene dell'uomo non abbiano altro che l'aspetto.
Ed è per dare maggior dolore che hanno pensato a quella legatura di due funi opposte, di cui una si occupa soltanto di imprigionare i polsi, e li sgraffia e sega col suo ruvido attrito, e l'altra, quella della cintura, comprime i gomiti contro il torace, e sega e opprime l'alto dell'addome, torturando il fegato e le reni, dove è fatto un enorme nodo e dove, ogni tanto, chi tiene i capi delle funi dà, con gli stessi, delle sferzate dicendo: «Arri! Via! Trotta, somaro!», e unisce anche dei calci, menati al dietro dei ginocchi del Torturato, che ne barcolla e non cade del tutto solo perchè le funi lo tengono in piedi.

Ma non evitano però che, stiracchiato verso destra da quello che si occupa delle mani e verso sinistra da quello che tiene la fune della cintura, Gesù vada ad urtare contro muretti e tronchi, e cada duramente contro la spalletta del ponticello per un più crudele strattone, ricevuto quando sta per valicare il ponticello sul Cedron.

La bocca contusa sanguina.

Gesù alza le mani legate per tergersi il sangue che brutta la barba, e non parla.

È veramente l'agnello che non morde chi lo tortura.

Della gente è scesa intanto a prendere selci e ciottoli nel greto, e dal basso inizia una sassaiola sul facile bersaglio.

Perchè l'andare è stentato sul ponticello stretto e insicuro, su cui la gente si accalca facendo ostacolo a se stessa, e le pietre colpiscono Gesùsul capo, sulle spalle, e non Gesù solo.
Ma anche i suoi aguzzini, che reagiscono lanciando bastoni e le stesse pietre.
E tutto serve per colpire di nuovo Gesù sul capo e sul collo.

Ma il ponte ha ben fine, ed ora la viuzza stretta getta ombre sulla mischia, perchè la luna, che inizia il tramonto, non scende in quel vicolo contorto, e molte torce nel parapiglia si sono spente.

Ma l'odio fa da lume per vedere il povero Martire, al quale fa da torturatrice anche la sua alta statura.
È il più alto di tutti. Facile quindi il percuoterlo, l'acciuffarlo per i capelli obbligandolo a rovesciare violentemente indietro il capo, sul quale viene lanciata una manata di immonda materia, che gli deve per forza andare in bocca e negli occhi dando nausea e dolore.

Si inizia la traversata del sobborgo di Ofel, del sobborgo in cui tanto bene e tante carezze Egli ha sparso. La turba vociante richiama i dormenti sulle soglie, e se le donne hanno gridi di dolore e fuggono terrorizzate vedendo l'avvenuto, gli uomini, gli uomini che pure da Lui hanno avuto guarigioni, soccorsi, parole d'Amico, o chinano il capo rimanendo indifferenti, affettando noncuranza per lo meno, o passano dalla curiosità all'astio, al ghigno, all'atto di minaccia, e anche si accodano al corteo per seviziare.

Satana è già all'opera...

Un uomo, un marito che vuole seguirlo per offenderlo (si tratta di certo di Giacobbe, guarito da Gesù al Vol 6 Cap 374), viene abbrancato dalla moglie urlante che gli grida: «Vigliacco! Se sei vivo è per Lui, lurido uomo pieno di marciume. Ricordalo!».

Ma la donna viene sopraffatta dall'uomo, che la picchia bestialmente gettandola al suolo e che poi corre a raggiungere il Martire, sulla cui testa scaglia un sasso.

Un'altra donna, vecchia, cerca di sbarrare la strada al figlio (è Samuele, sposo fedifrago di Annalia, incontrato al Vol 6 Capp 374 e 375), che accorre con un volto di iena e con un bastone per colpire lui pure, e gli grida: «Assassino del tuo Salvatore tu non sarai finchè io vivo!».
Ma la misera, colpita dal figlio con un calcio brutale all'inguine, stramazza gridando: «Deicida e matricida! Per il seno che squarci una seconda volta e per il Messia che ferisci, che tu sia maledetto!».

La scena aumenta sempre più in violenza man mano che ci si avvicina alla città.

Prima di giungere alle mura - e già sono aperte le porte, ed i soldati romani con le armi al piede osservano dove e come si svolge il tumulto, pronti ad intervenire se il prestigio di Roma ne fosse leso - vi è Giovanni con Pietro.

Io credo che siano giunti lì da una scorciatoia presa valicando il Cedron più su del ponte e precedendo velocemente la turba, che va lenta, tanto da sè si ostacola. Stanno nella penombra di un androne, presso una piazzetta che precede le mura. E hanno sul capo i mantelli a far velo al volto.

Ma, quando Gesù giunge, Giovanni lascia cadere il suo mantello e mostra la sua faccia pallida e sconvolta al libero chiarore della luna, che lì ancora fa lume prima di scomparire dietro il colle, che è oltre le mura e che sento designare come Tofet dagli sgherri catturatori.
Pietro non osa scoprirsi. Ma però viene avanti per essere visto... Gesù li guarda... ed ha un sorriso di una bontà infinita.

Pietro gira su se stesso e torna nel suo angolo buio, con le mani sugli occhi, curvo, invecchiato, già un cencio d'uomo. Giovanni resta coraggiosamente dove è e solo quando la turba vociante è passata raggiunge Pietro, lo prende per un gomito, lo guida come fosse un ragazzo che guida il padre cieco, ed entrano ambedue in città dietro alla folla schiamazzante.

Sento le esclamazioni stupite, derisorie, addolorate dei soldati romani. Chi fra essi maledice per essere stato levato dal letto per quel «pecorone stolto»; chi deride i giudei capaci di «prendere una mezza femmina»; chi compassiona la Vittima che «ha sempre visto buona»; e chi dice: «Preferirei mi avessero ucciso che vedere Lui in quelle mani.
È un grande.
La mia devozione è per due nel mondo: Egli e Roma».
«Per Giove!», esclama il più alto in grado. «Io non voglio noie. Ora vado dall'alfiere. Pensi lui a dirlo a chi deve. Non voglio essere mandato a combattere i Germani. Questi ebrei puzzano e sono serpi e rogne. Ma qui è sicura la vita. Ed io sto per finire il tempo, e presso Pompei ho una fanciulla!... ».

Perdo il resto per seguire Gesù, che procede per la via che fa un arco in salita per andare al Tempio.

Ma vedo e comprendo che la casa di Anna, dove lo vogliono portare, è e non è in quel labirintico agglomerato che è il Tempio e che occupa tutto il colle di Sion.
Essa ne è agli estremi, presso una serie di muraglioni, che paiono delimitare qui la città e da questo luogo si estendono con portici e cortili per il fianco del monte sino a giungere nel recinto del Tempio vero e proprio, ossia di quello in cui vanno gli israeliti per le loro diverse manifestazioni di culto.
Un alto portone ferrato si apre nella muraglia. A questo accorrono delle iene volonterose e bussano forte. E non appena si apre uno spiraglio irrompono dentro, quasi atterrando e calpestando la serva venuta ad aprire, e lo spalancano tutto perchè la turba vociante, con il Catturato al centro, possa entrare.

Ed entrata che è, ecco che chiudono e sprangano, paurosi forse di Roma o dei partigiani del Nazareno. I suoi partigiani! Dove sono?... Percorrono l'atrio di ingresso e poi traversano un ampio cortile, un corridoio, e un altro portico e un nuovo cortile, e trascinano Gesù su per tre scalini, facendogli percorrere quasi di corsa un porticato sopraelevato sul cortile per giungere più presto ad una ricca sala, dove è un uomo anziano vestito da sacerdote.

«Dio ti consoli, Anna», dice colui che pare l'ufficiale, se ufficiale può chiamarsi il manigoldo che ha comandato quei briganti.

«Eccoti il colpevole. Alla tua santità l'affido perchè Israele sia mondato dalla colpa».

«Dio ti benedica per la tua sagacia e la tua fede».

Bella sagacia! Era bastata la voce di Gesù a farli cadere per terra al Getsemani.

«Chi sei Tu?».

«Gesù di Nazaret, il Rabbi, il Cristo. E tu mi conosci. Non ho agito nelle tenebre».

«Nelle tenebre, no. Ma hai traviato le folle con dottrine tenebrose. E il Tempio ha il diritto e il dovere di tutelare l'anima dei figli di Abramo».

«L'anima! Sacerdote di Israele, puoi dire che per l'anima del più piccolo o del più grande di questo popolo tu hai sofferto?».

«E Tu allora? Che hai fatto che possa chiamarsi sofferenza?».

«Che ho fatto? Perchè me lo chiedi? Tutto Israele parla. Dalla città santa al più misero borgo anche le pietre parlano per dire quanto ho fatto.
Ho dato la vista ai ciechi: la vista degli occhi e del cuore.
Ho aperto l'udito ai sordi: alle voci della Terra e alle voci del Cielo.
Ho fatto camminare gli storpi e i paralitici, perchè iniziassero la marcia verso Dio dalla carne e poi procedessero con lo spirito.
Ho mondato i lebbrosi, dalle lebbre che la Legge mosaica segnala e da quelle che rendono infetti presso Dio: i peccati.
Ho risuscitato i morti, nè dico che grande è il richiamare alla vita una carne, ma grande è redimere un peccatore, e l'ho fatto.
Ho soccorso i poveri insegnando agli avidi e ricchi ebrei il precetto santo dell'amore del prossimo e, rimanendo povero nonostante il rio d'oro che mi passò fra le mani, ho asciugato più lacrime Io solo che non tutti voi, possessori di ricchezze.
Ho dato infine una ricchezza che non ha nome: la conoscenza della Legge, la conoscenza di Dio, la certezza che siamo tutti uguali e che agli occhi santi del Padre uguale è il pianto o il delitto, sia che siano fatti o versati dal Tetrarca e dal Pontefice, o dal mendicante e dal lebbroso che muore sulla carraia.

Questo ho fatto.

Nulla più
».

«Sai che da Te stesso ti accusi? Tu dici: le lebbre che rendono infetti a Dio e non sono segnalate da Mosè.
Tu insulti Mosè e insinui che vi sono lacune nella sua Legge...».

«Non sua: di Dio.
Così è. Più della lebbra, sventura della carne e che ha un termine, Io dico grave, e tale è, la colpa che è sventura ed eterna dello spirito
».

«Tu osi dire che puoi rimettere i peccati. Come lo fai?».

«Se con un poco di acqua lustrale e il sacrificio di un ariete è lecito e credibile annullare una colpa, espiarla ed esserne mondati, come non lo potrà il mio pianto, il mio Sangue e il mio volere?».

«Ma Tu non sei morto. Dove è allora il Sangue?».

«Non sono ancora morto. Ma lo sarò perchè è scritto. In Cielo da quando Sionne non era, da quando non era Mosè, da quando non era Giacobbe, da quando non era Abramo, da quando il re del Male morse al cuore l'uomo e lo avvelenò in lui e nei suoi figli.
È scritto in Terra nel Libro in cui sono le voci dei profeti.
È; scritto nei cuori.
Nel tuo, in quello di Caifa e dei sinedristi che non mi perdonano, no, questi cuori non mi perdonano di essere buono. Io ho assolto, anticipando sul Sangue. Ora compio l'assoluzione col lavacro in esso
».

«Tu ci dici avidi e ignoranti del precetto d'amore...».

«E non è forse vero? Perchè mi uccidete? Perchè avete paura che Io vi detronizzi. Oh! non temete. Il mio Regno non è di questo mondo. Vi lascio padroni di ogni potere. L'Eterno sa quando dire il "Basta" che vi farà cadere fulminati...»

«Come Doras, eh?». (Vedi Vol 2 Capp 110 e 126)

«Egli morì d'ira. Non per fulmine celeste. Dio lo attendeva dall'altra parte per fulminarlo».

«E lo ripeti a me? Suo parente? Osi?».

«Io sono la Verità. E la Verità non è mai vile».

«Superbo e folle!».

«No: sincero. Mi accusi di farvi offesa. Ma non odiate forse voi tutti? L'un coll'altro vi odiate.
Ora l'odio per Me vi unisce. Ma domani, quando mi avrete ucciso, tornerà l'odio fra voi, e più fiero, e vivrete con questa iena alle spalle e questo serpente nel cuore.

Io ho insegnato l'amore.

Per pietà del mondo. Ho insegnato ad essere non avidi, ad avere misericordia. Di che mi accusi?
».

«Di avere messo una dottrina nuova».

«O sacerdote! Israele pullula di nuove dottrine: gli esseni hanno la loro, i sadochiti la loro, i farisei la loro; ognuno ha la sua segreta, che per uno ha nome piacere, per l'altro oro, per l'altro potere; e ognuno ha il suo idolo.
Non Io.
Io ho ripreso la calpestata Legge del Padre mio, del Dio eterno, e sono tornato a dire semplicemente le dieci proposizioni del Decalogo, asciugandomi i polmoni per farle entrare nei cuori che non le conoscevano più
».

«Orrore! Bestemmia! A me, sacerdote, dire questo? Non ha un Tempio, Israele? Siamo come i percossi di Babilonia? Rispondi». (Secondo quanto si narra in: 2 Re 24-25; 2 Cronache 36).

«Questo siete. E più ancora. Vi è un Tempio. Sì. Un edificio. Dio non c'è. È fuggito davanti all'abominio che è nella sua casa.
Ma a che mi interroghi tanto, se tanto è decisa la mia morte?
».

«Non siamo assassini. Uccidiamo se ne abbiamo il diritto per colpa provata. Ma io ti voglio salvare. Dimmi, e ti salverò.
Dove sono i tuoi discepoli? Se Tu me li consegni, io ti lascio libero. Il nome di tutti, e più gli occulti che i palesi.

Di': Nicodemo è tuo?
E tuo Giuseppe?
E Gamaliele?
E Eleazaro?
E... Ma di questo lo so... Non occorre.
Parla. Parla. Lo sai: ti posso uccidere e salvare. Sono potente».

«Sei fango. Lascio al fango il mestiere della spia. Io sono Luce».

Uno sgherro gli sferra un pugno.

«Io sono Luce.

Luce e Verità.

Ho parlato apertamente al mondo, ho insegnato nelle sinagoghe e nel Tempio, dove si radunano i giudei, e nulla ho detto in segreto.

Lo ripeto.
Perchè interroghi Me? Interroga quelli che hanno sentito ciò che Io ho detto. Essi lo sanno
».

Un altro sgherro gli lascia andare un ceffone urlando: «Così rispondi al Sommo Sacerdote?».

«Ad Anna Io parlo. Il Pontefice è Caifa. E parlo col rispetto dovuto per il vecchio. Ma se ti pare che abbia parlato male, dimostramelo. Se no, perchè mi percuoti?».

«Lascialo fare. Io vado da Caifa. Voi tenetelo qui fino a mio comando. E fate che non parli con nessuno».

Anna esce. Non parla, no, Gesù. Neppure con Giovanni, che osa stare sulla porta sfidando tutta la plebe sgherrana. Ma Gesù, senza parole, gli deve dare un comando, perchè Giovanni, dopo uno sguardo accorato, esce di lì e lo perdo di vista.

Gesù resta fra gli aguzzini. Colpi di corda, sputi, lazzi, calci, stiracchiate ai capelli, sono quanto gli resta. Finchè un servo viene a dire di portare il Prigioniero in casa di Caifa.

E Gesù, sempre legato e malmenato, esce di nuovo sotto il portico, lo percorre fino ad un androne e poi traversa un cortile in cui molta folla si scalda ad un fuoco, perchè la notte si è fatta rigida e ventosa in queste prime ore del venerdì.

Vi è anche Pietro con Giovanni, mescolati fra la folla ostile. E devono avere un bel coraggio a stare lì...

Gesù li guarda e ha un'ombra di sorriso sulla bocca già enfiata dai colpi ricevuti. Un lungo cammino fra portici e atri e cortili e corridoi. Ma che case avevano questa gente del Tempio? Ma nel recinto ponteficale la folla non entra. Viene respinta nell'atrio di Anna.

Gesù va solo, fra sgherri e sacerdoti. Entra in una vasta sala, che pare perdere la sua forma rettangolare per i molti scanni messi a ferro di cavallo su tre pareti, lasciando al centro uno spazio vuoto oltre il quale sono due o tre seggi alzati su predelle.

Mentre Gesù sta per entrare, rabbi Gamaliele lo raggiunge e le guardie danno uno strattone al Prigioniero perchè ceda l'entrata al rabbi di Israele. Ma questo, rigido come una statua, ieratico, rallenta e, muovendo appena le labbra senza guardare nessuno, chiede: «Chi sei? Dimmelo».

E Gesù dolcemente: «Leggi i profeti e ne avrai risposta. Il segno primo è in essi. L'altro verrà».

Gamaliele raccoglie il suo manto ed entra. E dietro a lui entra Gesù. Mentre Gamaliele va su uno scanno, Gesù viene trascinato al centro dell'aula, di fronte al Pontefice: una faccia da delinquente vera e propria.

E si attende finchè entrano tutti i membri del Sinedrio. Poi ha inizio la seduta.

Ma Caifa vede due o tre seggi vuoti e chiede: «Dove è Eleazaro? E dove Giovanni?».

Si alza un giovane scriba, credo, si inchina e dice: «Hanno ricusato di venire. Qui è lo scritto».

«Si conservi e si scriva. Ne risponderanno. Che hanno i santi membri di questo Consiglio da dire sopra costui?».

«Io parlo. Nella mia casa Egli violò il sabato. Me ne è testimonio Dio se io mento. Ismael ben Fabi non mente mai».

«&Egrav; vero, accusato?».

Gesù tace.

«Io lo vidi convivere con meretrici note. Fingendosi profeta, aveva fatto del suo covo un lupanare e con donne pagane per colmo. Con me erano Sadoc, Callascebona e Nahum fiduciario di Anna. Dico il vero, Sadoc e Callascebona? Smentitemi, se lo merito».

«Vero è. Vero è».

«Che dici?».

Gesùtace.

«Non mancava occasione per deriderci e farci deridere. La plebe più non ci ama per Lui».

«Li odi? Hai profanato i membri santi».

Gesù tace.

«Quest'uomo è indemoniato. Reduce dall'Egitto, esercita la magia nera».

«Come lo provi?».

«Sulla mia fede e sulle tavole della Legge!».

«Grave accusa. Discolpati».

Gesù tace.

«Illegale è il tuo ministero, lo sai. E passibile di morte. Parla».

«Illegale è questa nostra seduta. Alzati, Simeone, e andiamo», dice Gamaliele.

«Ma rabbi, ammattisci?».

«Rispetto le formule. Lecito non è procedere come procediamo. E ne farò pubblica accusa».

E rabbi Gamaliele esce, rigido come una statua, seguito da un uomo sui trentacinque anni che gli somiglia.

Vi è un poco di tumulto, di cui approfittano Nicodemo e Giuseppe per parlare in favore del Martire.

«Gamaliele ha ragione. Illecita è l'ora e il luogo, e non consistenti le accuse. Può uno accusarlo di noto vilipendio alla Legge? Io gli sono amico e giuro che sempre lo trovai rispettoso alla Legge», dice Nicodemo.

«Ed io pure. E per non sottoscrivere ad un delitto mi copro il capo, non per Lui, ma per noi, ed esco».

E Giuseppe fa per scendere dal suo posto e uscire.

Ma Caifa sbraita: «Ah! così dite? Vengano i testimoni giurati, allora. E udite. Poi ve ne andrete».

Entrano due tipi da galera. Sguardi sfuggenti, ghigni crudeli, subdole mosse. «Parlate».

«Non è lecito udirli insieme», urla Giuseppe.

«Io sono il Sommo Sacerdote. Io ordino. E silenzio!».

Giuseppe dà un pugno su un tavolo e dice: «Si aprano su te le fiamme del Cielo! Da questo momento sappi che l'Anziano Giuseppe è nemico del Sinedrio e amico del Cristo. E con questo passo vado a dire al Pretore che qui si uccide senza ossequio a Roma», ed esce violentemente dando uno spintone ad un magro e giovane scriba che lo vorrebbe trattenere.

Nicodemo, più pacato, esce senza dire parola. E nell'uscire passa davanti a Gesù e lo guarda...

Nuovo tumulto. Si teme Roma. E la vittima espiatoria è sempre e ancora Gesù.

«Per Te, vedi, tutto questo! Tu corruttore dei migliori giudei. Prostituiti li hai».

Gesù tace.

«Parlino i testimoni», urla Caifa.

«Sì, costui usava il... il... Lo sapevamo... Come si chiama quella cosa?».

«Il tetragramma forse?».

«Ecco! L'hai detto! Evocava i morti. Insegnava ribellione al sabato e profanazione all'altare. Lo giuriamo. Diceva che Egli voleva distruggere il Tempio per riedificarlo in tre giorni con l'aiuto dei demoni».

«No. Diceva: non sarà fabbricato dall'uomo».

Caifa scende dal suo seggio e viene presso Gesù.

Piccolo, obeso, brutto, pare un enorme rospo vicino ad un fiore. Perchè Gesù, nonostante sia ferito, contuso, sporco e spettinato, è ancora tanto bello e, maestoso.

«Non rispondi? Che accuse ti fanno! Orrende! Parla, per levare da Te la loro onta».

Ma Gesù tace.

Lo guarda e tace.

«Rispondi a me, allora. Sono il tuo Pontefice. In nome del Dio vivo io ti scongiuro. Dimmi: sei Tu il Cristo, il Figlio di Dio?».

«Tu lo hai detto.
Io lo sono.
E vedrete il Figliuolo dell'uomo, seduto alla destra della Potenza del Padre, venire sulle nubi del cielo. Del resto, a che mi interroghi? Ho parlato in pubblico per tre anni. Nulla ho detto di occulto. Interroga quelli che mi hanno udito. Essi ti diranno ciò che ho detto e ciò che ho fatto
».

Uno dei soldati che lo tengono lo colpisce sulla bocca, facendola sanguinare di nuovo, e urla: «Così rispondi, o satana, al Sommo Pontefice?».

E Gesù, mite, risponde a questo come a quello di prima: «Se ho parlato bene, perchè mi percuoti? Se male, perchè non mi dici dove erro?
Ripeto: Io sono il Cristo, Figlio di Dio. Non posso mentire.
Il sommo Sacerdote, l'eterno Sacerdote Io sono.
E Io solo porto il vero Razionale su cui è scritto: Dottrina e Verità. E a queste Io sono fedele. Sino alla morte, ignominiosa agli occhi del mondo, santa agli occhi di Dio, e sino alla beata Risurrezione.
Io sono l'Unto. Pontefice e Re Io sono.
E sto per prendere il mio scettro e con esso, come con ventilabro, mondare l'aia.

Questo Tempio sarà distrutto e risorgerà, nuovo, santo. Perchè questo è corrotto e Dio lo ha lasciato al suo destino
».

«Bestemmiatore! », urlano tutti in coro. «In tre giorni lo farai, folle e posseduto?».

«Non questo. Ma il mio risorgerà, il Tempio del Dio vero, vivo, santo, tre volte santo».

«Anatema!», urlano di nuovo in coro. Caifa alza la sua voce chioccia, e si strappa le vesti di lino con atti di studiato orrore, e dice:
«Che altro abbiamo da udire dai testimoni? La bestemmia è detta. Che dunque facciamo?».

E tutti in coro: «Sia reo di morte». E con atti di sdegno e di scandalo escono dalla sala, lasciando Gesù alla mercede degli sgherri e della plebaglia dei falsi testimoni, che con schiaffi, con pugni, con sputi, legandogli gli occhi con uno straccio e poi tirandogli violentemente i capelli, lo sbalestrano qua e là a mani legate, di modo che urta contro tavoli, scranni e muri, e intanto gli chiedono: «Chi ti ha percosso? Indovina».

E più volte, facendogli sgambetto fra le gambe, lo fanno stramazzare bocconi, e ridono sgangheratamente vedendo come, a mani legate, Egli stenti a rialzarsi. Passano così le ore, e i carnefici, stanchi, pensano di prendere un poco di riposo.

Portano Gesù in uno sgabuzzino, facendogli attraversare molte corti fra i lazzi della plebe, già folta nel recinto delle case ponteficali.

Gesù giunge nella corte dove è Pietro presso al suo fuoco. E lo guarda. Ma Pietro ne sfugge lo sguardo. Giovanni non c'è più. Io non lo vedo. Penso sia andato via con Nicodemo... L'alba viene avanti stentata e verdolina. Un ordine è dato: riportare il Prigioniero nella sala del Consiglio per un più legale processo.

È il momento che Pietro nega per la terza volta di conoscere il Cristo quando Questi passa, già segnato dai patimenti.

E nella luce verdognola dell'alba le lividure sembrano ancor più atroci sul volto terreo, gli occhi più fondi e vitrei, un Gesù offuscato dal dolore del mondo...

Un gallo getta nell'aria appena mossa dell'alba il suo grido irridente, sarcastico, monello. E in questo momento di gran silenzio, che si è fatto all'apparizione del Cristo, non si sente che l'aspra voce di Pietro. dire:
«Lo giuro, donna. Non lo conosco»: affermazione recisa, sicura, alla quale, come una risata beffarda, subito risponde il birichino canto del galletto.

Pietro ha un sussulto. Gira su se stesso per fuggire e si trova di fronte a Gesù che lo guarda con infinita pietà, con un dolore così accorato e intenso che mi spezza il cuore, come se dopo quello dovessi vedere dissolversi, e per sempre, il mio Gesù.

Pietro ha un singhiozzo ed esce barcollando come fosse ebbro. Fugge dietro a due servi che escono nella via e si perde giù per la strada ancora semibuia.

Gesù è riportato nell'aula.

E gli ripetono in coro la domanda capziosa: «In nome del Dio vero, di' a noi: sei il Cristo?».

E, avutane la risposta di prima, lo condannano a morte e dànno ordine di condurlo a Pilato.
Gesù, scortato da tutti i suoi nemici meno Anna e Caifa, esce ripassando da quei cortili del Tempio in cui tante volte aveva parlato e beneficato e guarito, valica la cinta merlata, entra nelle vie cittadine e, più strascinato che condotto, scende verso la città che si fa rosa in un primo annuncio d'aurora.

Credo che, con l'unico scopo di tormentarlo più a lungo, gli facciano fare un lungo giro vizioso per Gerusalemme, passando ad arte dai mercati, davanti agli stallaggi e agli alberghi colmi di gente per la Pasqua. E tanto le verdure di scarto dei mercati, come gli escrementi degli animali degli stallaggi, divengono proiettili per l'Innocente, il cui volto appare con sempre maggiori lividi e piccole lacerazioni sanguinanti, e velato dalle sudicerie varie che su di esso si sono sparse.

I capelli, già appesantiti e lievemente stesi dal sudore sanguigno e resi più opachi, ora pendono spettinati, sparsi di paglie e immondezze, cadenti sugli occhi perchè glieli scompigliano per velargli la faccia.

La gente dei mercati, compratori e venditori, lasciano tutto in asso per seguire, e non con amore, l'Infelice.

Gli stallieri e i servi degli alberghi escono in massa, sordi ai richiami e agli ordini delle padrone, le quali, a dire il vero, come quasi tutte le altre donne, sono, se non contrarie tutte alle offese, almeno indifferenti al tumulto, e si ritirano brontolando per essere lasciate sole con tanta gente che hanno da servire.

Il codazzo urlante ingrossa così di minuto in minuto e sembra che, per una improvvisa epidemia, animi e fisionomie cambino natura, divenendo, i primi, animi di delinquenti e, le seconde, maschere di ferocia in volti verdi di odio o rossi di ira; e le mani artigliano, e le bocche prendono forma e ululo di lupo, e gli occhi divengono biechi, rossi, strabici come quelli di folli.

Solo Gesù è sempre quello, sebbene ormai velato dalle immondezze sparse sul suo corpo e alterato da lividure e gonfiori.

Ad un archivolto che stringe la via come un anello, mentre tutto si ingorga e rallenta, un grido fende l'aria: «Gesù!».

E` Elia, il pastore, che cerca di farsi largo roteando un pesante randello.
Vecchio, potente, minaccioso e forte, riesce a giungere quasi dal Maestro. Ma la folla, sgominata dall'improvviso assalto, restringe le sue file e separa, respinge, soverchia il solo contro tutta una plebe.

«Maestro!», urla mentre il gorgo della folla lo assorbe e respinge.

«Vai!... La Madre... Ti benedico...».

E il corteo supera il punto ristretto. E, come acqua che ritrova il largo dopo una chiusa, si rovescia tumultuando in un ampio viale sopraelevato sopra una depressione fra due colli, ai cui termini sono splendidi palazzi di gran signori. Torno a vedere il Tempio sull'alto del suo colle e comprendo che il cerchio ozioso fatto fare al Condannato, per darlo in berlina a tutta la città e permettere a tutti di insultarlo, aumentando passo per passo gli insultatori, sta per conchiudersi di nuovo tornando sui luoghi di prima.

Da un palazzo esce al galoppo un cavaliere. La gualdrappa porpurea sopra il candore del cavallo arabo e l'imponenza del suo aspetto, la spada brandita nuda, e menata di piatto e di taglio su schiene e su teste che sanguinano, lo fanno parere un arcangelo.

Quando in un caracollo, in un'impennata del cavallo che corvetta, facendo degli zoccoli un'arma di difesa per se stesso e per il padrone e il più valido degli strumenti di apertura per farsi largo fra la folla, gli cade dal capo il velo di porpora e oro che lo copriva, tenuto stretto da una striscia in oro, riconosco Manaem.

«Indietro!», urla. «Come vi permettete turbare i riposi del Tetrarca?».

Ma questo non è che una finta per giustificare il suo intervento e il suo tentativo di giungere a Gesù.

«Quest'uomo... lasciatemelo vedere... Scostatevi, o chiamo le guardie...».

La gente, e per la grandine delle piattonate, e per i calci del cavallo, e per la minaccia del cavaliere, si apre, e Manaen raggiunge il gruppo di Gesù e delle guardie del Tempio che lo tengono.

«Via! Il Tetrarca è da più di voi, luridi servi. Indietro. Gli voglio parlare», e lo ottiene caricando con la sua spada il più accanito dei carcerieri.

«Maestro!...».

«Grazie. Ma vai! E Dio ti conforti!».

E, come può con le mani legate, Gesù fa un cenno di benedizione.

La folla fischia da lontano e, non appena vede che Manaen si ritira, si vendica d'essere stata respinta con una grandine di pietre e di immondezze sul Condannato.

Per il viale, che è in salita ed è già tutto tiepido di sole, ci si avvia verso la torre Antonia, la cui mole già appare lontano.

Un grido acuto di donna: «Oh! il mio Salvatore! La mia vita per la sua, o Eterno!», fende l'aria.

Gesù gira il capo e vede, dall'alto della loggia fiorita che incorona una casa molto bella, Giovanna di Cusa fra serve e servi, coi piccoli Maria e Mattia intorno, tendere le braccia al cielo.

Ma il Cielo non sente preghiera oggi!

Gesù solleva le mani e traccia un gesto di benedicente addio.

«A morte! A morte il bestemmiatore, il corruttore, il satanasso! A morte gli amici di esso», e fischi e sassi vengono frombolati verso l'alta terrazza.
Non so se qualcuno sia ferito. Sento un grido acutissimo e poi vedo scomporsi il gruppo e scomparire. E avanti, avanti, salendo... Gerusalemme mostra le sue case al sole, vuote, svuotate dall'odio che spinge tutta una città, coi suoi effettivi abitanti e coi posticci qui convenuti per la Pasqua, contro un inerme.

Dei soldati romani, tutto un manipolo, esce di corsa dall'Antonia con le aste puntate contro la plebaglia, che urlando si sperde.

Restano in mezzo alla via Gesù con le guardie e i capi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani del popolo.

«Quest'uomo? Questa sedizione? Ne risponderete a Roma», dice altezzoso un centurione.

«È reo di morte secondo la nostra legge».

«E da quando vi è stato reso l'jus gladii et san guinis?» (significa “diritto di spada e di sangue” ed era il diritto di condannare a morte, riservato al procuratore di Roma, come ricorda anche Gesù al Vol 9 Cap 561 e al capitolo 604), chiede sempre il più anziano dei centurioni, un volto severo, veramente romano, con una guancia divisa da una cicatrice profonda.
E parla con lo sprezzo e il ribrezzo con cui avrebbe parlato a galeotti pidocchiosi.

«Lo sappiamo che non lo abbiamo questo diritto. Siamo i fedeli dipendenti di Roma...».

«Ah! Ah! Ah! Sentili, Longino! Fedeli! Dipendenti! Carogne! Le frecce dei miei arcieri vi darei per premio».

«Troppo nobile tal morte! Le schiene dei muli vogliono solo il flagrum!... », risponde con ironica flemma Longino.

I capi dei sacerdoti, scribi e anziani spumano veleno. Ma vogliono ottenere lo scopo loro e tacciono, inghiottono l'offesa senza mostrare di capirla e, inchinandosi ai due capi, chiedono che Gesù sia portato da Ponzio Pilato perchè «giudichi e condanni con la ben nota e onesta giustizia di Roma».

«Ah! Ah! Odili! Siamo divenuti più saggi di Minerva... Qui! Date! E marciate avanti! Non si sa mai. Voi siete sciacalli e fetenti. Avervi alle spalle è un pericolo. Avanti!».

«Non possiamo».

«E perchè? Quando uno accusa deve essere davanti al giudice coll'accusato. Questa è la regola di Roma».

«La casa di un pagano è immonda agli occhi nostri, e noi già siamo purificati per la Pasqua».

«Oh! miserini! Si contaminano a entrare! ... E l’uccisione dell'unico ebreo che uomo sia, e non sciacallo e rettile vostro pari, non vi sporca? Va bene. State dove siete, allora. Non un passo avanti o sarete infilzati sulle aste. Una decuria intorno all'Accusato. Le altre contro questa marmaglia sitente di becco mal lavato».

Gesù entra nel Pretorio in mezzo ai dieci astati, che fanno un quadrato di alabarde intorno alla sua persona. I due centurioni vanno avanti. Mentre Gesù sosta in un largo atrio, oltre il quale è un cortile che si intravvede dietro una tenda che il vento sommuove, essi scompaiono dietro una porta.

Rientrano col Governatore, vestito di una toga bianchissima sulla quale però è un manto scarlatto.
Forse così erano quando rappresentavano ufficialmente Roma. Entra indolentemente, con un sorrisetto scettico sul volto sbarbato, stropiccia fra le mani delle fronde di erba cedrina e le fiuta con voluttà.
Va ad una meridiana, si rivolge dopo averla guardata. Getta dei grani d'incenso nel braciere posto ai piedi di un nume. Si fa portare acqua cedrata e si gargarizza la gola. Si rimira la pettinatura tutta a onde in uno specchio di metallo tersissimo.
Pare che abbia dimenticato il Condannato che aspetta la sua approvazione per essere ucciso. Farebbe venire l'ira anche alle pietre. Gli ebrèi, posto che l'atrio è tutto aperto sul davanti e sopraelevato di tre alti scalini anche sul vestibolo, che si apre sulla via già sopraelevato di altri tre sulla via stessa, vedono tutto benissimo e fremono.
Ma non osano ribellarsi per paura delle aste e dei giavellotti.

Finalmente, dopo avere girato e rigirato per l'ampio luogo, Pilato va diritto incontro a Gesù, lo guarda e chiede ai due centurioni: «Questo?».

«Questo».

«Vengano i suoi accusatori», e va a sedersi sulla sedia posta sulla predella. Sul suo capo le insegne di Roma si incrociano con le loro aquile dorate e la loro sigla potente.

«Non possono venire. Si contaminano».

«Euè!!! Meglio. Eviteremo fiumi d'essenze per levare il caprino al luogo. Fateli avvicinare, almeno. Qui sotto. E badate non entrino, posto che non vogliono farlo. Può essere un pretesto, quest'uomo, per una sedizione».

Un soldato parte per portare l'ordine del Procuratore romano. Gli altri si schierano sul davanti dell'atrio a distanze regolari, belli come nove statue di eroi.

Vengono avanti i capi dei sacerdoti, scribi e anziani, e salutano con servili inchini e si fermano sulla piazzetta che è al davanti del Pretorio, oltre i tre gradini del vestibolo.

«Parlate e siate brevi. Già in colpa siete per avere turbato la notte e ottenuto l'apertura delle porte con violenza. Ma verificherò. E mandanti e mandatari risponderanno della disubbidienza al decreto».

Pilato è andato verso di loro, rimanendo nel vestibolo.

«Noi veniamo a sottoporre a Roma, di cui tu rappresenti il divino Imperatore, il nostro giudizio su costui».

«Quale accusa portate contro di lui? Mi sembra un innocuo…»

«Se non fosse malfattore non te lo avremmo portato». E nella smania di accusare si fanno avanti. «Respingete questa plebe! Sei passi oltre i tre scalini della piazza. Le due centurie all'armi!».

I soldati ubbidiscono veloci, allineandosi cento sul gradino esterno più alto, con le spalle volte al vestibolo, e cento sulla piazzetta su cui si apre il portone d'ingresso alla dimora di Pilato.
Ho detto portone: dovrei dire androne o arco trionfale, perchè è una vastissima apertura limitata da un cancello, ora spalancato, che immette nell'atrio per il lungo corridoio del vestibolo largo almeno sei metri, di modo che ben si vede ciò che avviene nell'atrio sopraelevato.
Oltre l'ampio vestibolo si vedono le facce bestiali dei giudei guardare minacciose e sataniche verso l'interno, guardare dall'al di là della barriera armata che, gomito a gomito, come per una parata, presenta duecento punte ai conigli assassini.

«Quale accusa portate verso costui, ripeto».

«Ha commesso delitto contro la Legge dei padri».

«E venite a seccare me per questo? Pigliatelo voi e giudicatelo secondo le vostre leggi».

«Noi non possiamo dar morte ad alcuno. Dotti non siamo. Il Diritto ebraico è un pargolo deficiente rispetto al perfetto Diritto di Roma. Come ignoranti e come soggetti di Roma, maestra, abbiamo bisogno...».

«Da quando siete miele e burro?... Ma avete detto una verità, o maestri del mendacio! Di Roma avete bisogno! Sì. Per sbarazzarvi di costui che vi dà noia. Ho compreso».

E Pilato ride, guardando il cielo sereno che si inquadra come una rettangolare lastra di cupa turchese fra le marmoree e candide pareti dell'atrio.

«Dite: in che ha commesso delitto contro le vostre leggi?».

«Noi abbiamo trovato che costui metteva il disordine nella nostra nazione e che impediva di pagare il tributo a Cesare, dicendosi il Cristo, re dei giudei».

Pilato ritorna presso Gesù, che è al centro dell'atrio, lasciato là dai soldati, legato ma senza scorta tanto appare netta la sua mansuetudine. E gli chiede:
«Sei Tu il re dei giudei?».

«Per te lo chiedi o per insinuazione d'altri?».

«E che vuoi che me ne importi del tuo regno? Son forse io giudeo? La tua nazione e i capi di essa miti hanno consegnato perchè io giudichi. Che hai fatto? Ti so leale. Parla. È vero che aspiri al regno?».

«Il mio Regno non viene da questo mondo. Se fosse un regno del mondo, i miei ministri e i miei soldati avrebbero combattuto perchè i giudei non mi pigliassero. Ma il mio Regno non è della Terra.
E tu lo sai che al potere Io non tendo
».

«Ciò è vero. Lo so. Mi fu detto. Ma però Tu non neghi d'essere re?».

«Tu lo dici. Io sono Re. Per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla Verità. Chi è amico della Verità ascolta la mia voce».

«E che cosa è la Verità? Sei filosofo? Non serve di fronte alla morte. Socrate morì lo stesso».

«Ma gli servì di fronte alla vita, a ben vivere. E anche a ben morire. E ad andare nella vita seconda senza nome di traditore delle civiche virtù».

«Per Giove!». Pilato lo guarda ammirato qualche momento. Poi lo riprende il sarcasmo scettico. Fa un atto di noia, gli volge le spalle, torna verso i giudei.

«Io non trovo in Lui alcuna colpa».

La folla tumultua, presa dal panico di perdere la preda e lo spettacolo del supplizio.

E urla:
«È un ribelle!», «Un bestemmiatore», «Incoraggia il libertinaggio», «Eccita alla ribellione», «Nega rispetto a Cesare», «Si finge profeta senza esserlo», «Compie magie», «È un satana», «Solleva il popolo con le sue dottrine insegnando in tutta la Giudea, alla quale è venuto dalla Galilea insegnando», «A morte!», «A morte!».
«Galileo è? Galileo sei?».

Pilato torna da Gesù: «Lo senti come ti accusano? Discolpati».

Ma Gesù tace.

Pilato pensa... E decide. «Una centuria, e da Erode costui. Lo giudichi. È suo suddito. Riconosco il diritto del Tetrarca e al suo verdetto sottoscrivo in anticipo. Gli sia detto. Andate».

E Gesù, inquadrato come un manigoldo da cento soldati, riattraversa la città e torna ad incontrare Giuda Iscariota, che già aveva incontrato una volta presso un mercato. Prima mi ero dimenticata di dirlo, presa dal disgusto della zuffa popolana. Lo stesso sguardo di pietà sul traditore...

Ora è più difficile colpirlo con calci e bastoni, ma le pietre e le immondezze non mancano e, se i sassi cadono sonando senza ferire sugli elmi e le corazze romane, ben lasciano un segno colpendo Gesù, che procede col solo vestito, avendo lasciato il mantello nel Getsemani.

Nell'entrare nel fastoso palazzo di Erode, Egli vede... che non sa guardarlo e che fugge per non vederlo in quello stato, coprendosi il capo col mantello.

Eccolo nella sala, davanti a Erode.
E, dietro Lui, ecco gli scribi e i farisei, che qui si sentono a loro agio, entrare da accusatori mendaci.
Solo il centurione con quattro militi lo scortano davanti al Tetrarca.

Questo scende dal suo seggio e gira intorno a Gesù, mentre ascolta le accuse dei nemici suoi.

E sorride e beffeggia. Poi finge una pietà e un rispetto che non turbano il Martire come non lo hanno turbato i motteggi.

«Sei grande. Lo so. Ti ho seguito e ho avuto giubilo che Cusa ti fosse amico e Manaem discepolo. Io... le cure di Stato... Ma che desiderio di dirti: grande... di chiederti perdono... L'occhio di Giovanni... la sua voce mi accusano e sempre davanti a me sono. Tu sei il santo che annulla i peccati del mondo. Assolvimi, o Cristo».

Gesù tace.

«Ho sentito che ti accusano di esserti drizzato contro Roma. Ma non sei Tu la verga promessa per percuotere Assur?». (Isaia 30, 30-32)

Gesù tace.

«Mi hanno detto che Tu profetizzi la fine del Tempio e di Gerusalemme. Ma non è eterno il Tempio come spirito, essendo voluto da Chi eterno è?».

Gesù tace.

«Sei folle? Hai perduto il potere? Satana ti inceppa la parola? Ti ha abbandonato?».

Erode ride, ora. Ma poi dà un ordine. E dei servi accorrono portando un levriere dalla gamba spezzata, che guaisce lamentosamente, e uno stalliere ebete dalla testa acquosa, sbavante, un aborto d'uomo, trastullo dei servi.

Gli scribi e i sacerdoti fuggono urlando al sacrilegio, quando vedono la barella del cane.

Erode, falso e beffardo, spiega: «È il preferito di Erodiade. Dono di Roma. Si è spezzato ieri una zampa ed ella piange. Comanda che guarisca. Fa' miracolo».

Gesù lo guarda severo.
E tace.

«Ti ho offeso? Allora questo. È un uomo, benchè di poco sia più che una belva. Dàgli l'intelligenza, Tu, Intelligenza del Padre... Non dici così?».

E ride, offensivo.

Altro più severo sguardo di Gesù e silenzio.

«Quest'uomo è troppo astinente e ora è intontito dagli spregi. Vino e donne, qui. E sia slegato».

Lo slegano. E mentre servi, in gran numero, portano anfore e coppe, entrano danzatrici... coperte di niente: una frangia multicolore di lino cinge per unica veste la loro sottile persona, dalla cintura alle anche. Null'altro.

Bronzee perchè africane, snelle come gazzelle giovinette, iniziano una danza silenziosa e lasciva.

Gesù respinge le coppe e chiude gli occhi senza parlare.

La corte di Erode ride davanti al suo sdegno. «Prendi quella che vuoi. Vivi! Impara a vivere!...», insinua Erode.

Gesù pare una statua.
A braccia conserte, occhi serrati, non si scuote neppure quando le impudiche danzatrici lo sfiorano coi loro corpi nudi.

«Basta. Ti ho trattato da dio e non hai agito da Dio. Ti ho trattato da uomo e non hai agito da uomo. Sei folle. Una veste bianca. Rivestitelo di essa perchè Ponzio Pilato sappia che il Tetrarca ha giudicato folle il suo suddito. Centurione, dirai al Proconsole che Erode gli umilia il suo rispetto e venera Roma. Andate».

E Gesù, legato di nuovo, esce, con una tunica di lino, che gli giunge al ginocchio, sopra la rossa veste di lana.

E tornano da Pilato.

Ora, quando la centuria fende a fatica la folla, che non si è stancata di attendere davanti al palazzo proconsolare - ed è strano vedere tanta folla in quel luogo e nelle vicinanze, mentre il resto della città appare vuoto di popolo - Gesù vede in gruppo i pastori, e sono al completo, ossia Isacco, Gionata, Levi, Giuseppe, Elia, Mattia, Giovanni, Simeone, Beniamino e Daniele, insieme ad un gruppetto di galilei di cui riconosco Alfeo e Giuseppe di Alfeo, insieme a due altri che non conosco ma che direi giudei alla acconciatura.

E più oltre, scivolato fin dentro al vestibolo, seminascosto dietro una colonna, insieme ad un romano che direi un servo, vede Giovanni.

Sorride a questo e a quelli...

I suoi amici... Ma che sono questi pochi, e Giovanna e Manaem e Cusa, in mezzo ad un oceano di odio che bolle?...

Il centurione saluta Ponzio Pilato e riferisce. «Qui ancora?! Auf! Maledetta questa razza! Fate avanzare la plebaglia e portate qui l'Accusato. Euè! che noia!».

Va verso la folla, sempre fermandosi a metà vestibolo. «Ebrei, udite. Mi avete condotto quest'uomo come sobillatore del popolo. Davanti a voi l'ho esaminato e non ho trovato in Lui nessuno dei delitti di cui lo accusate. Erode non più di me ha trovato. E a noi lo ha rimandato. Non merita la morte. Roma ha parlato. Però, per non dispiacervi levandovi il sollazzo, vi darò in cambio Barabba. (Potrebbe essere il ladro e assassino nominato da Gesù al Vol 9 Capp 567 e 576 dalla gente, perchè apprendiamo da Matteo 27, 16 che si trattava di “un prigioniero famoso”).
E Lui lo farò colpire con quaranta colpi di fustigazione. Basta così».

«No, no! Non Barabba! Non Barabba! A Gesù la morte! E morte orrenda! Libera Barabba e condanna il Nazzareno».

«Ma udite! Ho detto fustigazione. Non basta? Lo farò flagellare, allora! È atroce, sapete? Può morire per essa. Che ha fatto di male? Io non trovo nessuna colpa in Lui. E lo libererò».

«Crocifiggi! Crocifiggi! A morte! Protettore dei delinquenti sei! Pagano! Satana tu pure!»

La folla si fa sotto e la prima schiera di soldati ondeggia nell'urto, non potendo usare le aste. Ma la seconda fila, scendendo d'un gradino, rotea le aste e libera i compagni.

«Sia flagellato», ordina Pilato a un centurione.

«Quanto?».

«Quanto ti pare... Tanto è affare finito. E io sono annoiato. Va'».

Gesù viene tradotto da quattro soldati nel cortile oltre l'atrio. In esso, tutto selciato di marmi colorati, è al centro un'alta colonna simile a quella del porticato.
A un tre metri dal suolo essa ha un braccio di ferro sporgente per almeno un metro e terminante in anello.
A questa viene legato Gesù con le mani congiunte sull'alto del capo, dopo che fu fatto spogliare.

Egli resta unicamente con delle piccole brache di lino e i sandali.

Le mani legate ai polsi vengono alzate sino all'anello, di modo che Egli, per quanto sia alto, non poggia al suolo che la punta dei piedi...

E deve essere tortura anche questa posizione.

Ho letto non so dove che la colonna era bassa e Gesù stava curvo. Sarà. Io vedo così e così dico.

Dietro a Lui si, colloca uno dalla faccia di boia, dal netto profilo ebraico; davanti a Lui, un altro dalla faccia uguale.

Sono armati del flagello, fatto di sette strisce di cuoio legate ad un manico e terminanti in un martelletto di piombo.

Ritmicamente, come per un esercizio, si dànno a colpire.

Uno davanti, l'altro di dietro, di modo che il tronco di Gesù è in una ruota di sferze e di flagelli.

I quattro soldati a cui è consegnato, indifferenti, si sono messi a giocare a dadi con altri tre soldati sopraggiunti.

E le voci dei giuocatori si cadenzano sul suono dei flagelli, che fischiano come serpi e poi suonano come sassi gettati sulla pelle tesa di un tamburo, percuotendo il povero corpo così snello e di un bianco d'avorio vecchio, e che diviene prima zebrato di un rosa sempre più vivo, poi viola, poi si orna di rilievi d'indaco gonfi di sangue, e poi si crepa e rompe lasciando colare sangue da ogni parte.

E infieriscono specie sul torace e l'addome, ma non mancano i colpi dati alle gambe e alle braccia e fin sul capo, perchè non vi fosse brano di pelle senza dolore.

E non un lamento...

Se non fosse sostenuto dalla fune, cadrebbe.

Ma non cade e non geme.

Solo la testa gli pende, dopo colpi e colpi ricevuti, sul petto, come per svenimento.

«Ohè! Fermati! Deve essere ucciso da vivo», urla e motteggia un soldato.

I due boia si fermano e si asciugano il sudore. «Siamo sfiniti», dicono.

«Dateci la paga, che si possa bere per ristorarsi...

«La forca vi darei! Ma prendete...», e un decurione getta una larga moneta ad ognuno dei due boia.

«Avete lavorato a dovere. Pare un mosaico. Tito, dici che era proprio questo l'amore di Alessandro? (Milite romano incontrato nei capitoli 86 e 115 del Vol 2, e ricordato al Vol 3 Cap 204 e al Vol 7 Cap 461).
Allora gliene daremo notizia perchè faccia il lutto. Sleghiamolo un poco».

Lo slegano e Gesù si accascia al suolo come morto.

Lo lasciano là, urtandolo ogni tanto col piede calzato dalle calighe per vedere se geme.

Ma Egli tace.

«Che sia morto? Possibile? È giovane e artiere, mi hanno detto... e pare una dama delicata».

«Ora ci penso io», dice un soldato. E lo mette seduto con la schiena alla colonna. Dove Egli era, sono grumi di sangue...
Poi va ad una fontanella che chioccola sotto al portico, empie un mastello d'acqua e la rovescia sul capo e sul corpo di Gesù.

«Così! Ai fiori fa bene l'acqua».

Gesù sospira profondamente e fa per alzarsi, ma ancora sta ad occhi chiusi.

«Oh! bene. Su, bellino! Che ti aspetta la dama!...».

Ma Gesùinutilmente punta al suolo i pugni nel tentativo di drizzarsi.

«Su! Svelto! Sei debole? Ecco il ristoro», ghigna un altro soldato.
E con l'asta della sua alabarda mena una bastonata al viso e coglie Gesù fra lo zigomo destro e il naso, che si mette a sanguinare.

Gesùapre gli occhi, li gira.
Uno sguardo velato...
Fissa il soldato percuotitore, si asciuga il sangue con la mano, e poi, con molto sforzo, si pone in piedi.

«Vestiti. Non è decenza stare così. Impudico!».

Ridono tutti in cerchio intorno a Lui.

Egli ubbidisce senza parlare.

Ma mentre si china - e solo Lui sa quello che soffre nel piegarsi al suolo, così contuso come è, e con le piaghe che nel tendersi della pelle si aprono più ancora, e altre che se ne formano per vesciche che si rompono - un soldato dà un calcio alle vesti e le sparpaglia e, ogni volta che Gesù le raggiunge andando barcollante dove esse cadono, un soldato le spinge o le getta in altra direzione.

E Gesù, soffrendo acutamente, le insegue senza una parola, mentre i soldati lo deridono oscenamente.

Può finalmente rivestirsi.

E rimette anche la veste bianca, rimasta pulita in un angolo. Pare voglia nascondere la sua povera veste rossa, solo ieri tanto bella ed ora lurida di immondizie e macchiata del sangue sudato nel Getsemani.
Anzi, prima di mettersi la tunichella corta sulla pelle, con essa si asciuga il volto bagnato e lo deterge così da polvere e sputi.
Ed esso, il povero, santo volto, appare pulito, solo segnato da lividi e piccole ferite.
E si ravvia i capelli caduti scomposti e la barba per un innato bisogno di essere ordinato nella persona.

E poi si accoccola al sole. Perchè trema, il mio Gesù...

La febbre comincia a serpeggiare in Lui con i suoi brividi. E anche la debolezza del sangue perduto, del digiuno, del molto cammino, si fa sentire. Gli legano di nuovo le mani. E la corda torna a segare là dove è già un rosso braccialetto di pelle scorticata.

«E ora? Che ne facciamo? Io mi annoio!».

«Aspetta. I giudei vogliono un re. Ora glielo diamo. Quello lì...», dice un soldato.

E corre fuori, in un retrostante cortile certo, dal quale torna con un fascio di rami di biancospino selvatico, ancora flessibili perchè la primavera tiene relativamente morbidi i rami, ma ben duri nelle spine lunghe e acuminate.

Con la daga levano foglie e fioretti, piegano a cerchio i rami e li calcano sul povero capo.

Ma la barbara corona ricade sul collo.

«Non ci sta. Più stretta. Levala».

La levano e sgraffiano le guance, risicando di accecarlo, e strappano i capelli nel farlo.

La stringono.
Ora è troppo stretta e, per quanto la pigino conficcando gli aculei nel capo, essa minaccia di cadere. Via di nuovo strappando altri capelli.

La modificano di nuovo.
Ora va bene.

Davanti è un triplice cordone spinoso. Dietro, dove gli estremi dei tre rami si incrociano, è un vero nodo di spini che entrano nella nuca.

«Vedi come stai bene? Bronzo naturale e rubini schietti. Specchiati, o re, nella mia corazza», motteggia l'ideatore del supplizio.

«Non basta la corona a fare un re. Ci vuole porpora e scettro. Nella stalla è una canna e nella cloaca è una clamide rossa. Prendile, Cornelio».

E, avutele, mettono il sudicio straccio rosso sulle spalle di Gesù e, prima di mettergli fra le mani la canna, gliela dànno sul capo inchinandosi e salutando: «Ave, re dei Giudei», e si sbellicano dalle risa.

Gesù li lascia fare.

Si lascia mettere seduto sul «trono» - un mastello capovolto, certo usato per abbeverare i cavalli - si lascia colpire, schernire, senza mai parlare.

Li guarda solo... ed è uno sguardo di una dolcezza e di un dolore così atroce che non lo posso sostenere senza sentirne ferita al cuore.

I soldati smettono lo scherno solo alla voce aspra di un superiore che ordina la traduzione davanti a Pilato del reo.

Reo! Di che?

Gesù è riportato nell'atrio, ora coperto da un prezioso velario per il sole. Ha ancora la corona, la clamide e la canna.

«Vieni avanti. Che io ti mostri al popolo».

Gesù, già franto, si raddrizza dignitoso.

Oh! che è veramente re!

«Udite, ebrei. Qui è l'uomo. Io l'ho punito. Ma ora lasciatelo andare».

«No, no! Vogliamo vederlo! Fuori! Che si veda il bestemmiatore!».

«Conducetelo fuori. E guardate non sia preso».

E mentre Gesùesce nel vestibolo e si mostra nel quadrato dei soldati, Ponzio Pilato lo accenna colla mano dicendo: «Ecco l'Uomo. Il vostro re. Non basta ancora?».

Il sole di una giornata afosa, che ormai scende quasi diritto perchè si è a metà tra terza e sesta, accende e dà risalto agli sguardi e ai volti: sono uomini quelli? No: iene idrofobe.
Urlano, mostrano i pugni, chiedono morte...

Gesù sta eretto. E le assicuro che mai ebbe la nobiltà di ora.
Neppure quando faceva i più potenti miracoli.

Nobiltà di dolore.
Ma talmente divino che basterebbe a segnarlo del nome di Dio.

Ma per dire quel Nome bisogna essere almeno uomini.

E Gerusalemme non ha uomini, oggi.
Ma solo demoni.

Gesù gira lo sguardo sulla folla, cerca, trova, nel mare dei visi astiosi, i volti amici.
Quanti?

Meno di venti amici in migliaia di nemici...

E curva il capo colpito da questo abbandono.

Una lacrima cade... un'altra... un'altra...

La vista del suo pianto non genera pietà, ma ancor più fiero odio.

Viene riportato nell'atrio.

«Dunque? Lasciatelo andare. È giustizia».

«No. A morte. Crocifiggi».

«Vi do Barabba».

«No. Il Cristo!».

«E allora prendetelo voi. E da voi crocifiggetelo. Perchè io non trovo alcuna colpa in Lui per farlo».

«Si è detto Figlio di Dio. La nostra legge commina la morte al reo di tale bestemmia».

Pilato si fa pensoso. Rientra. Si siede sul suo tronetto. Pone una mano alla fronte e il gomito sul ginocchio e scruta Gesù.

«Avvicinati», dice.

Gesù va ai piedi della predella.

«È vero? Rispondi».

Gesù tace.

«Da dove vieni? Chi è Dio?».

«È il Tutto».

«E poi? Che vuol dire il Tutto? Che è il Tutto per chi muore? Sei folle... Dio non è. Io sono».

Gesù tace.

Ha lasciato cadere la grande parola e poi torna a fasciarsi di silenzio.

«Ponzio, la liberta di Claudia Procula chiede di entrare. Ha uno scritto per te».

«Domine! Anche le donne ora! Venga».

Entra una romana e si inginocchia porgendo una tavoletta cerata. Deve essere quella su cui Procula prega il marito di non condannare Gesù.

La donna si ritira a ritroso mentre Pilato legge. «Mi si consiglia evitare il tuo omicidio. È vero che sei più di un aruspice? Mi fai paura».

Gesù tace.

«Ma non sai che ho potere di liberarti o di crocifiggerti?».

«Nessun potere avresti, se non ti fosse dato dall'alto. Perciò, chi mi ha dato nelle tue mani è più colpevole di te».

«Chi è? Il tuo Dio? Ho paura...».

Gesù tace.

Pilato è sulle spine.
Vorrebbe e non vorrebbe.
Teme il castigo di Dio, teme quello di Roma, teme le vendette giudee.
Vince un momento la paura di Dio.

Va sul davanti dell'atrio e tuona: «Non è colpevole».

«Se lo dici, sei nemico di Cesare. Chi si fa re è suo nemico. Tu vuoi liberare il Nazzareno. Faremo sapere a Cesare questo».

Pilato viene preso dalla paura dell'uomo. «Lo volete morto, insomma? E sia. Ma il sangue di questo giusto non sia sulle mie mani», e fattosi portare un catino si lava le mani alla presenza del popolo, che pare preso da frenesia mentre urla:
«Su noi, su noi il suo sangue. Su noi ricada e sui nostri figli. Non lo temiamo. Alla croce! Alla croce!».

Ponzio Pilato torna sul tronetto, chiama il centurione Longino e uno schiavo. Dallo schiavo si fa portare una tavola su cui appoggia un cartello e vi fa scrivere:
«Gesù Nazareno, Re dei Giudei».

E lo mostra al popolo.

«No. Non così. Non re dei Giudei. Ma che ha detto che sarebbe re dei Giudei», così urlano in molti.

«Ciò che ho scritto, ho scritto», dice duro Pilato e, dritto in piedi, stende la mano a palma in avanti e volta in basso e ordina: «Vada alla croce. Soldato, va'. Prepara la croce».

(Ibis ad crucem! I, miles, expedi crucem). E scende senza neppure più voltarsi verso la folla in tumulto, nè verso il pallido Condannato. Esce dall'atrio...

Gesù resta al centro di esso, sotto la guardia dei soldati, in attesa della croce.



Dice Gesù: «Ti voglio far meditare il punto che si riferisce ai miei incontri con Pilato.

Giovanni, che essendo stato quasi sempre presente, o per lo meno molto prossimo, è il testimone e narratore più esatto, racconta come, uscito dalla casa di Caifa, Io fui portato al Pretorio.

E specifica "di mattina presto". Infatti, lo hai visto, il giorno si iniziava appena.

Specifica anche: "essi (i giudei) non entrarono per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua".
Ipocriti come sempre, essi trovavano pericolo di contaminarsi nel calpestare la polvere della casa di un gentile, ma non trovavano peccato uccidere un Innocente e, coll'animo soddisfatto del delitto compiuto, poterono gustare meglio ancora la Pasqua.
Hanno anche ora molti seguaci. Tutti quelli che nell'interno agiscono male e all'esterno professano rispetto alla religione e amore a Dio, sono simili a questi.
Formule, formule e non religione vera!
Mi fanno ripugnanza e sdegno.

Non entrando i giudei da Pilato, uscì Pilato per udire che avesse la turba vociferante e, esperto come era nel governo e nel giudizio, con un solo sguardo comprese che il reo non ero Io, ma quel popolo ubbriaco di odio.

L'incontro dei nostri sguardi fu una reciproca lettura dei nostri cuori. Io giudicai l'uomo per quel che era. (Il carattere di Pilato è descritto magistralmente al Vol 9 Cap 566).

Egli giudicò Me per quel che ero.

In Me venne per lui della pietà perchè era un uomo debole.

Ed in lui venne per Me della pietà perchè ero un innocente.

Cercò di salvarmi dal primo momento. E, dato che unicamente a Roma era deferito e riserbato il diritto di esercitare giustizia verso i malfattori, tentò di salvarmi dicendo: "Giudicatelo secondo la vostra legge".

Ipocriti per la seconda volta, i giudei non vollero dare condanna.

Vero che Roma aveva diritto di giustizia, ma quando, ad esempio, Stefano venne lapidato, Roma imperava tuttora su Gerusalemme ed essi, ciononostante, definirono e consumarono giudizio e supplizio senza curarsi di Roma.

Per Me, di cui avevano non amore ma odio e paura - non mi volevano credere Messia, ma non volevano uccidermi materialmente nel dubbio lo fossi - agirono in maniera diversa e mi accusarono come sobillatore contro la potenza di Roma (voi direste: "ribelle") per ottenere che Roma mi giudicasse.

Nella loro aula infame, e più volte nei tre anni del mio ministero, mi avevano accusato d'esser bestemmiatore e falso profeta, e come tale avrei dovuto esser da essi lapidato o comunque ucciso.

Ma ora, per non compiere materialmente il delitto di cui sentono per istinto che sarebbero puniti, lo fanno compiere a Roma accusandomi d'esser malfattore e ribelle.

Nulla di più facile, quando le folle sono pervertite ed i capi insatanassati, di accusare un innocente per sfogare la loro libidine di ferocia e di usurpazione, e levare di mezzo chi rappresenta un ostacolo e un giudizio.

Siamo tornati ai tempi di allora. Il mondo ogni tanto, dopo una incubazione di idee perverse, esplode in queste manifestazioni di pervertimento.

Come una immensa gestante, la folla, dopo aver nutrito nel suo seno con dottrine da fiera il suo mostro, lo partorisce perchè divori. Divori per primi i migliori e poi divori se stessa.

Pilato rientra nel Pretorio e mi chiama vicino. E mi interroga. Egli aveva già sentito parlare di Me. Fra i suoi centurioni c'erano alcuni che ripetevano il mio Nome con amore riconoscente, con le lacrime agli occhi e il sorriso nel cuore, e parlavano di Me come di un benefattore.

Nei loro rapporti al Pretore, interrogati su questo Profeta che attirava a Sè le folle e predicava una dottrina nuova in cui si parlava di un regno strano, inconcepibile a mente pagana, essi avevano sempre risposto che ero un mite, un buono che non cercavo onori di questa Terra e che inculcavo e praticavo il rispetto e l'ubbidienza verso coloro che sono le autorità.

Più sinceri degli israeliti, essi vedevano e deponevano la verità.

La scorsa domenica egli, attratto dal clamore della folla, si era affacciato sulla via ed aveva visto passare su un'asinella un uomo disarmato, benedicente, circondato da bimbi e da donne.

Aveva compreso che non poteva certo essere in quell'uomo un pericolo per Roma.

Vuol dunque sapere se Io sono re.

Nel suo ironico scetticismo pagano, voleva ridere un poco su questa regalità che cavalca un asino, che ha per cortigiani dei bambini scalzi, delle donne sorridenti, degli uomini del popolo, di questa regalità che da tre anni predica di non avere attrazioni per le ricchezze ed il potere e che non parla di altre conquiste fuorchè quelle dello spirito e di anima.

Che è l'anima per un pagano? Neppure i suoi dèi hanno un' anima.

E la può avere l'uomo?

Anche ora questo re senza corona, senza reggia, senza corte, senza soldati, gli ripete che il suo regno non è di questo mondo.

Tanto vero che nessun ministro e nessuna milizia insorge a difendere il suo re ed a strapparlo ai nemici.

Pilato, seduto sul suo seggio, mi scruta, perchè Io sono un enigma per lui.

Sgomberasse l'anima dalle sollecitudini umane, dalla superbia della carica, dall'errore del paganesimo, comprenderebbe subito Chi sono.

Ma come può la luce penetrare dove troppe cose occludono le aperture perchè la luce entri?

Sempre così, figli. Anche ora.

Come può entrare Dio e la sua luce là dove non c'è più spazio per loro, e le porte e finestre sono sbarrate e difese dalla superbia, dall'umanità, dal vizio, dall'usura, da tante, tante guardie al servizio di Satana contro Dio?

Pilato non può capire quale sia il mio regno. E, quel che è doloroso, non chiede che Io glielo spieghi. Al mio invito perchè egli conosca la Verità, egli, l'indomabile pagano, risponde: «Che cosa è la verità?», e lascia cadere con una alzata di spalle la questione.

Oh! figli, figli miei!
Oh! miei Pilati di ora!
Anche voi, come Ponzio Pilato, lasciate cadere con una alzata di spalle le questioni più vitali. Vi sembrano cose inutili, sorpassate.

Cosa è la Verità? Denaro?
No. Donne?
No. Potere?
No. Salute fisica?
No. Gloria umana?
No.

E allora si lasci perdere.

Non merita che si corra dietro ad una chimera.

Denaro, donne, potere, buona salute, comodi, onori, queste sono cose concrete, utili, da amarsi e raggiungersi a qualunque scopo.
Voi ragionate così.

E, peggio di Esaù, barattate i beni eterni per un cibo grossolano che vi nuoce nella salute fisica e che vi nuoce per la salute eterna.

Perchè non persistete a chiedere: "Cosa è la verità"?

Essa, la Verità, non chiede che di farsi conoscere, per istruirvi su di essa.
Vi sta davanti come a Pilato e vi guarda con occhi di amore supplicante, implorandovi: "Interrogami. Ti istruirò".

Vedi come guardo Pilato? Ugualmente guardo voi tutti così.

E, se ho sguardo di sereno amore per chi mi ama e chiede le mie parole, ho sguardi di accorato amore per chi non mi ama, non mi cerca, non mi ascolta.

Ma amore, sempre amore, perchè l'Amore è la mia natura.

Pilato mi lascia dove sono, senza interrogare di più, e va dai malvagi che hanno la voce più grossa e che si impongono con la loro violenza.
E li ascolta, questo sciagurato che non ha ascoltato Me e che ha respinto con una scrollata di spalle il mio invito a conoscere la Verità.

Ascolta la Menzogna.
L'idolatria, quale che sia la sua forma, è sempre portata a venerare ed accettare la Menzogna, quale che sia.

E la Menzogna, accettata da un debole, porta il debole al delitto.

Pure Pilato, sulle soglie del delitto, mi vuole salvare ancora e una e due volte.

È qui che mi manda a Erode. Sa bene che il re astuto, che barcamena fra Roma e il suo popolo, agirà in modo da non ledere Roma e da non urtare il popolo ebreo.

Ma, come tutti i deboli, allontana di qualche ora la decisione che non si sente di prendere, sperando che la sommossa plebea si calmi.

Io ho detto: "Il vostro linguaggio sia: si, sì; no, no".

Ma egli non l'ha sentito o, se qualcuno glielo ha ripetuto, ha fatto la solita alzata di spalle. Per vincere nel mondo, per avere onori e lucro, occorre saper fare del sì un no, o del no un si, a seconda che il buon senso (leggi: senso umano) consigli.

Quanti, quanti Pilati che ha il ventesimo secolo!

Dove sono gli eroi del cristianesimo che dicevano sì, costantemente sì alla Verità e per la Verità, e no, costantemente no per la Menzogna?

Dove sono gli eroi che sanno affrontare il pericolo e gli eventi con fortezza d'acciaio e con serena prontezza e non dilazionano, perchè il Bene va subito compiuto e il Male subito fuggito senza "ma" e senza "se"?

Al mio ritorno da Erode, ecco la nuova transazione di Pilato: la flagellazione.
E che sperava?

Non sapeva che la folla è la belva che, quando comincia a vedere il sangue, inferocisce?

Ma dovevo esser franto per espiare i vostri peccati di carne. E vengo franto. Non ho più un brano del mio corpo che non sia percosso. Sono l'Uomo di cui parla Isaia. E al supplizio ordinato si aggiunge quello non ordinato, ma creato dalla crudeltà umana, delle spine.

Lo vedete, uomini, il vostro Salvatore, il vostro Re, coronato di dolore per liberarvi il capo da tante colpe che vi fermentano?

Non pensate quale dolore ha subito la mia testa innocente per pagare per voi, per i vostri sempre più atroci peccati di pensiero che si tramutano in azione?

Voi, che vi offendete anche quando non c'è motivo di farlo, guardate al Re offeso, ed è Dio, col suo ironico manto di porpora lacera, con lo scettro di canna e la corona di spine.

È già morente e lo schiaffeggiano ancora con le mani e con gli scherni. Nè ve ne muovete a pietà.

Come i giudei, continuate a mostrarmi i pugni, a gridare: "Via, via, non abbiamo altro Dio che Cesare", o idolatri che non adorate Dio, ma voi stessi e chi fra voi è più prepotente.

Non volete il Figlio di Dio.

Per i vostri delitti non vi dà aiuto. Più servizievole è Satana. Volete perciò Satana.

Del Figlio di Dio avete paura.
Come Pilato.

E quando lo sentite incombere su voi con la sua potenza, agitarsi in voi con la voce della coscienza che vi rimprovera in suo nome, chiedete come Pilato: "Chi sei?".

Chi sono lo sapete.

Anche quelli che mi negano sanno che sono e Chi sono.

Non mentite.

Venti secoli stanno intorno a Me e vi illustrano Chi sono e vi istruiscono sui miei prodigi.

È più perdonabile Pilato.

Non voi, che avete un retaggio di venti secoli di cristianesimo per sorreggere la vostra fede o per inculcarvela, e non ne volete sapere. Eppure con Pilato fui più severo che con voi.

Non risposi.

Con voi parlo.

E, ciononostante, non riesco a persuadervi che sono Io, che mi dovete adorazione e ubbidienza.

Anche ora mi accusate di esser Io stesso la rovina di Me in voi, perchè non vi ascolto.

Dite di perdere la fede per questo. Oh! mentitori! Dove l'avete la fede? Dove è il vostro amore? Quando mai pregate e vivete con amore e fede?

Siete dei grandi?
Ricordatevi che tali siete perchè Io lo permetto.

Siete degli anonimi fra la folla?
Ricordatevi che non vi è altro Dio che Io.
Niuno è da più di Me e avanti di Me.

Datemi dunque quel culto d'amore che mi spetta ed Io vi ascolterò, perchè non sarete più dei bastardi ma dei figli di Dio.

Ed ecco l'ultimo tentativo di Pilato per salvarmi la vita, dato che la potessi salvare dopo la spietata e illimitata flagellazione.

Mi presenta alla folla: "Ecco l'Uomo!".

A lui faccio umanamente pietà.
Spera nella pietà collettiva.

Ma, davanti alla durezza che resiste ed alla minaccia che avanza, non sa compiere un atto soprannaturalmente giusto, e perciò buono, e dire: "Io libero costui perchè è innocente. Voi siete dei colpevoli e, se non vi disperdete, conoscerete il rigore di Roma".

Questo doveva dire se era un giusto, senza calcolare il futuro male che gliene sarebbe venuto.

Pilato è un falso buono.

Buono è Longino che, meno potente del Pretore e meno difeso, in mezzo alla via, circondato da pochi soldati e da una moltitudine nemica, osa difendermi, aiutarmi, concedermi di riposare, di confortarmi con le donne pietose, di esser soccorso dal Cireneo e infine di avere la Mamma ai piedi della Croce.

Quello fu un eroe della giustizia e divenne per questo un eroe di Cristo.

Sappiatelo, o uomini che vi preoccupate unicamente del vostro bene materiale, che anche ai sensi di questo il vostro Dio interviene quando vi vede fedeli alla giustizia che è emanazione di Dio.

Io premio sempre chi agisce con rettezza. Io difendo chi mi difende. Io lo amo e soccorro.

Sono sempre Quello che ha detto: (Vol 4 Cap 265) "Chi darà un bicchier d'acqua in mio nome avrà ricompensa".

A chi mi dà amore, acqua che disseta il mio labbro di Martire divino, Io do Me stesso, ossia protezione e benedizione
».

Disperazione e suicidio di Giuda Iscariota. Avrebbe ancora potuto salvarsi se si fosse pentito

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Vedo Giuda. È solo. Vestito di giallo chiaro e con un cordone rosso alla vita.

Il mio interno ammonitore mi avverte che da poco è stato catturato Gesù e che Giuda, fuggito subito dopo la cattura, è ora in preda ad un contrasto di pensieri.

Infatti l'Iscariota pare una belva furente e braccata da una muta di mastini. Ogni sospiro di vento fra le fronde, il frusciare che fa un qualche che per le vie, il gemito di una fontanella, lo fanno sussultare e volgersi con sospetto e terrore, come si sentisse raggiunto da un giustiziere.

Gira il capo tenendolo basso, a collo torto, gira gli occhi come chi vuol vedere e ha paura di vedere e, se un giuoco di luna crea un'ombra dalla parvenza umana, egli sbarra gli occhi, fa un salto indietro, diventa anche più livido di quanto non sia, si arresta un istante e poi fugge a precipizio, tornando sui suoi passi, scantonando per altre viuzze, sinchè un altro rumore, un altro giuoco di luce, lo fa arretrare e fuggire in altra direzione.

Nel suo andare pazzo va così verso l'interno della città.

Ma un clamore di popolo l'avverte che è presso alla casa di Caifa, e allora, portandosi le mani al capo e curvandosi come se quei gridi fossero altrettante pietre che lo lapidino, fugge, fugge.

E nel fuggire prende una stradetta che lo porta diritto verso la casa dove fu consumata la Cena.
Se ne accorge, quando è davanti ad essa, per una fontanella che geme a quel punto della via.

Il piangere dell'acqua, che goccia e cade nel piccolo bacino di pietra, e un fischio debole di vento, che insinuandosi per la via stretta fa come un represso lamento, gli devono sembrare il pianto del Tradito e il lamento del Suppliziato.

Si tappa gli orecchi per non udire e scappa ad occhi chiusi per non vedere quella porta, da cui poche ore avanti è passato col Maestro e dalla quale egli è uscito per andare a prendere gli armati per catturarlo.

Nel correre, così alla cieca, va a urtare contro un cane randagio, il primo cane che vedo da quando ho le visioni, un grosso cane grigio e irsuto, che con un ringhio si scansa, pronto a slanciarsi contro il suo disturbatore.

Giuda apre gli occhi e incontra le due pupille fosforescenti che lo fissano e vede il biancore delle zanne scoperte che pare abbiano un riso diabolico.

Dà un urlo di terrore.

Il cane, che forse lo crede un urlo di minaccia, si avventa, e i due rotolano nella polvere: Giuda sotto, paralizzato dalla paura, il cane sopra.

Quando la bestia lascia la preda, giudicata forse indegna di una lotta, Giuda sanguina per due o tre morsi e il suo mantello presenta dei vasti strappi.
Un morso lo ha proprio addentato alla guancia, nel preciso posto dove egli ha baciato Gesù.

La guancia sanguina, e sangue brutta la veste giallognola di Giuda al collo.
Gli fa come un collare di sangue, imbibendo di sè il cordone rosso che stringe al collo la veste, facendolo più rosso ancora.

Giuda, portandosi la mano alla guancia e guardando il cane che si allontana, ma lo guata dall'insenatura di una porta, mormora: «Belzebù!», e con un nuovo urlo fugge inseguito dal cane per qualche tempo.

Fugge sino al ponticello che è prossimo al Getsemani.

Qui, sia perchè stanco di inseguirlo, sia perchè fosse idrofobo e l'acqua lo allontani, il cane lascia la preda e torna indietro ringhiando.

Giuda, che si era gettato nel torrente per prendere pietre da scagliare al cane, quando lo vede allontanare si guarda intorno, si vede con l'acqua sino a metà polpaccio.

Senza curarsi della veste, che sempre più si bagna, si curva sull'acqua e beve come fosse preso da arsione di febbre, e si lava la guancia che sanguina e deve dolere.

Al lume di un primo svegliarsi di alba risale il greto. Dall'altra parte, come avesse ancora paura del cane e non osasse tornare verso la città.

Fa qualche metro e si trova nell'ingresso dell'orto degli Ulivi.

Grida: «No!No!», riconoscendo il posto.

Ma poi, non so per quale forza irresistibile o per quale sadismo satanico e criminale, avanza in quel luogo.

Cerca il posto dove è avvenuta la cattura.

La terra del sentiero scompigliatada molte pedate, l'erba calpestata in un dato punto e del sangue per terra, forse quello di Malco, lo avvisano che li egli ha indicato ai carnefici l'Innocente.

Guarda, guarda... e poi ha un urlo roco e fa un balzo indietro.

Grida: «Quel sangue, quel sangue!...», e lo indica... a chi? col braccio teso e l'indice puntato. Nella luce che aumenta il suo volto è terreo e spettrale.

Pare un pazzo.

Ha gli occhi sbarrati e lucidi come per delirio, i capelli scompigliati dalla corsa e dal terrore sembrano stare irti sul capo, la guancia che va enfiando gli torce la bocca in un ghigno.

La veste strappata, insanguinata, bagnata, motosa, perchè la polvere si è appiccicata al bagnato ed è divenuta fango, lo fa simile ad un accattone.

Il manto, pure lacero e motoso, gli pende giù da una spalla come uno straccio, e in questo egli si impiglia quando, continuando a gridare: «Quel sangue, quel sangue!», arretra come se quel sangue divenisse un mare che monta e sommerge.

Giuda cade riverso e si ferisce al capo, dietro al capo, contro una pietra. Ha un gemito di dolore e di paura.

«Chi è?», grida. Deve aver pensato che qualcuno l'abbia fatto cadere per colpirlo. Si volge con terrore.

Nessuno! Si alza. Ora il sangue goccia anche sulla nuca. Il cerchio rosso si allarga sulla veste. Non cade in terra, perchè è poco. (Non cade in terra, perchè non doveva mescolarsi… al Sangue purissimo dell’Innocente, come è detto al capitolo 603 e come sarà ribadito al 639. La relazione tra Giuda e il sangue, che nel presente capitolo assume aspetti ossessionanti, trova un fondamento anche al Vol 2 Cap 92, al Vol 5 Cap 361 e al Vol 7 Cap 496).

La veste lo beve. Ora il capestro rosso pare già al collo.

Cammina.

Ritrova le tracce del fuocherello acceso da Pietro ai piedi di un ulivo. Ma egli non sa che è opera di Pietro e deve credere che lì fu Gesù.

Grida: «Via! Via!», e con ambe le mani, tese avanti a sè, pare respingere un fantasma che lo tormenta.

Scappa.

E va a finire proprio contro il masso dell'Agonia.

Ormai l'alba è netta e permette vedere bene e subito.

Giuda vede il mantello di Gesù rimasto piegato sul masso.
Lo conosce.
Vuole toccarlo. Ha paura. Stende e ritira la mano. Vuole. Disvuole. Ma quel manto lo affascina. Geme: «No. No».

Poi dice: «Sì, per Satana! Sì. Voglio toccarlo. Non ho paura! Non ho paura!».

Dice che non ha paura, ma batte i denti dal terrore, e il rumore che fa sul suo capo un ramo d'ulivo, mosso dal vento e urtante contro un tronco vicino, lo fa urlare di nuovo.

Pure si sforza e afferra il mantello. E ride. Un riso da pazzo, da demonio. Un riso isterico, spezzato, lugubre, che non finisce mai, perchè ha vinto la sua paura.

E lo dice: «Non mi fai paura, Cristo. Più paura. Avevo tanta paura di Te perchè ti credevo un Dio e un forte. Ora non mi fai più paura perchè non sei Dio. Sei un povero pazzo, un debole. Non ti sei saputo difendere. Non mi hai incenerito come non hai letto nel mio cuore il tradimento. Le mie paure!... Che stolto!
Quando parlavi, anche ieri sera, io credevo Tu sapessi. Nulla sapevi. Era la mia paura che dava tono di profezia alle tue comuni parole. Sei un nulla. Ti sei lasciato vendere, indicare, prendere come un sorcio nella tana. Il tuo potere! La tua origine! Ah! Ah! Ah! Buffone! Il forte è Satana! Più forte di Te. Ti ha vinto! Ah! Ah! Ah! Il Profeta! Il Messia! Il Re d'Israele! E mi hai tenuto soggetto per tre anni! Con la paura sempre nel cuore! E dovevo mentire per ingannarti con finezza quando volevo godere la vita! Ma anche avessi rubato e fornicato senza tutta l'astuzia che usavo, Tu non mi avresti fatto nulla. Imbelle! Pazzo! Vigliacco! Toh! Toh! Toh! Ho avuto torto a non fare a Te quel che faccio al tuo manto per vendicarmi del tempo in cui mi hai tenuto schiavo della paura. Paura di un coniglio!... Toh! Toh! Toh!».

Ad ogni «toh!» Giuda morde e cerca strappare la stoffa del manto.
Lo spiegazza fra le mani. Ma nel farlo lo apre e appaiono le macchie che lo bagnano. Giuda si ferma nella sua furia. Fissa quelle macchie. Le tocca. Le fiuta. Sono sangue... Spiega tutto il mantello. È ben visibile l'impronta lasciata dalle due mani sanguinose quando si premevano la stoffa sul viso.

«Ah!... Sangue! Sangue! Il suo... No!».

Giuda lascia cadere il mantello e guarda intorno. Anche contro il masso, là dove Gesù si è appoggiato con la schiena quando l'Angelo lo confortava, vi è uno scuro di sangue che secca.

«Là!... Là!... Sangue! Sangue!...».

Abbassa gli occhi per non vedere, e vede l'erba tutta rossa del sangue gocciato su essa. Questo, per la rugiada che lo ha tenuto sciolto, pare appena gocciato. È rosso e brilla al primo sole.

«No! No! No! Non voglio vedere! Non posso vedere quel sangue! Aiuto!», e porta le mani alla gola e annaspa come se stesse affogando in un mare di sangue.

«Indietro! Indietro! Lasciami! Lasciami! Maledetto! Ma questo sangue è un mare! Copre la Terra! La Terra! La Terra! E sulla Terra non c'è posto per me, perchè io non posso vedere quel sangue che la copre. Sono il Caino dell'Innocente!».

L'idea del suicidio credo sia venuta in questo momento in quel cuore. Il volto di Giuda fa paura.

Si butta dal balzo e fugge per l'uliveto senza tornare per la via già fatta. Pare un inseguito dalle fiere.

Torna in città. Si avvolge nel mantello come può e cerca coprirsi la ferita e il volto per quanto può.

Si dirige al Tempio. Ma, mentre va a quella volta, ad un incrocio di via si trova di fronte alle canaglie che trascinanoGesù da Pilato.

Non può ritirarsi, perchè altra folla lo preme alle spalle, accorrendo a vedere. E, alto come è, domina per forza e vede.

E incontra lo sguardo di Cristo...

I due sguardi si allacciano un momento. Poi Cristo passa, legato, percosso. E Giuda cade riverso come svenuto. La folla lo calpesta senza pietà, nè egli reagisce.
Deve preferire essere calpestato da tutto un mondo anzichè incontrare quello sguardo.

Quando la canea deicida è passata col Martire e la via è vuota, si rialza e corre al Tempio.

Urta e quasi rovescia una guardia messa alla porta del recinto. Altre guardie accorrono per interdire al forsennato di entrare.

Ma egli, come un toro furente, sgomina tutti. Uno, che gli si aggrappa per impedirgli di penetrare nell'aula del Sinedrio, dove sono ancora tutti raccolti a discutere, viene afferrato per la gola, strozzato e gettato, se non morto certo moribondo, giù dai tre scalini.

«Il vostro denaro, maledetti, non lo voglio», egli urla, ritto in mezzo all'aula, al posto dove prima era Gesù.

Pare un demone sbucato dall'inferno.

Insanguinato, spettinato, acceso dal delirio, con la bava alla bocca, le mani ad artiglio, egli urla e pare che abbai tanto la sua voce è stridula, roca, ululante.

«Il vostro denaro,maledetti, non lo voglio. Mi avete perduto. Mi avete fatto commettere il più grande peccato. Come voi, come voi sono maledetto! Ho tradito il Sangue innocente. Ricada su voi quel Sangue e la mia morte. Su voi... No!Ah!...».

Giuda vede il pavimento bagnato di sangue. «Anche qui, anche qui è sangue? Da per tutto! Da per tutto è il suo Sangue! Ma quanto Sangue ha l'Agnello di Dio per coprirne così la Terra e non morirne? Ed io l'ho sparso! Per istigazione vostra. Maledetti! Maledetti! Maledetti in eterno! Maledizione a queste mura! Maledizione a questo Tempio profanato! Maledizione al Pontefice deicida! Maledizione ai sacerdoti indegni, ai dottori falsi, ai farisei ipocriti, ai giudei crudeli, agli scribi subdoli! Maledizione a me! A me maledizione !A me! Tenete il vostro denaro e vi strozzi l'anima nella gola come a me il capestro», e getta la borsa in faccia a Caifa e va con un urlo, mentre le monete suonano spargendosi al suolo dopo aver colpito a sangue la bocca di Caifa.

Nessuno osa trattenerlo.

Esce. Corre per le vie. E fatalmente torna ad incrociare altre due volte Gesù, che va e viene da Erode.

Abbandona il centro della città, prendendo a casaccio per le viette più misere, e va a finire da capo contro la casa del Cenacolo.

È tutta chiusa. Come abbandonata. Si ferma. La guarda. «La Madre!», mormora. «LaMadre!...». Resta in sospeso... «Ho anche io una madre! E ho ucciso un Figlio a una Madre! Pure... Voglio entrare... Rivedere quella stanza. Là non c’è sangue... ».

Dà un picchio alla porta. Un altro... Un altro... La padrona di casa viene ad aprire e socchiude l'uscio. Una fessura... E vedendo quell'uomo stravolto, irriconoscibile, getta un urlo e tenta rinchiudere l'uscio. Ma Giuda con una spallata lo spalanca e, travolgendo la donna esterrefatta, passa oltre. Corre verso la porticina che mette nel Cenacolo. L'apre. Entra. Un bel sole entra dalle finestre spalancate.

Giuda tira un respiro di sollievo. Si inoltra. Qui tutto è calmo e silenzioso. Le stoviglie sono ancora come furono lasciate. Si capisce che per ora nessuno se ne è occupato. Si potrebbe credere che si sia per mettersi a tavola.

Giuda va verso la tavola. Guarda se vi è vino nelle anfore. Ce ne è. Beve avidamente dall'anfora stessa, che solleva a due mani. Poi si lascia cadere seduto e appoggia il capo sulle braccia conserte sulla tavola. Non si accorge che si è seduto proprio al posto di Gesù e che ha di fronte il calice usato per l'Eucarestia.

Sta fermo qualche tempo. Finchè l'ansito del gran correre si placa. Poi alza il capo. E vede il calice. E riconosce dove siè seduto.

Si alza come spiritato. Ma il calice lo affascina. Un poco di vino rosso è ancora nel fondo e il sole, percuotendo il metallo (pare argento), accende quel liquido. «Sangue! Sangue! Sangue anche qui! Il suo Sangue! Il suo Sangue!...
"Fate questo in memoria di Me!... Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue... Il Sangue del nuovo testamento che sarà sparso per voi... Ah! maledetto me! Per me non può più esser sparso per remissione del mio peccato. Non chiedo perdono perchè Egli non mi può perdonare. Via, via! Non c'è più un posto dove il Caino di Dio possa conoscere quiete. A morte! A morte!...».

Esce. Si trova di fronte Maria, ritta sulla porta della stanza dove Gesù l'ha lasciata. Ella, udendo un rumore, si è affacciata sperando forse vedere Giovanni, che manca da tante ore. È pallida come un svenata. Ha degliocchi che il dolore fa ancor più simili a quelli del Figlio.

Giuda incontra quello sguardo che lo guarda con la stessa accorata e cosciente cognizione con cui Gesù lo ha guardato per via, e con un «Oh!» spaurito si addossa al muro.

«Giuda!», dice Maria. «Giuda, che sei venuto a fare?». Le stesse parole di Gesù. E dette con amore doloroso.

Giuda le ricorda e urla.

«Giuda», ripete Maria, «che hai tu fatto? A tanto amore hai risposto tradendo?».

La voce di Maria è carezza che trema. Giuda fa per scappare. Maria lo chiama con una voce che avrebbe dovuto convertire un demonio: «Giuda! Giuda! Fermati! Fermati! Ascolta! Io te lo dico in suo Nome: pentiti, Giuda. Egli perdona...».

Giuda èfuggito.

La voce di Maria, il suo aspetto è stato il colpo di grazia, ossia di disgrazia perchè egli le resiste. Va a precipizio. Incontra Giovanni che corre verso la casa a prendere Maria. La sentenza è pronunciata. Gesù sta per andare al Calvario. E ora che la Madre sia condotta dal Figlio.

Giovanni riconosce Giuda per quanto ben poco resti del bel Giuda di poco tempo prima.

«Tu qui?», gli dice Giovanni con palese ribrezzo.

«Tu qui? Maledizione a te, uccisore del Figlio di Dio! Il Maestro è condannato. Giubila, se puoi. Ma sgombra la via. Vado a prendere la Madre. Che Ella, l'altra tua Vittima, non ti incontri, rettile».

Giuda fugge. Si è avvolto il capo nei brandelli del manto, lasciando unicamente uno spiraglio per gli occhi. La gente, la poca gente che non è verso il Pretorio, lo scansa come vedesse un pazzo. E tale sembra.

Vaga per la campagna. Il vento porta ogni tanto un'eco del clamore che proviene dalla turba che segue imprecando Gesù. Ogni volta che tale eco giunge a Giuda, egli urla come uno sciacallo.

Io credo che sia realmente impazzito, perchè batte la testa ritmicamente contro i muretti di pietra. Oppure è divenuto idrofobo perchè, quando vede un liquido purchè sia - acqua, latte portato in un recipiente da un bambino, olio che geme da un otre - urla, urla e grida: «Sangue! Sangue! Il suo Sangue!».

Vorrebbe bere ai ruscelli e alle fonti.

Non può, perchè l'acqua gli pare sangue, e lo dice: «È sangue! È sangue! Mi affoga! Mi brucia! Ho il fuoco! Il suo Sangue, che ieri mi ha dato, è divenuto fuoco in me! Maledizione a me e a Te!».

Sale e scende per i colli che circondano Gerusalemme. E l'occhio, irresistibilmente, gli va al Golgota. E due volte vede da lungi il corteo snodarsi nella salita. Guarda e urla. Eccolo alla cima. Anche Giuda è in cima di un piccolo colle coperto d'ulivi. Vi è penetrato aprendo una chiudenda rustica come ne fosse padrone o per lo meno molto pratico. Già ho l'impressione che Giuda non avesse molti riguardi per l'altrui proprietà. Ritto sotto un ulivo al limite di un balzo, guarda verso il Golgota.

Vede drizzare le croci e comprende che Gesù è crocifisso.

Non può vedere nè udire.

Ma il delirio o un malefizio di Satana gli fan vedere e udire come fosse sulla cima del Calvario.

Guarda, guarda come allucinato. Si dibatte: «No! No! Non mi guardare! Non mi parlare! Non lo sopporto. Muori, muori, maledetto! Ti chiuda la morte quegli occhi che mi fan paura, quella bocca che mi maledice. Ma anche io ti maledico. Perchè non mi hai salvato».

Il volto è talmente stralunato che non si può più guardare.

Due fili di bava scendono dalla bocca urlante.

La guancia morsa è livida e enfiata, e il viso ne appare storto.

I capelli appiccicati, la barba, molto scura, cresciuta sulle guance in quelle ore, mette un bavaglio lugubre sulle gote e sul mento.

Gli occhi poi!...Roteano, si torcono, sono fosforescenti. Da vero demonio.

Strappa dalla sua cintura il cordone di grossa lana rossa che lo cinge con tre giri. Ne prova la solidità avvinghiandolo intorno ad un ulivo e tirando con tutta la sua forza. Resiste. È forte. Sceglie un ulivo atto alla bisogna. Ecco. Questo, proteso oltre la balza con la sua chioma spettinata, va bene.

Monta sull'albero. Assicura solidamente un cappio al ramo più robusto e sporgente nel vuoto. Ha già fatto il nodo scorsoio. Guarda un ultima volta al Golgota. Poi infila la testa nel nodo scorsoio. Ora pare avere due collane rosse alla radice del collo. Si siede sulla balza. Poi di colpo si lascia scivolare nel vuoto.
Il nodo lo stringe.
Si dibatte qualche minuto.
Strabuzza gli occhi, diviene nero d'asfissia, apre la bocca, le vene del collo si gonfiano e si fanno nere.

Tira quattro o cinque calci per aria, nelle ultime convulsioni. Poi la bocca si apre e ne pende la lingua scura e bavosa, e i globi oculari restano scoperti, sporgenti, mostranti il bulbo bianchiccio iniettato di sangue. L'iride scompare in alto.

È morto. Il forte vento, che si è alzato perl'imminente bufera, ciondola il macabro pendolo e lo fa roteare come un orrido ragno appeso al filo della ragnatela.

La visione finisce così. E mi auguro ad avermi a dimenticare presto tutto ciò, perchè le assicuro che è visione orrenda.



Dice Gesù: «Orrenda, ma non inutile.

Troppi credono che Giuda abbia commesso cosa da poco. Alcuni giungono anzi a dire che egli è un benemerito perchè senza di lui la Redenzione non sarebbe venuta e che, perciò, egli è giustificato al cospetto di Dio.

In verità vi dico che, se l'Inferno non fosse già esistito, ed esistito perfetto nei suoi tormenti, sarebbe stato creato per Giuda ancor più orrendo ed eterno, perchè di tutti i peccatori e i dannati egli è il più dannato e peccatore, nè per lui in eterno vi sarà ammolcimento di condanna.

Il rimorso l'avrebbe anche potuto salvare, se egli avesse fatto del rimorso un pentimento.

Ma egli non volle pentirsi e, al primo delitto di tradimento, ancora compatibile per la grande misericordia che è la mia amorosa debolezza, ha unito bestemmie, resistenze alle voci della Grazia che ancora gli volevano parlare attraverso i ricordi, attraverso i terrori, attraverso il mio Sangue e il mio mantello, attraverso il mio sguardo, attraverso le tracce dell'istituita Eucarestia, attraverso le parole di mia Madre.

Ha resistito a tutto.

Ha voluto resistere.

Come aveva voluto tradire.

Come volle maledire.

Come si volle suicidare.

È la volontà quella che conta nelle cose. Sia nel bene che nel male.

Quando uno cade senza volontà di cadere, Io perdono.

Vedi Pietro.
Ha negato.

Perchè? Non lo sapeva esattamente neppure lui.

Vile Pietro?
No.

Il mio Pietro non era vile. Contro la coorte e le guardie del Tempio aveva osato ferire Malco per difendermi e rischiare d'essere ucciso per questo.

Era poi fuggito. Senza averne volontà di farlo.
Aveva poi negato.
Senza averne volontà di farlo.

Ha saputo poi ben restare e procedere sulla sanguinosa via della Croce, sulla mia Via, fino a giungere alla morte di croce.

Ha saputo poi molto bene testimoniare di Me, sino ad esser ucciso per la sua fede intrepida.

Io lo difendo il mio Pietro. Il suo è stato l'ultimo smarrimento della sua umanità.

Ma la volontà spirituale non era presente in quel momento.
Ottusa dal peso dell'umanità, dormiva. Quando si destò, non volle restare nel peccato e volle esser perfetta. Io l'ho perdonato subito.

Giuda non volle.

Tu dici che pareva pazzo e idrofobo. Lo era di rabbia satanica.

Il suo terrore nel vedere il cane, bestia rara, in Gerusalemme in specie, venne dal fatto che si attribuiva a Satana, da tempi immemorabili, quella forma per apparire ai mortali.

Nei libri di magia è detto tuttora che una delle forme preferite da Satana per apparire è quella di un cane misterioso o di un gatto o di un capro.

Giuda, già preda del terrore nato dal suo delitto, convinto d'esser di Satana per il suo delitto, vide Satana in quella bestia randagia.

Chi è colpevole, in tutto vede ombre di paura.

È la coscienza che le crea.

Satana poi aizza queste ombre, che potrebbero ancora dare pentimento ad un cuore, e ne fa larve orrende che portano alla disperazione.

E la disperazione porta all'ultimo delitto: al suicidio.

A che pro gettare il prezzo del tradimento quando questo spogliamento è solo frutto dell'ira e non è corroborato da una retta volontà di pentimento?

Allora spogliarsi dai frutti del male diviene meritorio. Ma così come egli fece, no.

Inutile sacrificio.

Mia Madre, ed era la Grazia che parlava e la mia Tesoriera che largiva perdono in mio Nome, glielo disse: "Pentiti, Giuda. Egli perdona…”. (Largiva perdono, nel significato e nella misura che emergono al Vol 9 Cap574).

Oh! se lo avrei perdonato! Se si fosse gettato ai piedi della Madre dicendo: "Pietà!", Ella, la Pietosa, lo avrebbe raccolto come un ferito e sulle sue ferite sataniche, per le quali il Nemico gli aveva inoculato il Delitto, avrebbe sparso il suo pianto che salva e me lo avrebbe portato, ai piedi della Croce, tenendolo permano perchè Satana non lo potesse ghermire e i discepoli colpirlo, portato perchè il mio Sangue cadesse per primo su lui, il più grande dei peccatori.

E sarebbe stata, Ella, Sacerdotessa mirabile sul suo altare, fra la Purezza e la Colpa, perchè è Madre dei vergini e dei santi, ma anche Madre dei peccatori.
(Sacerdotessa è un titolo già dato alle donne discepole e illustrato al Vol 2 Capp 95-153-157, al Vol 4 Cap 295 e al Vol 5 Cap307. Nello stesso senso, ma in misura piena, deve intendersi quando riferito a Maria Ss., che al capitolo 610 si definisce “Sacerdotessa” in virtù della propria maternità, e al capitolo 618 è proclamata da Gesù “Regina del Sacerdozio”. Del sacerdozio comune a tutti si dirà al capitolo 606).

Ma egli non volle.

Meditate il potere della volontà di cui siete arbitri assoluti.

Per essa potete avere il Cielo o l'Inferno.

Meditate cosa vuol dire persistere nella colpa.

Il Crocifisso, Colui che sta con le braccia aperte e confitte per dirvi che vi ama, e che non vuole, non può colpirvi perchè vi ama, e preferisce negarsi di potervi abbracciare, unico dolore del suo esser confitto, anzichè aver libertà di punirvi, il Crocifisso, oggetto di divina speranza per coloro che si pentono e che vogliono lasciare la colpa, diviene per gli impenitenti oggetto di un tale orrore che li fa bestemmiare e usare violenza verso se stessi.

Uccisori del loro spirito e del loro corpo per la loro persistenza nella colpa.

E l'aspetto del Mite, che si è lasciato immolare nella speranza di salvarli, assume l'apparenza di uno spettro di orrore.

Maria, ti sei lamentata di questa visione. Ma è il Venerdì di Passione, figlia. Devi soffrire. Alle sofferenze per le sofferenze mie e di Maria devi unire le tue per l'amarezza di vedere i peccatori rimanere peccatori.

Èstata sofferenza nostra, questa. Deve esser tua. Maria ha sofferto, e soffre ancora, di questo, come delle mie torture. Perciò tu devi soffrire questo.
Ora riposa. Fra tre ore sarai tutta mia e di Maria.
Ti benedico, violetta della mia Passione e passiflora di Maria
».

Gesù e Maria sono l'antitesi di Adamo ed Eva. Giuda Iscariota è il nuovo Caino. La vera evoluzione dell'uomo è quella del suo spirito

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Dice Gesù:
«La coppia Gesù-Maria è l'antitesi della coppia Adamo-Eva. (Genesi 1, 26-29; 2, 7-25; 3; 4, 1-16.25-26, ivi inclusa la storia di Caino e Abele, cui si fa riferimento più sotto).

È quella destinata ad annullare tutto l'operato di Adamo ed Eva e riportare l'Umanità al punto in cui era quando fu creata: ricca di grazia e di tutti i doni ad essa largiti dal Creatore.

L'Umanità ha subìto una rigenerazione totale per l'opera della coppia Gesù-Maria, i quali sono così divenuti i nuovi Capostipiti dell'Umanità.

Tutto il tempo precedente è annullato.

Il tempo e la storia dell'uomo si conta da questo momento in cui la nuova Eva, per un capovolgimento di creazione, trae dal suo seno inviolato, per opera del Signore Iddio, il nuovo Adamo.

Ma per annullare le opere dei due Primi, causa di mortale infermità, di perpetua mutilazione, di impoverimento, più: di indigenza spirituale - perchè dopo il peccato Adamo ed Eva si trovarono spogliati di tutto quanto aveva loro donato, ricchezza infinita, il Padre santo - hanno dovuto, questi due Secondi, operare in tutto e per tutto in maniera opposta al modo di operare dei due Primi.


Perciò, spingere l'ubbidienza sino alla perfezione che si annichila e si immola nella carne, nel sentimento, nel pensiero, nella volontà, per accettare tutto quanto Dio vuole.

Perciò, spingere la purezza ad una castità assoluta, per cui la carne... che fu la carne per Noi due puri?
Velo d'acqua sullo spirito trionfante, carezza di vento sullo spirito re, cristallo che isola lo spirito-Signore e non lo corrompe, impulso che solleva e non peso che opprime.
Questo fu la carne per Noi.
Meno pesante e sensibile di una veste di lino, lieve sostanza interposta fra il mondo e lo splendore dell'io soprumanato, mezzo per operare ciò che Dio voleva.
Null'altro.


Fu nostro l'amore?
Certo.

Il "perfetto amore" fu nostro.

Non è, uomini, amore la fame di senso che vi spinge bramosi a saziarvi di una carne.

Quella è lussuria. Nulla più.

Tanto vero che amandovi così - voi lo credete amore - non sapete compatirvi, aiutarvi, perdonarvi.

Che è allora il vostro amore? È odio.

E unicamente delirio paranoico, che vi spinge a preferire il sapore di putridi pasti al sano, corroborante cibo di eletti sentimenti.

Noi avemmo il "perfetto amore", Noi, i casti perfetti.

Questo amore abbracciava Dio in Cielo e, a Lui unito come lo sono i rami col tronco che li nutre, si espandeva e scendeva prodigandosi di riposo, di riparo, di nutrimento, di conforto sulla Terra e sui suoi abitanti.

Nessuno escluso da questo amore.

Non i nostri simili, non gli esseri inferiori, non la natura erborea, non le acque e gli astri.

Neppure i malvagi esclusi da questo amore. Perchè anche essi, benchè membri morti, erano pur sempre membri del gran corpo del Creato, e perciò vedevamo in essi, per quanto deturpata e bruttata dalla loro malvagità, la santa effigie del Signore, che a sua immagine e somiglianza li aveva formati.

Gioendo coi buoni, piangendo sui non buoni, pregando (amore fattivo che si estrinseca coll'impetrare e ottenere protezione a chi si ama) pregando per i buoni acciò fossero sempre più buoni per accostarsi sempre più alla perfezione del Buono che ci ama dai Cieli, pregando per i vacillanti fra la bontà e la malvagità perchè si fortificassero e sapessero persistere sul cammino santo, pregando per i malvagi perchè la Bontà parlasse al loro spirito, li atterrasse magari con una folgore del suo potere, ma li convertisse al Signore Iddio loro, Noi amammo.

Come nessun altro amò.

Spingemmo l'amore alle vette della perfezione per colmare, col nostro oceano d'amore, l'abisso scavato dal disamore dei Primi, che amarono sè più di Dio, volendo avere più che lecito non fosse per divenire superiori a Dio.

Perciò alla purezza, ubbidienza, carità, distacco da tutte le ricchezze della Terra (carne, potere, denaro: il trinomio di Satana opposto al trinomio di Dio: fede, speranza, carità); perciò all'odio, alla lussuria, all'ira, alla superbia (le quattro passioni perverse, antitesi delle quattro virtù sante: fortezza, temperanza, giustizia, prudenza) Noi dovemmo unire una costante pratica di tutto quanto era all'opposto del modo di agire della coppia Adamo-Eva.

E se molto, per il nostro buon volere senza limite, ci fu ancor facile farlo, solo l'Eterno sa quanto fu eroico compiere questa pratica in certi momenti e in certi casi.

Non voglio qui che parlarne di uno solo. E di mia Madre. Non di Me.

Della nuova Eva, la quale aveva già respinto dai più teneri anni le blandizie usate da Satana per sedurla a mordere il frutto e sentirne il sapore che aveva reso folle la compagna di Adamo; della nuova Eva, la quale non si era limitata a respingere Satana, ma l’aveva vinto schiacciandolo sotto una volontà di ubbidienza, di amore, di castità talmente vasta che esso, ilMaledetto, ne era rimasto schiacciato e domo.

No!

No, che non si alza Satana da sotto il calcagno della mia Madre Vergine!

Sbava e spuma, rugge e bestemmia.

Ma la sua bava cola in basso, ma il suo urlo non tocca l'atmosfera che circonda la mia Santa, la quale non ode fetore nè cachinni demoniaci, non vede, neppur vede la schifosa bava del Rettile eterno, perchè le armonie celesti ed i celesti aromi le danzano innamorati intorno alla bella e santa persona, e perchè il suo occhio, più puro del giglio e più innamorato di quello di tortora tubante, fissa solo il suo Signore eterno, di cui è Figlia, Madre e Sposa.

Quando Caino uccise Abele, la bocca della Madre proferì le maledizioni che il suo spirito, separato da Dio, suggeriva contro il suo prossimo più intimo: il figlio delle sue viscere, profanate da Satana e rese brute dall'incomposto desiderio.

E quella maledizione fu la macchia nel regno del morale umano, come il delitto di Caino la macchia nel regno dell'animale umano.

Sangue sulla Terra, sparso da mano fraterna. Il primo sangue, che attira come calamita millenaria tutto il sangue che mano d'uomo sparge traendolo da vene d'uomo.

Maledizione sulla Terra, proferita da bocca d'uomo.

Quasi che la Terra non fosse sufficientemente maledetta per causa dell'uomo ribelle al suo Dio e non avesse dovuto conoscere i triboli e le spine e la durezza delle glebe, le siccità, le grandini, i geli, i solleoni, essa che era stata creata perfetta e servita da elementi perfetti per esser dimora facile e bella all'uomo suo re.

Maria deve annullare Eva.

Maria vede il secondo Caino: Giuda.

Maria sa che egli è il Caino del suo Gesù, del secondo Abele.

Sa che il sangue di questo secondo Abele è stato venduto da quel Caino e già viene sparso.

Ma non maledice.

Ama e perdona.

Ama e richiama.


Oh! Maternità di Maria martire!
Maternità sublime quanto la tua virginea e divina!

Di quest'ultima ti ha fatto dono Iddio!

Ma della prima tu, Madre santa, Corredentrice, ti sei fatta dono, perchè tu, tu sola hai saputo, in quell'ora, col cuore franto dai flagelli che mi avevano franto le carni, dire a Giuda quelle parole; tu, tu sola hai saputo, in quell'ora, mentre sentivi già la croce spaccarti il cuore, amare e perdonare.

Maria: la nuova Eva.

Essa vi insegna la nuova religione, che spinge l'amore a perdonare chi uccide un Figlio.

Non siate come Giuda, che a questa Maestra di Grazia chiude il cuore e dispera dicendo: "Egli non mi può perdonare", mettendo in dubbio le parole della Madre della Verità e perciò le mie parole, che avevano sempre ripetuto che Io ero venuto per salvare e non perdere.

Per perdonare a chi a Me veniva pentito.


Maria, nuova Eva, ha anche Ella avuto da Dio un nuovo Figlio "in luogo di Abele ucciso da Caino".

Ma non lo ebbe con un ora di gioia brutale, che rende assopito il dolore sotto i vapori del senso e le stanchezze dell'appagamento.

Lo ebbe in un'ora di dolore totale, ai piedi di un patibolo, fra i rantoli del Morente che le era Figlio, gli improperi di una folla deicida e una desolazione immeritata e totale, poichè anche Dio non più la consolava.

La vita nuova incomincia per l'Umanità e per i singoli uomini da Maria.

Nelle sue virtù e nel suo modo di vivere è la vostra scuola.

E nel suo dolore, che ebbe tutti i volti, anche quello del perdono all'uccisore del suoFiglio, è la salvezza vostra
».

Dice Gesù: «Un giorno ti parlerò ancora di Caino e dei Progenitori. Vi è molto da dire e da meditare».



Dice Gesù: «Nella Genesi si legge: "Allora Adamo pose alla sua moglie il nome di Eva, essendo essa la Madre di tutti i viventi".

Oh! si. La donna era nata dalla "Virago" che Dio aveva formata per compagna di Adamo, traendola dalla costola dell'uomo.
Era nata col suo destino doloroso perchè aveva voluto nascere. (Perchè fu in conseguenza del suo peccato, commesso volutamente, che la Virago, cioè la donna tratta dall‟uomo, divenne Eva, laMadre di tutti i viventi).

Perchè aveva voluto conoscere ciò che Dio le aveva occultato riserbandosi la gioia di darle la gioia di posterità senza avvilimento di senso.

La compagna di Adamo aveva voluto conoscere il bene che si cela nel male e, soprattutto, il male che si cela nel bene, nell'apparente bene. Poichè, sedotta come era da Lucifero, aveva appetito a conoscenze che solo Dio poteva conoscere senza pericolo, e si era fatta creatrice.

Ma, usando questa forza di bene indegnamente, l'aveva corrotta in atto di male,perchè disubbidienza a Dio e malizia e ingordigia della carne.

Ormai ella era la "Madre".

Pianto infinito delle cose intorno all'innocenza della loro regina profanata!
E pianto desolato della regina sulla sua profanazione, di cui comprende l'entità e l'impossibile annullamento!

Se le tenebre e i cataclismi accompagnarono la morte dell'Innocente, anche tenebra e bufera accompagnarono la morte dell'Innocenza e della Grazia nei cuori dei Progenitori.
Era nato il Dolore sulla Terra.
E la Provvidenza di Dio non lo volle eterno, dandovi dopo anni di dolore la gioia di uscire dal dolore per entrare nella gioia, se sapete vivere con animo retto.

Guai all'uomo se avesse dovuto farsi umanamente padrone della vita!
E vivere col ricordo dei suoi delitti e il continuo aumento degli stessi, poichè vivere senza peccare vi è più impossibile che vivere senza respirare, creature che eravate state create per conoscere la Luce, e che la Tenebra ha avvelenato di sè facendovi sue vittime.

La Tenebra!
Essa vi circuisce continuamente. Vi avviluppa ridestando quanto il Sacramento ha cancellato e, poichè voi ad essa non opponete volontà d'esser di Dio, riesce a riavvelenarvi del suo veleno, che il Battesimo aveva reso innocuo.

Dio Padre allontanò l'uomo, della cui disubbidienza erano palesi i segni, dal luogo delle paradisiache delizie, affinchè non peccasse un'altra volta e più ancora alzando la mano ladra all'albero di Vita.

Non si poteva più fidare il Padre dei suoi figli, nè sentirsi sicuro nel suo terrestre Paradiso.

Satana vi era penetrato una volta per insidiargli le creature predilette e, se aveva potuto indurli alla colpa quando erano innocenti, con agio maggiore l'avrebbe potuto rifare ora che innocenti non erano più.

L'uomo aveva tutto voluto possedere, non lasciando a Dio il tesoro d'esser il Generatore.
Se ne andasse perciò con la sua ricchezza acquistata con violenza e se la portasse seco sulla terra d'esilio, a farlo sempre memore del suo peccato, re avvilito e spogliato dei suoi doni.

La creatura paradisiaca era divenuta creatura terrestre. E dovevano passare secoli di dolore perchè l'Unico che potesse stendere la mano al frutto di Vita venisse e cogliesse per tutta l'Umanità tal frutto.

Lo cogliesse con le sue mani trafitte e lo desse agli uomini perchè tornassero coeredi del Cielo e possessori della Vita che non muore in eterno.

Dice ancora la Genesi: "Adamo poi conobbe la sua moglie Eva".
Avevano voluto conoscere i segreti del bene e del male. Giusto era che conoscessero ora anche il dolore di dover riprodurre se stessi nella carne avendo l'aiuto di Dio unicamente per ciò che l'uomo non può creare: lo spirito, scintilla che da Dio si parte, soffio che da Dio si infonde, sigillo che sulla carne appone il segno del Creatore eterno.
Ed Eva partorì Caino.

Eva era carica della sua colpa.
Richiamo qui la vostra attenzione su un fatto che sfugge ai più.

Eva era carica della sua colpa.

Nè il dolore era ancora stato subìto in misura sufficiente a diminuire la sua colpa.

Come organismo carico di tossine, ella aveva trasmesso al figlio quanto pullulava in lei.

E Caino, primo figlio d'Eva, era nato duro, invidioso, iracondo, lussurioso, perverso, di poco dissimile alle belve rispetto all'istinto, di molto superiore rispetto al soprannaturale, perchè nel suo io feroce egli negava rispetto a Dio che guardava come un nemico, credendosi lecito di non averne culto sincero.

Satana lo aizzava a deridere Dio.

E chi deride Dio non rispetta nessuno al mondo. Onde coloro che sono a contatto coi derisori dell'Eterno conoscono l'amaro del pianto, perchè non vi è per loro speranza di amore riverente nella prole, non sicurezza di amore fedele nel consorte, non certezza di amicizia onesta nell'amico.

Lacrime e lacrime rigarono il volto di Eva e rigarono il suo cuore per la durezza del figlio, gettando nel suo cuore il germe del pentimento.

Lacrime e lacrime che le ottennero una diminuzione di colpa, perchè Dio al dolore di chi si pente perdona.

E il secondogenito di Eva ebbe l'anima lavata nel pianto della madre, e fu dolce e rispettoso verso i genitori, e devoto al Signore suo, di cui sentiva l'onnipotenza raggiare dai Cieli.
Era la gioia della decaduta.

Ma il cammino del dolore di Eva doveva esser lungo e doloroso, proporzionato al suo cammino nell'esperienza di peccato.

In questo, fremito di sensi. In quello, fremito di spasimi. In questo, baci. In quello, sangue.

Da questo, un Figlio. Da quello, la morte di un Figlio.

Del prediletto per la sua bontà. Abele diviene strumento di purificazione per la colpevole.
Ma quale dolorosa purificazione!

Essa empì dei suoi ululi laTerra esterrefatta per il fratricidio e mescolò le lacrime di una madre al sangue di un Figlio, mentre colui che l'aveva sparso, in odio a Dio e al fratello amato da Dio, fuggiva inseguito dal suo rimorso.

Dice il Signore a Caino: "Perchè sei irritato?". Perchè, se tu manchi verso di Me, ti irriti che Io non ti guardi benigno?

Quanti Caini sono sulla Terra!
Essi mi danno un culto derisore e ipocrita o non me ne danno affatto, e vogliono che Io li guardi con amore e li colmi di felicità.

Dio è vostro Re.

Non vostro servo.

Dio è vostro Padre.
Ma un padre non è mai un servo, se si giudica secondo giustizia.

Dio è giusto.
Voi non lo siete.

Ma Egli lo è. E non può certo, poichè vi colma a dismisuradei suoi benefici sol che lo amiate un poco, non darvi i suoi castighi poichè tanto lo schernite.

La Giustizia non conosce due vie.

Una è la sua via. Tale fate e tale avete.

Se siete buoni, avete bene.

Se siete malvagi,avete male.

E, credetelo, è sempre molto più il bene che avete rispetto al male che dovreste avere per lavostra maniera di vivere in ribellione alla Legge divina.

È detto da Dio: "Non è vero che se farai bene avrai bene e se farai male il peccato sarà subito alla tua porta?".

Infatti il bene porta ad una costante elevazione spirituale e rende sempre più capaci di compiere un bene sempre più grande, sino ad attingere la perfezione e divenire santi.

Mentre basta cedere al male per degradarsi e allontanarsi dalla perfezione, conoscere il dominio del peccato che entra nel cuore e lo fa scendere per gradi a sempre maggiore colpevolezza.

"Ma", dice ancora Dio, "ma sotto di te sarà il desiderio di esso e tu lo devi dominare".

Si.

Dio non vi ha fatto schiavi del peccato.

Le passioni sono sotto di voi.
Non sopra di voi.

Dio vi ha dato intelligenza e forza di dominarvi.

Anche ai primi uomini, colpiti dal rigore di Dio, Egli ha lasciato intelligenza e forza morale.

Ora, poi, da quando il Redentore ha consumato per voi il Sacrificio, voi avete ad aiuto dell'intelligenza e forza i fiumi della Grazia e potete, e dovete dominare il desiderio del male.

Con la vostra volontà fortificata dalla Grazia lo dovete fare.

Ecco perchè gli angeli della mia Nascita cantarono alla Terra: "Pace agli uomini di buona volontà".

Io ero venuto per riportarvi la Grazia e, mediante il connubio di essa con la vostra buona volontà, sarebbe venuta agli uomini la Pace.

La Pace: gloria del Cielo di Dio.

“E Caino disse al fratello: Andiamo fuori”.
Menzogna che cela sotto un sorriso il tradimento che uccide.

La delinquenza è sempre menzognera. Verso le sue vittime e verso il mondo che cerca ingannare.

E vorrebbe ingannare anche Dio.

Ma Dio legge nei cuori.

"Andiamo fuori". Tanti secoli dopo, uno disse: "Salve, Maestro", e lo baciò.

I due Caini nascosero il delitto sotto un'apparenza innocua e sfogarono l'invidia, l'ira, la prepotenza loro e tutti i malvagi istinti, sulla vittima, perchè non avevano dominato se stessi, ma del proprio io corrotto avevano fatto schiavo lo spirito.

Eva sale nell'espiazione.

Caino scende verso l'inferno.

La disperazione lo prende e ve lo sprofonda. E con la disperazione, ultimo colpo mortale allo spirito già languente per il suo delitto, viene la paura fisica, vile, della punizione umana.

Non più essere memore del Cielo, l'uomo dall'anima morta è un animale che trema per la sua vita animale.

La morte, il cui aspetto è sorriso per i giusti poichè per essa essi vanno alla gioia del possesso di Dio, è terrore a coloro che sanno che morire vuol dire passare dall'inferno del cuore all'Inferno di Satana in eterno.
E come allucinati vedono dovunque vendetta pronta a colpirli.

Ma sappiate - parlo ai giusti - sappiate che se il rimorso e le tenebre di un cuore colpevole permettono e fomentano le allucinazioni del peccatore, a nessuno è lecito erigersi a giudice del fratello e tanto meno a giustiziere.

Uno solo è Giudice: Dio.

E se la giustizia dell'uomo ha creato i suoi tribunali, ad essi occorre deferire il compito di amministrare giustizia, e guai a coloro che profanano tal nome e giudicano per aculeo di passione propria o per pressione di potenze umane.

Maledizione a chi si fa giustiziere privato di un suo simile!

Ma maledizione ancor più grande a chi, senza coefficiente di impulsivo sdegno ma per freddo calcolo umano, manda a morte o a disonore di carcere senza giustizia.

Chè, se a colui che uccide chi uccise sarà dato castigo sette volte più grande, come disse il Signore sarebbe avvenuto di chi colpiva Caino, colui che senza giustizia condanna, per asservimento a Satana investe di Prepotere umano, sarà colpito settantasette volte dal rigore di Dio.

Questo occorrerebbe aver sempre presente, e specie in quest'ora (poichè nel 1944 imperversava la seconda guerra mondiale), uomini che vi uccidete a vicenda per fare dei caduti la base del vostro trionfo, e non sapete che vi scavate sotto i piedi il trabocchetto in cui precipiterete maledetti da Dio e dagli uomini.

Poichè Io ho detto: "Non ucciderai".

Eva sale sul suo cammino di espiazione.
Il pentimento cresce in lei davanti alle prove del suo peccato.

Volle conoscere il bene e il male.

E il ricordo del bene perduto le è come il ricordo del sole ad uno subitamente acciecato; e il male le sta davanti nella spoglia del figlio ucciso e intorno per il vuoto lasciato dal figlio omicida e fuggiasco. E nasce Set.

E, da Set, Enos.
Il primo sacerdote.

Voi vi gonfiate la mente dei fumi della vostra scienza e parlate di evoluzione come di un segno della vostra formazione spontanea.

L'uomo-animale evolvendosi raggiungerà il superuomo. Dite così. (Come già al Vol 1Cap 4).

Sì. Così è. Ma a modo mio. Nel campo mio. Non nel vostro.
Non passando dalla sorte di quadrumania quella di uomini.

Ma passando da quella di uomini a quella di spiriti. Tanto più crescerà lo spirito e tantopiù vi evolverete.

Voi che parlate di glandole, e vi empite la bocca parlando di ipofisi o pineale, e mettete in essa la sede della vita, presa non nel tempo che la vivete ma nei tempi che hanno preceduto e che susseguiranno la vostra vita attuale, sappiate che la vera ghiandola vostra, quella che fa di voi i possessori eterni della Vita, è lo spiritovostro.

Più questo sarà sviluppato e più possederete le luci divine e vi evolverete da uomini a dèi, immortali dèi, ottenendo così, senza contravvenire al desiderio di Dio, al suo comando circa l'albero di Vita, di possedere questa Vita proprio come Dio vuole la possediate, poichè Egli per voi l'ha creata eterna e fulgida, abbraccio beatifico con la sua eternità che vi assorbe in sè e vi comunica le sue proprietà.

Più lo spirito sarà evoluto e più conoscerete Dio.

Conoscere Dio vuol dire amarlo e servirlo, e perciò esser capaci di invocarlo per sè e per gli altri.

Divenire perciò i sacerdoti che dalla Terra pregano per i fratelli.

Poichè è sacerdote il consacrato. Ma lo è anche il credente convinto, amoroso, fedele. Lo è soprattutto l'anima vittima che immola se stessa per impulso di carità.

Non è l'abito, ma l'animo quello che Dio osserva. E in verità vi dico che, agli occhi miei, appaiono molti tonsurati che di sacerdotale non hanno che la tonsura e molti laici nei quali la Carità, che li possiede e dalla quale si lasciano consumare, è Olio dell'ordinazione che fa di essi i miei sacerdoti, ignoti al mondo ma noti aMe che li benedico
».
(La tonsura è un particolare taglio di capelli, che ai tempi della scrittrice era uno deisegni esteriori del sacerdote e del religioso).

Giovanni va a prendere la Madre

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Vedo il prediletto ancor più pallido di quando era nel cortile di Caifa insieme a Pietro. Forse perchè là la luce del fuoco acceso gli dava un riflesso caldo alle guance. Ora appare scavato come da una grave malattia ed esangue.

Il suo viso emerge dalla tunica lilla come quello di un annegato, tanto è di un pallore livido. Anche gli occhi sono offuscati, i capelli opachi e spettinati, la barba, spuntata in quelle ore, gli mette un velo chiaro sulle guance e il mento e le fa apparire, biondo-chiara come è, ancor più pallide.

Non ha più nulla del dolce ilare Giovanni, nè dell'inquieto Giovanni che poco prima, con una vampa di sdegno sul volto, a fatica si è contenuto dal malmenare Giuda.

Bussa alla porta della casa e, come se dall'interno qualcuno, timoroso di ritrovarsi di fronte Giuda, chiedesse chi è che picchia, risponde: «Sono Giovanni». L'uscio si apre ed egli entra.

Va anche lui subito nel cenacolo, non rispondendo alla padrona che gli chiede: «Ma che avviene in città?».

Si chiude dentro e cade in ginocchio contro al sedile su cui era Gesù e piange chiamandolo con dolore.

Bacia la tovaglia nel posto dove il Maestro tenne congiunte le mani, carezza il calice che fu tra le sue dita...

Poi dice: «Oh! Dio Altissimo, aiutami! Aiutami a dirlo alla Madre! Io non ho cuore!... Eppure devo dirlo. Io devo dirlo, poichè sono rimasto solo!».

Si alza e pensa. Tocca ancora il calice come per attingere forza da quell'oggetto toccato dal Maestro.
Si guarda intorno... Vede, ancora nel suo angolo dove Gesù l'ha posto, il purificatoio usato dal Maestro per asciugarsi le mani dopo la lavanda e l'altro che si era cinto alla vita. Li prende, li piega e li carezza e bacia.

Resta ancora perplesso, ritto in mezzo alla stanza vuota. Dice: «Andiamo!», ma non si muove verso la porta.
Anzi torna al tavolo e prende il calice e il pane spezzato in un angolo da Gesù per staccarne il boccone da dare a Giuda, intinto.
Li bacia e, insieme ai due purificatoi, li prende e se li tiene stretti contro al cuore come una reliquia. Ripete: «Andiamo!», e sospira.

Cammina verso la scaletta e la sale a spalle curve e a passi riluttanti e strascicati. Apre, esce.

«Giovanni, sei venuto?».
Maria è riapparsa sulla porta della sua stanza, sorreggendosi allo stipite come se non avesse forza di star ritta da sola.

Giovanni alza il capo e la guarda. Vorrebbe parlare e apre la bocca. Ma non riesce. Due lacrimoni gli rotolano giù dalle guance. Curva il capo, vergognoso della sua debolezza.

«Vieni qui, Giovanni. Non piangere. Tu non devi piangere. Tu lo hai sempre amato e fatto felice. Ciò ti conforti».

Queste parole aprono le dighe al pianto di Giovanni, che diviene tanto alto e fragoroso da fare affacciare la padrona, Maria Maddalena, la moglie di Zebedeo e le altre...

«Vieni da me, Giovanni».

Maria si stacca dallo stipite e prende per un polso il discepolo, e lo trascina dentro alla stanza come fosse un bambino, e chiude la porta piano, per isolarsi con lui.

Giovanni non reagisce. Ma, quando si sente posare sul capo la mano tremante di Maria, cade in ginocchio posando al suolo gli oggetti che aveva contro il cuore e, viso contro il suolo, tenendo un lembo della veste di Maria premuto sul suo viso convulso, singhiozza: «Perdono! Perdono! Madre, perdono!».

Maria, ritta e ambasciata, con una mano sul cuore e l'altra pendente lungo il fianco, con una voce di strazio dice: «Che ti devo perdonare, povero figliuolo? Che? A te!».

Giovanni alza il volto, mostrandolo così come è, senza più traccia di orgoglio maschile, il volto di un povero bambino piangente, e grida: «Di averlo abbandonato! Di esser fuggito! Di non averlo difeso! Oh! Maestromio! O Maestro, perdono! Dovevo morire prima di lasciarti! Madre, Madre, chi mi leverà più questo rimorso?>».

«Pace, Giovanni. Egli ti perdona, ti ha già perdonato. Non ha mai tenuto conto del tuo smarrimento. Ti ama».

Maria parla con soste fra le brevi frasi, come presa da affanno, tenendo una mano sul capo di Giovanni e una sul suo povero cuore che palpita d'angoscia.

«Ma io non l'ho saputo capire neanche ieri sera... e ho dormito mentre Egli chiedeva il conforto del nostro vegliare. Solo l'ho lasciato, il mio Gesù! E poi sono scappato quando quel maledetto è venuto coi manigoldi…»

«Giovanni, non maledire. Non odiare, Giovanni. Lascia al Padre il giudizio di farlo. Ascolta: dove è Egli,ora?».

Giovanni torna a cadere faccia a terra, piangendo più forte.

«Rispondi, Giovanni. Dove è mio Figlio?».

«Madre... io... Madre, è... Madre...».

«È condannato, lo so. Ti chiedo: dove è in questo momento».

«Ho fatto tutto il possibile perchè mi vedesse... ho cercato di ricorrere a chi è potente per ottenere pietà, per farlo... per farlo soffrire meno. Non gli hanno fatto molto male...».

«Non mentire, Giovanni. Neppure per pietà di una Madre. Non ci riusciresti. E sarebbe inutile. Io so. Da ieri sera l'ho seguito nel suo dolore. Tu non le vedi. Ma le mie carni sono contuse dai suoi stessi flagelli, ma alla mia fronte stanno le spine, ho sentito le percosse... tutto.
Ma ora... non vedo più. Ora ignoro dove è il mio Figlio condannato alla croce... alla croce... alla croce!...
Oh! Dio, dammi forza!
Egli mi deve vedere. Non devo sentire il mio dolore finchè Egli sente il suo. Quando poi sarà... finito tutto, fàmmi morire allora, o Dio, se vuoi.
Ora no.
Per Lui no.
Perchè mi veda. Andiamo, Giovanni. Dove è Gesù?
».

«Parte dalla casa di Pilato. Questo clamore è la turba che grida intorno a Lui, legato, sugli scalini delPretorio, in attesa della croce o già camminante verso il Golgota».

«Avverti tua madre, Giovanni, e le altre donne.
E andiamo.
Prendi quel calice, quel pane, quei lini... Mettili qui. Ci saranno di conforto... poi... e andiamo
».

Giovanni raccoglie gli oggetti rimasti al suolo ed esce per chiamare le donne. E Maria lo attende, passandosi sul viso quei lini come per ritrovare su essi la carezza della mano del Figlio, e bacia il calice e il pane, e mette tutto su una scansia.
E si ammanta ben stretta nel suo manto calandolo fin sugli occhi, al di sopra del velo che le fascia il capo e le si attorciglia al collo.

Non piange.
Ma trema.

E pare che l'aria le manchi tanto ansa a bocca aperta.

Giovanni rientra seguito dalle donne piangenti.

«Figlie! Tacete! Aiutatemi a non piangere! Andiamo».
E si appoggia a Giovanni, che la guida e sorregge come fosse una cieca.

La via dolorosa dal Pretorio al Calvario

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Passa qualche tempo così, non più di una mezz'ora, forse anche meno. Poi Longino, incaricato di presiedere all'esecuzione, dà i suoi ordini.

Ma prima che Gesù sia condotto fuori, nella via, per ricevere la croce e mettersi in moto, Longino, che lo ha guardato due o tre volte, con una curiosità che si tinge già di compassione e con l'occhio pratico di chi non è nuovo a certe cose, si accosta a Gesù con un soldato e gli offre un ristoro: una coppa di vino, credo.

Perchè mesce da una vera borraccia militare un liquido di un biondo-roseo chiaro. «Ti farà bene. Devi avere sete. E fuori c'è sole. E lunga è la via».

Ma Gesù risponde: «Dio ti compensi della tua pietà. Ma non te ne privare».

«Ma io sono sano e forte... Tu... Non mi privo... E poi... volentieri lo farei, se fosse, per darti un conforto...Un sorso... per mostrarmi che non odi i pagani».

Gesùnon ricusa più e beve un sorso della bevanda. Ha le mani già slegate, come non ha più canna nè clamide, e lo può fare da Sè.

E poi rifiuta, nonostante la bevanda fresca e buona dovrebbe essere di un grande ristoro alla febbre che già si manifesta, nelle striature rosse che si accendono sulle sue guance pallide e nelle labbra asciutte, screpolate.

«Prendi, prendi. È acqua e miele. Sostiene. Disseta... Mi fai pietà... sì... pietà... Non eri Tu da uccidere fra gli ebrei... ...Io non ti odio... e cercherò di farti soffrire solo il necessario».

Ma Gesù non torna a bere...
Ha veramente sete...
La tremenda sete degli svenati e dei febbrili...
Sa che non è bevanda narcotizzata e berrebbe volentieri. Ma non vuole soffrire meno. Ma io comprendo, come comprendo questo che dico per luce interna, che ancora più che l'acqua melata gli è di ristoro la pietà del romano.

«Dio ti renda in benedizione questo sollievo», dice poi.
E ha ancora un sorriso... uno straziante sorriso con la bocca enfiata, ferita, che si piega a fatica, anche perchè fra il naso e lo zigomo destro sta enfiando fortemente la forte contusione della bastonata presa nel cortile interno dopo la flagellazione.

Sopraggiungono i due ladroni, inquadrati da una decuria per uno di armati.

È l'ora di andare. Longino dà gli ultimi ordini.
Una centuria si dispone in due file distanti un tre metri l'una dall'altra ed esce così nella piazza, su cui un'altra centuria ha formato un quadrato per respingere la folla acciò non ostacoli il corteo.
Sulla piazzetta sono già degli uomini a cavallo: una decuria di cavalleria con un giovane graduato che la comanda e con le insegne.

Un soldato a piedi tiene per la briglia il morello del centurione. Longino monta in sella e va al suo posto, davanti un due metri dagli undici a cavallo.

Portano le croci. Quelle dei due ladroni sono più corte.

Quella di Gesù molto più lunga.
Io dico che l'asta verticale non lo è meno di un quattro metri. Io la vedo portata già formata.

Prima di dare la croce a Gesù, gli passano al collo la tavola con la scritta Gesù Nazzareno Re dei Giudei.

E la fune che la sostiene si impiglia nella corona, che si sposta e sgraffia dove non è già sgraffiato e penetra in nuovi posti dando nuovo dolore e facendo sgorgare nuovo sangue.

La gente ride di sadica gioia, insulta, bestemmia.

Ora sono pronti. E Longino dà l'ordine di marcia. «Per primo il Nazzareno, dietro i due ladroni; una decuria intorno ad ognuno, le altre sette decurie a fare da ala e rinforzo, e sarà responsabile il soldato che fa ferire a morte i condannati».

Gesù scende i tre scalini che dal vestibolo portano sulla piazza.

E appare subito evidente che Gesù è in condizioni di forte debolezza.

Vacilla nello scendere i tre scalini, impicciato dalla croce che preme sulla spalla tutta piagata, dalla tabella della scritta che ballonzola sul davanti e sega sul collo, dagli ondeggiamenti che imprime al corpo la lunga asta della croce, che sobbalza sugli scalini e sulle asperità del suolo.

I giudei ridono, nel vederlo come ubbriaco tentennare, e gridano ai soldati: «Urtatelo. Fatelo cadere. Nella polvere il bestemmiatore!».

Ma i soldati fanno soltanto ciò che devono, ossia ordinano al Condannato di mettersi in mezzo alla via e di camminare. Longino sprona il cavallo, e il corteo si mette in moto lentamente.

E Longino vorrebbe anche fare presto, prendendo la via più breve per andare al Golgota, perchè non è sicuro della resistenza del Condannato. Ma la teppa scatenata, e chiamarla teppa è ancora un onore, non vuole così.

Quelli che sono stati più furbi sono già corsi in avanti, al bivio dove la strada si biforca per andare da una parte verso le mura, dall'altra verso la città, e tumultuano, urlando, quando vedono che Longino tenta pigliare quella delle mura.

«Non devi! Non devi! È illegale! La Legge dice che i condannati devono essere visti dalla città dove peccarono!».

I giudei in coda al corteo comprendono che là davanti si tenta defraudarli di un diritto e uniscono le loro urla a quelle dei colleghi.

Per amor di pace, Longino piega per la via che va verso la città e ne fa un pezzo. Ma fa anche cenno ad un decurione di venirgli accosto (dico decurione perchè è il graduato, ma forse è quello che noi diremmo il suo ufficiale di ordinanza) e gli dice qualche cosa piano.
Costui torna indietro al trotto e, man mano che raggiunge ogni capo decuria, trasmette l'ordine. Poi ritorna presso Longino a riferire che è fatto. E infine raggiunge il posto di prima, nella fila dietro a Longino.

Gesù procede ansando.

Ogni buca della via è un tranello per il suo piede vacillante e una tortura per le sue spalle impiagate, per il suo capo coronato di spine su cui scende a perpendicolo un sole esageratamente caldo, che ogni tanto si nasconde dietro un tendone plumbeo di nubi.

Ma che, anche se nascosto, non cessa di ardere.

Gesù è congestionato dalla fatica, dalla febbre e dal caldo. Penso che anche la luce e gli urli gli debbano dare tormento. E, se non può tapparsi gli orecchi per non sentire quei gridi sgangherati, socchiude gli occhi per non vedere la strada abbacinante di sole...

Ma li deve anche riaprire perchè inciampa in sassi e buche, e ogni inciampone è dolore perchè smuove bruscamente la croce che urta sulla corona, che si sposta sulla spalla piagata e allarga la piaga e accresce il dolore.

I giudei non possono più colpirlo direttamente. Ma ancora qualche sasso arriva e qualche bastonata.
Il primo, specie nelle piazzette piene di folla. Le seconde, invece, nelle svolte, per le stradette tutte a scalini che salgono e scendono, ora uno, ora tre, ora più, per i continui dislivelli della città.

Lì, per forza, il corteo rallenta, e c’è sempre qualche volonteroso (!) che sfida le lance romane pur di dare un nuovo tocco al capolavoro di tortura che è ormai Gesù.

I soldati lo difendono come possono. Ma anche per difenderlo lo colpiscono, perchè le lunghe aste delle lance, brandite in così poco spazio, lo urtano e lo fanno incespicare. Ma, giunti ad un certo punto, i soldati fanno una manovra impeccabile e, nonostante gli urli e le minacce, il corteo devia bruscamente per una via che va diretta verso le mura, in discesa, una via che abbrevia molto l'andare verso il luogo del supplizio.

Gesù ansa sempre più.

Il sudore gli riga il volto insieme al sangue che gli geme dalle ferite della corona di spine. La polvere si appiccica a questo volto bagnato e lo fa maculato di macchie strane. Perchè vi è anche vento, ora. Delle folate sincopate a lunghi intervalli, in cui ricade la polvere che la folata ha alzata in vortici, che portano detriti negli occhi e nelle fauci.

Alla porta Giudiziaria sono già ammucchiate persone e persone. Quelli che, previdenti, si sono per tempo scelti un buon posto per vedere. Ma, poco prima di giungere ad essa, Gesù dà già segno di cadere.

Solo ilpronto intervento di un soldato, sul quale Egli quasi va a cadere, impedisce che Gesù vada per terra.

La gentaglia ride e urla: «Lascialo! Diceva a tutti: "Sorgete". Sorga Lui, ora...».

Oltre la porta è un torrentello e un ponticello. Nuova fatica per Gesù andare su quelle tavole sconnesse, sulle quali rimbalza ancor più fortemente la lunga asta della croce.
E nuova miniera di proiettili per i giudei.

Volano i sassi del torrente e colpiscono il povero Martire...


Ha inizio la salita del Calvario.
Una via nuda, senza un filo d'ombra, selciata a pietre sconnesse, che attacca direttamente la salita.
Anche qui, quando leggevo, ho letto che il Calvario era alto pochi metri. Sarà. Non è certo un monte. Ma un colle lo è, e non certo più basso di quello che è, rispetto ai Lungarni, il monte alle Croci, là dove è la basilica di S. Miniato, a Firenze.
Qualcuno dirà: «Oh! poca cosa!». Si, per uno sano e forte è poca cosa. Ma basta avere il cuore debole per sentire se è poca o tanta!...
Io so che, dopo che mi si ammalò il cuore, anche se ancora in forma benigna, non potevo più fare quella salita senza soffrirne molto e dovendo sostare ad ogni poco, e non avevo pesi sulle spalle.
E Gesù credo che avesse il cuore molto male a posto dopo la flagellazione e il sudore sanguigno... e non contemplo altro che queste due cose.

Gesù soffre perciò acutamente nel salire e col peso della croce che, così lunga come è, deve anche pesare molto.

Trova una pietra sporgente e siccome, sfinito come è, alza ben poco il piede, inciampa e cade sul ginocchio destro, riuscendo però a sorreggersi con la mano sinistra.
La gente urla di gioia...

Si rialza.
Procede. Sempre più curvo e ansante, congestionato, febbrile...

Il cartello che gli ballonzola davanti gli ostacola la vista; la veste lunga che, ora che Lui va curvo, strascica per terra sul davanti, gli ostacola il passo. Inciampa di nuovo e cade sui due ginocchi, ferendosi di nuovo dove è già ferito; e la croce che gli sfugge di mano e cade, dopo averlo percosso fortemente sulla schiena, lo obbliga a chinarsi a rialzarla ed a faticare per porsela sulle spalle di nuovo.

Mentre fa questo, appare nettamente visibile sulla spalla destra la piaga fatta dallo sfregamento della croce, che ha aperto le molte piaghe dei flagelli e le ha unificate in una sola che trasuda siero e sangue, di modo che la tunica bianca è in quel luogo tutta macchiata.

La gente ha persino degli applausi per la gioia di vederlo cadere così male...

Longino incita a spicciarsi, e i soldati, con colpi di piatto dati con le daghe, sollecitano il povero Gesù a procedere.

Si riprende il cammino con una lentezza sempre maggiore, nonostante ogni sollecitazione.

Gesù sembra tutt'affatto ebbro, tanto va barcollando, urtando or l'una or l'altra delle file dei soldati, tenendo tutta la via.
E la gente lo nota e urla: «Gli è andata al capo la sua dottrina. Ve', ve' come traballa! ».
E altri, e non sono popolo questi, ma sacerdoti e scribi, sogghignano: «No. Sono i festini in casa di Lazzaro che ancora fanno fumo. Erano buoni? Ora mangia il nostro cibo...», e simili altre frasi.

Longino, che si volta ogni tanto, ha pietà e ordina una sosta di qualche minuto. Ed è insultato tanto dalla plebaglia che il centurione ordina alle milizie di caricare. E la folla vile, davanti alle lance che luccicano e minacciano, si allontana urlando e gettandosi qua e là giù per il monte.

È qui che rivedo, fra i pochi rimasti, emergere da dietro una maceria, forse di qualche muretto franato, il gruppetto dei pastori.
Desolati, stravolti, polverosi, stracciati, essi chiamano a loro, con la forza degli sguardi, il loro Maestro.

Ed Egli gira il capo, li vede...
li fissa come fossero volti di angeli, pare dissetarsi e fortificarsi col loro pianto, e sorride...

Viene ridato l'ordine di marcia e Gesù passa proprio davanti a loro e ne ode il pianto angoscioso.
Torce a fatica il capo da sotto il giogo della croce e ha un nuovo sorriso...
I suoi conforti... Dieci volti... una sosta sotto al cocente sole...


E poi subito il dolore della terza completa caduta.

E questa volta non è che inciampi. Ma è che cade per subita flessione delle forze, per sincope.
Va lungo disteso, battendo il volto sulle pietre sconnesse, rimanendo nella polvere sotto la croce che gli si piega addosso.

I soldati cercano rialzarlo. Ma, poichè pare morto, vanno a riferire al centurione.

Mentre vanno e vengono, Gesù rinviene, e lentamente, con l'aiuto di due soldati, di cui uno rialza la croce e l'altro aiuta il Condannato a porsi in piedi, si rimette al suo posto.
Ma è proprio sfinito.

«Fate che non muoia che sulla croce!», urla la folla.

«Se lo fate morire avanti, ne risponderete al Proconsole, ricordatelo. Il reo deve giungere vivo al supplizio», dicono i capi degli scribi ai soldati.

Questi li fulminano con sguardi feroci, ma per disciplina non parlano.

Longino, però, ha la stessa paura dei giudei che il Cristo muoia per via, e non vuole noie. Senza bisogno che nessuno glielo ricordi, sa quale è il suo dovere di preposto alla esecuzione, e provvede.
Provvede disorientando i giudei che sono già corsi avanti per la via, raggiunta da tutte le parti del monte, sudando, graffiandosi per passare fra i rari e spinosi cespugli del monte brullo e arso, cadendo sulle macerie che lo ingombrano come fosse un luogo di sbratto per Gerusalemme, senza sentire altra pena fuorchè quella di perdere un ansito del Martire, un suo sguardo di dolore, un atto anche involontario di sofferenza, e senza altra paura che non sia quella di non giungere ad avere un buon posto.

Longino dà, dunque, ordine di prendere la via più lunga, che sale a spirale lungo il monte e che perciò è molto meno ripida.
Sembra questa un sentiero che a forza di essere percorso si sia mutato in via abbastanza comoda.

Questo incrocio di una via con l'altra avviene ad una metà circa del monte. Ma vedo che più su, per quattro volte, la strada diretta viene tagliata da questa, che va su con molto meno pendenza e molto più lunghezza in compenso.

E su questa strada sono persone che salgono, ma che non partecipano all'indegna gazzarra degli ossessi che seguono Gesù per godere dei suoi tormenti.

Donne, per la più parte, e piangenti e velate, e qualche gruppetto di uomini, molto sparuto in verità, che, più avanti di molto delle donne, sta per scomparire alla vista quando, nel proseguire, la strada gira il monte.

Qui il Calvario ha una specie di punta nella sua bizzarra struttura, fatta a muso da una parte, mentre dall'altra scoscende.
Cercherò dargliene un'idea del suo aspetto preso di profilo. Ma bisogna che volti il foglio, perchè qui mi viene male per mancanza di spazio.
(Nello schizzo che MV fa, si legge, alla base, Porta Giudiziaria al centro delle mura della Città. Poco più sopra, in parallelo, è per due volte la parola Torrente, e all'estremità destra ortaglie. La didascalia a sinistra dice: Il Calvario. La via quadrettata è quella ripida, abbandonata, per lo stato di Gesù, dove cessa il segno rosso [che va dalla "Porta Giudiziaria" al primo incrocio]. Quella rossa la via a spirale fatta poi da Gesù [a partire dal primo incrocio]. I punti segnati con le lettere D e M trovano spiegazione nel testo. Oltre alla via in rosso, MV tinteggia il monte in giallo e il torrente in bleu).

Gli uomini scompaiono dietro la punta sassosa e li perdo di vista. La gente che seguiva Gesù urla di rabbia. Era più bello, per essa, vederlo cadere. Con oscene imprecazioni al Condannato e a chi lo conduce, si dà in parte a seguire il corteo giudiziario e parte prosegue quasi di corsa su per la via ripida, per rifarsi, con un ottimo posto sulla vetta, della delusione avuta.

Le donne che vanno piangendo, e sono al punto che segno con la lettera D, si volgono nel sentire gli urli e vedono che il corteo piega per quella parte. Si fermano, allora, addossandosi al monte, per tema di essere gettate giù dalla china dai violenti giudei. Calano ancor più i loro veli sul volto. E vi è chi è completamente velata come una mussulmana, lasciando liberi solo gli occhi nerissimi.
Sono vestite molto riccamente ed hanno, a difesa, un vecchio robusto che, tutto ammantellato come è, non distinguo nel volto.
Ne vedo solo la barba lunga, e più bianca che nera, sporgere dal mantellone scurissimo.

Quando Gesù giunge alla loro altezza, esse hanno un pianto più alto e si curvano in profondo saluto.

Poi si fanno risolutamente avanti. I soldati vorrebbero respingerle con le aste. Ma quella tutta coperta come una mussulmana scosta per un attimo il velo all'alfiere, sopraggiunto a cavallo per vedere che è questo nuovo intoppo, e questo dà ordine di farla passare.

Non posso vedere nè il volto, nè il vestito, perchè lo spostamento del velo è fatto con rapidità di lampo e l'abito è tutto nascosto in un mantello lungo fino a terra, pesante, chiuso completamente da una serie di fibbie.
La mano, che per un attimo esce da là sotto per spostare il velo, è bianca e bella. Ed è, con gli occhi nerissimi, l'unica cosa che si veda di questa alta matrona, certo influente se è così ubbidita dall'aiutante di Longino.

Si accostano a Gesù piangendo e si inginocchiano ai suoi piedi mentre Egli si ferma ansante... e pure sa ancora sorridere a quelle pietose e all'uomo che le scorta, che si scopre per mostrare che è Gionata.

Ma questo le guardie non lo fanno passare. Solo le donne. Una è Giovanna di Cusa. Ed è più disfatta di quando era morente. Di rosso non ha che le righe del pianto, e poi è tutta una faccia di neve con i dolci occhi neri che, così offuscati come sono, sembrano divenuti di un viola scurissimo come certi fiori.
Ha in mano un'anfora d'argento e l'offre a Gesù. Ma Egli ricusa.

D'altronde, è tanto il suo affanno che non potrebbe neppur bere.

Con la mano sinistra si asciuga il sudore e il sangue che gli cade negli occhi e che, scorrendo lungo le guance paonazze e il collo, dalle vene turgide nel battito affannoso del cuore, bagna tutta la veste sul petto.


Un'altra donna, che ha preso una fanciulla servente con uno scrignetto fra le braccia, apre lo scrignetto, ne trae un lino finissimo, quadrato, e lo offre al Redentore.
Questo lo accetta.

E poichè non può con una mano sola fare da Sè, la pietosa lo aiuta, badando di non urtargli la corona, a posarselo sul volto.

E Gesù preme il fresco lino sulla sua povera faccia e ve lo tiene, come ne trovasse un grande ristoro.

Poi rende il lino e parla:
«Grazie Giovanna, grazie Niche,... Sara,... Marcella,... Elisa,... Lidia,... Anna,... Valeria,... e tu...

Ma... non piangete... su Me... figlie di... Gerusalemme...

Ma sui peccati... vostri e su quelli... della vostra città...

Benedici... Giovanna... di non avere... più figli...
Vedi... è pietà di Dio... non... non avere figli... perchè... soffrano di... questo.

E anche... tu, Elisabetta... Meglio... come fu... che fra i deicidi...

E voi... madri... piangete sui... figli vostri, perchè... quest'ora non passerà... senza castigo...
E che castigo, se così è per... l'Innocente...

Piangerete allora... di avere concepito... allattato e di... avere ancora... i figli...
Le madri... di allora... piangeranno perchè... in verità vi dico... che sarà fortunato... chi allora... cadrà... sotto le macerie... per primo.

Vi benedico...

Andate... a casa... pregate... per Me. Addio, Gionata... conducile via...
».

E fra un alto clamore di pianto femminile e di imprecazioni giudee Gesù si rimette in moto.

Gesù è di nuovo tutto bagnato di sudore. Sudano anche i soldati e gli altri due condannati, perchè il sole di questo giorno temporalesco è scottante come fiamma e il fianco del monte, arroventato di suo, aumenta il calore solare.

Cosa deve essere questo sole sulla veste di lana di Gesù, posta sulle ferite dei flagelli, è facile pensare e inorridire...

Ma Egli non ha mai un lamento.

Soltanto, nonostante la via sia molto meno ripida e non abbia quelle pietre sconnesse dell'altra, così pericolose al suo piede che ormai è strascicante, Gesù barcolla sempre più forte, tornando ad urtare da una fila all'altra dei soldati e piegando sempre più verso terra.

Pensano di risolvere la cosa in bene passandogli una fune alla cintura e tenendolo per due capi come fossero redini.
Si. Questo lo sostiene. Ma non lo solleva dal peso.

Anzi la fune, urtando nella croce, la fa spostare continuamente sulla spalla e picchiare nella corona, che ormai ha fatto della fronte di Gesù un tatuaggio sanguinante. Inoltre, la fune sfrega alla cintura dove sono tante ferite, e certo le deve rompere di nuovo, tanto che la tunica bianca si colora alla vita di un rosso pallido. Per aiutarlo, lo fanno soffrire più ancora.

La strada prosegue. Gira il monte, torna quasi sul davanti, verso la strada erta. Qui, nel posto che segno con la lettera M, è Maria con Giovanni.
Direi che Giovanni l'ha portata in quel posto ombroso, dietro la china del monte, per darle un poco di ristoro.
È la parte più scoscesa del monte. Non vi è che quella via che la costeggia. Sopra e sotto la costa scoscende o si inerpica ripida, e perciò è trascurata dai crudeli. Li è ombra, perchè direi che è il settentrione, e Maria, addossata come è al monte, è riparata dal sole.

Sta appoggiata al terriccio. In piedi, ma già esausta, Ella pure ansante, pallida come una morta nel suo abito blu scurissimo, quasi nero. Giovanni la guarda con pietà desolata. Anche egli ha perduto ogni traccia di colore ed è terreo, con due occhi stanchi e sbarrati, spettinato, dalle gote incavate come per malattia.

Le altre donne - Maria e Marta di Lazzaro, Maria d'Alfeo e di Zebedeo, Susanna di Cana, la padrona di casa e altre ancora che non conosco (poichè la data della presente visione precede quella della maggior parte delle visioni della vita pubblica di Gesù) - tutte sono in mezzo alla via e guardano se viene il Salvatore.

E, visto giungere Longino, accorrono presso Maria a dare la notizia.

E Maria, sorretta per un gomito da Giovanni, si stacca, maestosa nel suo dolore, dalla costa del monte e si pone risolutamente in mezzo alla strada, scansandosi solo per il sopraggiungere di Longino, che dall'alto del suo morello guarda la pallida Donna e il suo accompagnatore biondo, pallido, dai miti occhi di cielo come Lei. E crolla il capo, Longino, mentre la supera seguito dagli undici a cavallo.

Maria cerca passare fra i soldati appiedati. Ma questi, che hanno caldo e fretta, cercano respingerla con le aste, molto più che dalla via selciata volano sassi per protesta contro tante pietà.
Sono i giudei, che ancora imprecano per la sosta causata dalle pie donne e dicono: «Presto! Domani è Pasqua. (Deve qui intendersi “sabato solenne”, come in Giovanni 19, 31). Bisogna finire tutto entro sera! Complici! Derisori della nostra Legge! Oppressori! A morte gli invasori e il loro Cristo! Lo amano! Veh! come lo amano! Ma prendetelo! Mettetelo nel vostro maledetto Urbe! Ve lo cediamo! Non lo vogliamo! Le carogne alle carogne! La lebbre ai lebbrosi!».

Longino si stanca e sprona il cavallo, seguito dai dieci lancieri, contro la canea insultante, che fugge una seconda volta.
Ed è nel fare questo che vede fermo un carretto, certo salito li dalle ortaglie che sono ai piedi del monte, e che attende col suo carico di insalate che la turba sia passata per scendere verso la città.
Penso che un poco di curiosità nel Cireneo e nei suoi figli lo abbia fatto salire fin lì, perchè non era proprio necessario per lui di farlo. I due figli, sdraiati sull'alto del mucchio verdolino delle verdure, guardano e ridono dietro i giudei fuggenti. L'uomo invece, un robustissimo uomo sui quaranta-cinquant'anni, ritto presso il ciuchino che spaventato cerca di rinculare, guarda attentamente verso il corteo.

Longino lo squadra.
Pensa gli possa far comodo e ordina: «Uomo, vieni qui».

Il Cireneo finge di non sentire.

Ma con Longino non si scherza. Ripete l'ordine in un modo tale che l'uomo getta la redine ad un figlio e viene vicino al centurione.

«Vedi quell'uomo?», chiede.

E nel dire così si volge per indicare Gesù e vede a sua volta Maria, che supplica i soldati di farla passare.

Ne ha pietà e urla: «Fate passare la Donna».

Poi torna a parlare al Cireneo: «Non può più procedere così carico. Tu sei forte. Prendi la sua croce e portala per Lui sino alla cima».

«Non posso... Ho l'asino... e riottoso... i ragazzi non sanno tenerlo...».

Ma Longino dice: «Vai, se non vuoi perdere l'asino e acquistare venti colpi di castigo».

Il Cireneo non osa più reagire.
Urla ai ragazzi: «Andate a casa e presto. E dite che vengo subito», e poi va da Gesù.

Lo raggiunge proprio mentre Gesù si volge verso la Madre, che solo ora vede venire verso di Lui, perchè procede così curvo e ad occhi quasi chiusi che è come fosse cieco, e grida: «Mamma!».

È la prima parola, da quando è torturato, che esprima il suo soffrire.

Perchè in quel grido c'è la confessione di tutto e ogni suo tremendo dolore di spirito, di morale e di carne.

È il grido straziato e straziante di un bambino che muore solo, fra aguzzini, fra le peggiori torture... e che giunge ad avere paura anche del suo proprio respiro.

È il lamento di un fanciullo delirante che è straziato da visioni d'incubo... E vuole la mamma, la mamma, perchè solo il suo bacio fresco calma l'ardore della febbre, la sua voce fuga i fantasmi, il suo abbraccio fa meno paurosa la morte...

Maria si porta la mano al cuore, come ne avesse una pugnalata, e ha un lieve vacillamento. Ma si riprende, affretta il passo e, mentre va a braccia tese verso la sua Creatura straziata, grida: «Figlio!».

Ma lo dice in maniera tale che chi non ha cuore di iena se lo sente fendere per quel dolore.

Vedo che anche fra i romani vi è un moto di pietà... eppure sono uomini d'arme, non nuovi alle uccisioni, segnati da cicatrici...

Ma la parola «Mamma! » e «Figlio! » sono sempre quelle, e per tutti coloro che, ripeto, non sono peggio delle iene, e sono dette e comprese dovunque, e dovunque sollevano onde di pietà...

Il Cireneo ha questa pietà... E poichè vede che Maria non può abbracciare il suo Figlio per via della croce e, dopo avere teso le braccia, le lascia ricadere, persuasa di non poterlo fare - e lo guarda soltanto, volendo sorridere del suo martire sorriso per rincuorarlo, mentre le labbra tremanti bevono il pianto, e Lui, torcendo il capo da sotto il giogo della croce, cerca a sua volta di sorriderle e di inviarle un bacio con le povere labbra ferite e spaccate dalle percosse e dalla febbre - si affretta a levare la croce, e lo fa con delicatezza di padre, per non urtare la corona o strofinare sulle piaghe.

Ma Maria non può baciare la sua Creatura...

Anche il tocco più lieve sarebbe tortura sulle carni lacerate, e Maria se ne astiene, e poi... i sentimenti più santi hanno un pudore profondo. E vogliono rispetto o almeno compassione. Qui è curiosità e soprattutto scherno. Si baciano solo le due anime angosciate. Il corteo, che si rimette in moto sotto la spinta delle ondate di popolo furente che preme dal fondo, li divide, respingendo la Madre contro il monte, allo scherno di tutto un popolo...

Ora dietro a Gesùè il Cireneo con la croce.

E Gesù, libero di quel peso, procede meglio.

Ansa fortemente, si porta sovente la mano al cuore, come avesse un grande dolore, una ferita lì, alla regione sterno-cardiaca, e ora che può, non avendo più le mani legate, si respinge i capelli caduti in avanti, tutti collosi di sangue e sudore, fin dietro le orecchie, per sentire aria sul volto cianotico, si slaccia il cordone del collo, per la sofferenza del respiro... Ma può camminare meglio.

Maria si è ritirata con le donne. Si accoda al corteo quando è passato e poi, per una scorciatoia, si dirige alla vetta del monte, sfidando gli improperi della plebe cannibalesca.

Ora che Gesùè libero, si compie abbastanza presto l'ultimo anello del monte, e già si è prossimi alla cima tutta piena di popolo urlante.

Longino si ferma e dà ordine che tutti, inesorabilmente, siano respinti più in basso, perchè la cima, luogo di esecuzione, sia libera.
E metà centuria eseguisce l'ordine, accorrendo sul posto e respingendo senza pietà chiunque là si trova, usando daghe e aste per questo. Sotto la grandine delle piattonate e delle bastonate, i giudei della cima fuggono. E vorrebbero collocarsi nella sottostante spianata. Ma quelli che già sono in essa non cedono, e fra la gente si accendono risse feroci.
Sembrano tutti pazzi.

Come le ho detto lo scorso anno (a Padre Migliorini, vedi nota al Vol 9 Cap 587), il Calvario, nella sua cima, ha la forma di un trapezio irregolare, lievemente più alto nel lato A, dopo il quale il monte scoscende ripido per oltre metà della sua altezza.

Su questa piazzuola sono già pronti tre buchi profondi, tappezzati di mattoni o lavagne, costruiti apposta, insomma. Vicino ad essi sono pietre e terra pronte per rincalzare le croci. Altri buchi invece sono stati lasciati pieni di pietre. Si capisce che li svuotano di volta in volta per il numero che serve.

Sotto la cima trapezoidale, dalla parte che il monte non scoscende, vi è una specie di piattaforma degradante dolcemente, che fa una seconda piazzuola. Da questa partono due larghi sentieri che costeggiano la cima, di modo che questa è isolata e sopraelevata di almeno due metri da tutti i lati.

I soldati, che hanno respinto la folla dalla cima, domano, a colpi persuasivi di aste, le risse, e fanno largo perchè il corteo possa sfilare senza ostacoli nell'ultimo pezzo di strada, e restano lì a fare ala mentre i tre condannati, inquadrati dai cavalieri e protetti dall'altra metà centuria alle spalle, giungono fino al punto dove vengono fatti fermare: ai piedi del naturale palco sopraelevato che è la cima del Golgota.

Mentre ciò avviene, scorgo le Marie al punto che segno con un M, e un poco dietro a loro sono Giovanna di Cusa con altre quattro delle dame di prima. Le altre si sono ritirate. E devono averlo fatto da sole, perchè Gionata è là, dietro alla sua padrona. Non c'è più quella che noi diciamo Veronica e che Gesù ha detta Niche, e con lei manca la sua servente. E anche quella tutta velata, che fu obbedita dai soldati, non c’è più. Vedo Giovanna, la vecchia chiamata Elisa, Anna (è la padrona di quella casa dove Gesùva alla vendemmia del primo anno, vedi Vol 2 Cap 108 ) e due che non so identificare meglio.

Dietro queste donne e le Marie vedo Giuseppe e Simone d'Alfeo, e Alfeo di Sara insieme al gruppo dei pastori. Hanno colluttato con chi li voleva respingere insultandoli, e la forza di questi uomini, che l'amore e il dolore moltiplicano, è stata così violenta che hanno vinto, creando un semicerchio libero contro il quale i vilissimi giudei non osano che lanciare grida di morte e tendere i pugni. Ma non di più, perchè i bastoni dei pastori sono nodosi e pesanti, e la forza e la mira non manca a questi prodi. E non dico male a dire così.
Ci vuole un vero coraggio a stare in pochi, noti per galilei o seguaci del Galileo, contro tutta una popolazione ostile.

L'unico punto di tutto il Calvario dove non si bestemmi il Cristo!

Il monte, dai tre lati che scendono non ripidi a valle, è tutto un formicolaio di folla. La terra giallastra e nuda non si vede più. Sotto il sole che va e viene pare un prato fiorito di corolle di tutti i colori, tanto sono fitti i copricapi e i mantelli dei sadici che lo coprono. Oltre torrente, per la via, altra folla; oltre le mura, altra ancora. Sulle terrazze più vicine, altra ancora. Il resto della città nudo... vuoto... silenzioso. Tutto è qui. Tutto l'amore e tutto l'odio. Tutto il Silenzio che ama e perdona. Tutto il Clamore che odia e impreca.

Mentre gli uomini preposti all'esecuzione preparano i loro strumenti finendo di svuotare le buche, e i condannati aspettano al centro del loro quadrato, i giudei, rifugiati nell'angolo opposto alle Marie, le insultano.

Anche la Madre insultano: «A morte i galilei. A morte! Galilei! Galilei! Maledetti! A morte il Bestemmiatore galileo. Inchiodate sulla croce anche il seno che lo ha portato! Via le vipere che partoriscono i demoni! A morte! Mondate Israele dalle femmine congiunte col capro!… ».

Longino, che è smontato da cavallo, si volta e vede la Madre...

Ordina di far cessare quella gazzarra... La mezza centuria, che era alle spalle dei condannati, carica la marmaglia e sgombera del tutto la seconda piazzuola, mentre i giudei scappano per il monte pestandosi gli uni con gli altri. Smontano anche gli altri soldati, e uno prende gli undici cavalli, oltre quello del centurione, e li porta all'ombra, dietro il costolone B del monte.

Il centurione si avvia verso la vetta. Giovanna di Cusa si fa avanti, lo ferma. Gli dà l'anfora e una borsa. E poi si ritira piangendo, andando contro lo spigolo del monte con le altre.

In alto è pronto tutto. Vengono fatti salire i condannati.

E Gesù passa ancora una volta presso la Madre, che ha un gemito che Ella stessa cerca frenare portandosi il mantello sulla bocca.

I giudei vedono e ridono e deridono. Giovanni, il mite Giovanni, che ha un braccio dietro le spalle di Maria per sorreggerla, si volge con uno sguardo feroce. Ha persino l'occhio fosforescente. Se non avesse da tutelare le donne, io credo che prenderebbe qualcuno dei vili per la gola.

Non appena i condannati sono sul palco fatale, i soldati circondano la piazzuola da tre lati. Non resta vuoto che quello a strapiombo.

Il centurione dà ordine al Cireneo di andarsene.
E questi se ne va, a malincuore ora, e non direi per sadismo, ma per amore. Tanto che si ferma presso i galilei, dividendo con essi gli insulti che la folla elargisce a questi sparuti fedeli del Cristo.
I due ladroni gettano al suolo le loro croci bestemmiando.

Gesù tace.
La via dolorosa è terminata.

La crocifissione, la morte e la deposizione dalla croce

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Quattro nerboruti uomini, che per l'aspetto mi paiono giudei, e giudei degni della croce più dei condannati, certo della stessa categoria dei flagellatori, saltano da un sentiero sul luogo del supplizio. Sono vestiti di tuniche corte e sbracciate ed hanno in mano chiodi, martelli e funi che mostrano con lazzi ai tre condannati.

La folla si agita in un delirio crudele.

Il centurione offre a Gesù l'anfora perchè beva la mistura anestetica di vino mirrato. Ma Gesù la rifiuta. I due ladroni invece ne bevono molta. Poi l'anfora, dall'ampia bocca svasata, viene posta presso un grosso sasso, quasi sullo scrimolo della cima.

Viene dato l'ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza nessun pudore. Anzi si divertono a fare atti osceni verso la folla e specie verso il gruppo sacerdotale, tutto candido nelle sue vesti di lino e che è piano piano tornato sulla piazzetta più bassa, usando della sua qualità per insinuarsi lì. Ai sacerdoti si sono uniti due o tre farisei e altri prepotenti personaggi, che l'odio fa amici. E vedo persone di conoscenza, come il fariseo Giocana e Ismaele, lo scriba Sadoch, Eli di Cafarnao...

I carnefici offrono tre stracci ai condannati perchè se li leghino all'inguine. E i ladroni li pigliano con più orrende bestemmie.

Gesù, che si spoglia lentamente per lo spasimo delle ferite, lo ricusa. Forse pensa conservare le corte brache che ha tenute anche nella flagellazione. Ma, quando gli viene detto di levarsi anche le stesse, Egli tende la mano per mendicare lo straccio dei boia a difesa della sua nudità.
È proprio l'Annichilito fino a dover chiedere uno straccio ai delinquenti.

Ma Maria ha visto e si è sfilata il lungo e sottile telo bianco, che le vela il capo sotto al manto oscuro e nel quale Ella ha già versato tanto pianto. Se lo leva senza far cadere il manto, lo dà a Giovanni perchè lo porga a Longino per il Figlio.

Il centurione prende il velo senza fare ostacolo e, quando vede che Gesù sta per denudarsi del tutto, stando voltato non verso la folla ma verso la parte vuota di popolo, mostrando così la sua schiena rigata di lividi e di vesciche, sanguinante di ferite aperte o dalle croste oscure, gli porge il lino materno.
E Gesùlo riconosce.

Se ne avvolge a più riprese il bacino, assicurandoselo per bene perchè non caschi... E sul lino, fino allora solo bagnato di pianto, cadono le prime gocce di sangue, perchè molte delle ferite, appena coperte di coagulo, nel chinarsi per levarsi i sandali e deporre le vesti si sono riaperte e il sangue riprende a sgorgare.

Ora Gesù si volge verso la folla.
E si vede così che anche il petto, le braccia, le gambe sono tutte state colpite dai flagelli. All'altezza del fegato è un enorme livido, e sotto l'arco costale sinistro vi sono nette sette righe in rilievo, terminate da sette piccole lacerazioni sanguinanti fra un cerchio violaceo... un colpo feroce di flagello in quella zona tanto sensibile del diaframma.
I ginocchi, contusi dalle ripetute cadute, iniziate subito dopo la cattura e terminate sul Calvario, sono neri di ematoma e aperti sulla rotula, specie il destro, in una vasta lacerazione sanguinante.

La folla lo schernisce come in coro: (con citazione da: Salmo 45, 3; Cantico dei cantici 5, 10-16; e con allusioni a: Numeri 12; Deuteronomio 24, 9) «Oh! Bello! Il più bello dei figli degli uomini! Le figlie di Gerusalemme ti adorano...».
E intona, con tono di salmo: «Il mio diletto è candido e rubicondo, distinto fra mille e mille. La sua testa è oro puro, i suoi capelli grappoli di palma, setosi come piuma di corvo. Gli occhi son come due colombe bagnantesi ai ruscelli non d'acqua ma di latte, nel latte della sua orbita. Le sue guance sono aiuole di aromi, le sue labbra porpurei gigli stillanti preziosa mirra. Le sue mani tornite come lavoro d'orafo terminate in rosei giacinti. Il suo tronco è avorio venato di zaffiri. Le sue gambe, perfette colonne di candido marmo su basi d'oro. La sua maestà è come quella del Libano; imponente egli è più dell'alto cedro. La sua lingua è intrisa di dolcezza ed egli è tutto delizia»; e ridono e urlano anche: «Il lebbroso! Il lebbroso! Hai dunque fornicato con un idolo se Dio ti ha così colpito? Hai mormorato contro i santi di Israele come Maria di Mosè, se sei stato così punito? Oh! Oh! il Perfetto! Sei il Figlio di Dio? Ma no! L'aborto di Satana sei! Almeno egli, Mammona, è potente e forte. Tu... sei uno straccio impotente e schifoso».

I ladroni sono legati sulle croci e vengono portati al loro posto, uno a destra, uno a sinistra, rispetto al posto destinato a Gesù. Urlano, imprecano, maledicono e, specie quando le croci vengono portate presso il buco e li sconquassano facendo segare i polsi dalle funi, le loro bestemmie a Dio, alla Legge, ai romani, ai giudei, sono infernali.


È la volta di Gesù.
Egli si stende mite sul legno.

I due ladroni erano tanto ribelli che, non bastando a farlo i quattro boia, erano dovuti intervenire dei soldati a tenerli, perchè a calci non respingessero gli aguzzini che li legavano per i polsi.

Ma per Gesù non c'è bisogno di aiuto. Si conca e mette il capo dove gli dicono di metterlo. Apre le braccia come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli ordinano. Si è solo preoccupato di accomodarsi per bene il suo velo.

Ora il suo lungo corpo, snello e bianco, spicca sul legno oscuro e sul suolo giallo.

Due carnefici gli si siedono sul petto per tenerlo fermo. E io penso che oppressione e che dolore deve aver provato sotto quel peso. Un terzo gli prende il braccio destro, tenendolo con una mano sulla prima porzione dell'avambraccio e l'altra al termine delle dita. Il quarto, che ha già in mano il lungo chiodo acuminato sulla punta quadrangolare nel fusto, terminato in una piastra rotonda e piatta, larga come un soldone dei tempi passati, guarda se il buco già fatto nel legno corrisponde alla giuntura radio-ulnare del polso. Va bene.

Il boia appoggia la punta del chiodo al polso, alza il martello e dà il primo colpo.

Gesù, che aveva gli occhi chiusi, all'acuto dolore ha un grido e una contrazione, e spalanca gli occhi nuotanti fra le lacrime. Deve essere un dolore atroce quello che prova... Il chiodo penetra spezzando muscoli, vene, nervi, frantumando ossa...

Maria risponde al grido della sua Creatura torturata con un gemito che ha quasi del lamento di un agnello sgozzato, e si curva, come spezzata, tenendosi la testa fra le mani. Gesù, per non torturarla, non grida più.

Ma i colpi ci sono, metodici, aspri, di ferro contro ferro... e si pensa che sotto è un membro vivo quello che li riceve.


La mano destra è inchiodata.


Si passa alla sinistra.
Il foro non corrisponde al carpo. Allora prendono una fune, legano il polso sinistro e tirano fino a slogare la giuntura e a strappare tendini e muscoli, oltre che lacerare la pelle già segata dalle funi della cattura.
Anche l'altra mano deve soffrire, perchè è stirata per riflesso, e intorno al suo chiodo si allarga il buco. Ora si arriva appena all'inizio del metacarpo, presso il polso.

Si rassegnano e inchiodano dove possono, ossia fra il pollice e le altre dita, proprio al centro del metacarpo. Qui il chiodo entra più facilmente ma con maggiore spasimo, perchè deve recidere nervi importanti, tanto che le dita restano inerti, mentre le altre della destra hanno contrazioni e tremiti che denunciano la loro vitalità.

Ma Gesù non grida più, ha solo un lamento roco dietro le labbra fortemente chiuse, e lacrime di spasimo cadono per terra dopo esser cadute sul legno.


Ora è la volta dei piedi.
A un due metri e più dal termine della croce è un piccolo cuneo, appena sufficiente ad un piede.
Su questo vengono portati i piedi per vedere se va bene la misura. E dato che è un poco in basso e i piedi arrivano male, stiracchiano per i malleoli il povero Martire.

Il legno scabro della croce sfrega così sulle ferite, smuove la corona che si sposta strappando nuovi capelli e minaccia di cadere.

Un boia gliela ricalca sul capo con una manata...

Ora, quelli che erano seduti sul petto di Gesù si alzano per spostarsi sui ginocchi, dato che Gesù ha un movimento involontario di ritirare le gambe, vedendo brillare al sole il lunghissimo chiodo, lungo il doppio e largo il doppio di quello usato per le mani.
E pesano sui ginocchi scorticati, e premono sui poveri stinchi contusi, mentre gli altri due compiono l'operazione, molto più difficile, dell'inchiodatura di un piede sull'altro, cercando di combinare le due giunture dei tarsi insieme.

Per quanto guardino e tengano fermi i piedi, al malleolo e alle dita, contro il cuneo, il piede sottoposto si sposta per la vibrazione del chiodo, e lo devono schiodare quasi, perchè, dopo essere entrato nelle parti molli, il chiodo, già spuntato per avere perforato il piede destro, deve essere portato un poco più in centro.

E picchiano, picchiano, picchiano...

Non si sente che l'atroce rumore del martello sulla testa del chiodo, perchè tutto il Calvario non è che occhi e orecchie tese, per raccogliere atto e rumore e gioirne...

Sul suono aspro del ferro è un lamento in sordina di colomba: il gemere roco di Maria, che sempre più si curva, ad ogni colpo, come se il martello piagasse Lei, la Madre Martire.
Ed ha ragione di parere prossima ad essere spezzata da quella tortura. La crocifissione è tremenda. Pari alla flagellazione in spasimo, più atroce a vedersi, perchè si vede scomparire il chiodo fra le carni vive. Ma in compenso è più breve. Mentre la flagellazione spossa per la sua durata. Per me, l'agonia dell'Orto, la flagellazione e la crocifissione sono i momenti più atroci. Mi svelano tutta la tortura del Cristo. La morte mi solleva, perchè dico: «È finito!». Ma queste non sono fine. Sono principio a nuove sofferenze.


Ora la croce è strascinata presso il buco e rimbalza, scuotendo il povero Crocifisso, sul suolo ineguale. Viene issata la croce, che sfugge per due volte a coloro che la alzano e ricade una volta di schianto, un'altra sul braccio destro della stessa, dando un aspro tormento a Gesù, perchè la scossa subita smuove gli arti feriti.

Ma quando poi la croce viene lasciata cadere nel suo buco e, prima di essere assicurata con pietre e terriccio, ondeggia in tutti i sensi, imprimendo continui spostamenti al povero Corpo sospeso a tre chiodi, la sofferenza deve essere atroce. Tutto il peso del corpo si sposta in avanti e in basso, e i buchi si allargano, specie quello della mano sinistra, e si allarga il foro nei piedi mentre il sangue spiccia più forte.
E se quello dei piedi goccia lungo le dita per terra e lungo il legno della croce, quello delle mani segue gli avambracci, perchè sono più alti al polso che all'ascella per forza della posizione, e riga anche le coste scendendo dall'ascella verso la cintura.
La corona, quando la croce ondeggia prima di essere fissata, si sposta, perchè il capo ribatte all'indietro, conficcando nella nuca il grosso nodo di spini che termina la pungente corona, e poi torna ad adagiarsi sulla fronte e graffia, graffia senza pietà.

Finalmente la croce è assicurata e non c'è che il tormento dell'essere appeso.

Issano anche i ladroni, i quali, una volta messi verticalmente, urlano come fossero scotennati vivi per la tortura delle funi, che segano i polsi e fanno divenire nere le mani, con le vene gonfie come corde.

Gesùtace.

La folla non tace più, invece. Ma riprende il suo vocio infernale.

Ora la cima del Golgota ha il suo trofeo e la sua guardia d'onore.

Al limite più alto (lato A) la croce di Gesù.

Al lato B e C le altre due.

Mezza centuria di soldati, con le armi al piede, tutto intorno alla vetta; dentro a questo cerchio d'armati, i dieci appiedati, che giocano a dadi le vesti dei condannati. Ritto in piedi, fra la croce di Gesùe quella di destra, Longino. E pare monti la guardia d'onore al Re Martire. L'altra mezza centuria, in riposo, è agli ordini dell'aiutante di Longino sul sentiero di sinistra e sulla piazzuola più bassa, in attesa di essere adoperata se ce ne sarà bisogno.
Nei soldati c'è l'indifferenza quasi totale. Solo qualcuno alza ogni tanto il volto ai crocifissi.

Longino invece osserva tutto con curiosità e interesse, confronta e mentalmente giudica. Confronta i crocifissi, e specie il Cristo, e gli spettatori. Il suo occhio penetrante non perde un particolare. E per vedere meglio fa solecchio con la mano, perchè il sole gli deve dare noia.

È infatti un sole strano. Di un giallo rosso d'incendio. E poi pare che l'incendio si spenga di colpo per un nuvolone di pece che sorge da dietro le catene giudee e che corre veloce per il cielo, scomparendo dietro ad altri monti. E quando il sole ritorna fuori è così vivo che l'occhio non lo sopporta che male.

Nel guardare vede Maria, proprio sotto il balzo, che tiene alzato verso il Figlio il suo volto straziato. Chiama uno dei soldati che giuocano a dadi e gli dice: «Se la Madre vuole salire col figlio che l'accompagna, venga. Scortala e aiutala».

E Maria con Giovanni, creduto «figlio», sale per la scaletta incisa nella roccia tufacea, credo, e penetra oltre il cordone dei soldati andando ai piedi della croce, ma un poco scosta per essere vista e per vedere il suo Gesù.

La folla le propina subito i più obbrobriosi insulti. Accomunandola nelle bestemmie al Figlio.

Ma Ella, con le labbra tremanti e sbiancate, cerca solo di dargli conforto, con un sorriso straziato su cui si asciugano le lacrime che nessuna forza di volontà riesce a trattenere negli occhi. La gente, cominciando dai sacerdoti, scribi, farisei, sadducei, erodiani e simili, si procura lo spasso di fare come un carosello, salendo dalla strada erta, passando lungo il rialzo finale e scendendo per l'altra via, o viceversa. E mentre passano ai piedi della vetta, sulla seconda piazzuola, non mancano di offrire le loro parole blasfeme come omaggio al Morente.

Tutta la turpitudine, la crudeltà, l'odio e l'insania di cui sono capaci gli uomini con la lingua, vengono ampiamente testificate da queste bocche d'inferno.

I più accaniti sono i membri del Tempio, coi farisei per aiuto. «Ebbene? Tu, Salvatore dell'uman genere, perchè non ti salvi? Ti ha abbandonato il tuo re Belzebù? Ti ha rinnegato?», urlano tre sacerdoti.
E un branco di giudei: «Tu che non più tardi di or sono cinque giorni, con l'aiuto del Demonio, facevi dire al Padre... ah! ah! ah! che ti avrebbe glorificato, come mai non gli ricordi di mantenere la sua promessa?».

E tre farisei: «Bestemmiatore! Ha salvato gli altri, diceva, con l'aiuto di Dio! E non riesce a salvare Se stesso! Vuoi che ti si creda? E allora fai il miracolo. Non puoi più, eh? Ora hai le mani inchiodate, e sei nudo».

E dei sadducei ed erodiani ai soldati: «Attenti alla malia, voi che vi siete prese le sue vesti! Ha dentro il segno infernale!».

Una folla in coro: «Scendi dalla croce e ti crederemo. Tu che distruggi il Tempio... Folle!... Guardalo là, il glorioso e santo Tempio d'Israele. È intoccabile, o profanatore! E Tu muori».

Altri sacerdoti: «Blasfemo! Figlio di Dio, Tu? E scendi di lì, allora. Fulminaci, se sei Dio. Non ti temiamo e sputiamo verso Te».

Altri che passano e scrollano il capo: «Non sa che piangere. Salvati, se è vero che sei l'Eletto!».

I soldati: «E salvati, dunque! Incenerisci questa suburra della suburra! Sì! Suburra dell'Impero siete, giudei canaglie. Fàllo! Roma ti metterà in Campidoglio e ti adorerà come un nume! ».

I sacerdoti coi loro compari: «Erano più dolci le braccia delle femmine di quelle della croce, non è vero? Ma, guarda, sono già lì pronte a riceverti le tue... (e dicono un termine infame). Ci hai tutta Gerusalemme a farti da pronuba». E fischiano come carrettieri.

Altri lanciando dei sassi: «Muta questi in pane, Tu, moltiplicatore dei pani».

Altri, scimmiottando gli osanna della domenica delle palme, lanciano dei rami e gridano: «Maledetto colui che viene in nome del Demonio! Maledetto il suo regno! Gloria a Sionne che lo recide di fra i vivi!».

Un fariseo si piazza di fronte alla croce, e mostra il pugno facendo le corna e dice: «"Ti affido al Dio del Sinai", Tu dicesti? (Vol 2 Capp 109 e 126). Ora il Dio del Sinai ti prepara al fuoco eterno. Perchè non chiami Giona a renderti il buon servizio?».

Un altro: «Non rovinare la croce con i colpi della tua testa. Deve servire per i tuoi seguaci. Una intera legione ne morirà sul tuo legno, te lo giuro su Jeovè. E per primo ci metterò Lazzaro. Vedremo se Tu lo levi di morte, ora».

«Sì! Si! Andiamo da Lazzaro. Inchiodiamolo dall'altro lato della croce», e pappagallescamente fanno la parlata lenta di Gesù dicendo: «Lazzaro, amico mio, vieni fuori! Slegatelo e lasciatelo andare!».
«No! Diceva a Marta e Maria, le sue femmine: "Io sono la Risurrezione e la Vita". Ah! Ah! Ah! La Risurrezione non sa mandare indietro la morte, e la Vita muore!».

«Ecco là Maria con Marta. Chiediamo dove è Lazzaro e andiamolo a cercare». E si fanno avanti, verso le donne, chiedendo arrogantemente: «Dove è Lazzaro? Al palazzo?».


E Maria Maddalena, mentre le altre terrorizzate fuggono dietro i pastori, si fa avanti, ritrovando nel suo dolore la antica baldanza dei tempi di peccato, e dice:
«Andate. Troverete già in palazzo i soldati di Roma e cinquecento armati delle mie terre, che vi castreranno come vecchi caproni destinati al pasto degli schiavi alle macine».

«Sfrontata! Così parli ai sacerdoti?».

«Sacrileghi! Turpi! Maledetti! Volgetevi! Alle spalle avete, io le vedo, le lingue delle fiamme infernali».

I vili si volgono, veramente terrorizzati, tanto è sicura l'affermazione di Maria; ma, se non hanno le fiamme alle spalle, hanno alle reni le ben pontute lance romane. Perchè Longino ha dato un ordine e la mezza centuria che era in riposo è entrata in fazione e punge alle natiche i primi che trova. Questi fuggono urlando e la mezza centuria resta a chiudere gli imbocchi delle due strade e a fare baluardo alla piazzuola. I giudei imprecano, ma Roma è la più forte. La Maddalena riabbassa il suo velo - se lo era alzato per parlare agli insultatori - e torna al suo posto. Le altre si riuniscono a lei.


Ma il ladrone di sinistra continua gli insulti dalla sua croce. Pare si sia fatto il condensatore di tutte le bestemmie altrui e le snocciola tutte, terminando: «Salvati e salvaci, se vuoi che ti si creda. Il Cristo Tu? Un folle sei! Il mondo è dei furbi e Dio non c'è. Io ci sono. Questo è vero, e per me tutto è lecito. Dio?... Fola! Messa per tenerci quieti. Viva il nostro io! Lui solo è re e Dio!».


L'altro ladrone, che è a destra ed ha quasi ai piedi Maria, e la guarda quasi più che non guardi Cristo, e da qualche momento piange mormorando: «la Madre», dice: «Taci. Non temi Dio neppure ora che soffri questa pena? Perchè insulti chi è buono? È in un supplizio ancor più grande del nostro. E non ha fatto nulla di male».

Ma il ladrone continua le sue imprecazioni.


Gesùtace.

Anelante per lo sforzo della posizione, per la febbre, per lo stato cardiaco e respiratorio, conseguenza della flagellazione subita in forma tanto violenta, e anche dell'angoscia profonda che gli aveva fatto sudar sangue, cerca trovare un sollievo, alleggerendo il peso che grava sui piedi, sospendendosi alle mani e facendo forza con le braccia. Forse lo fa anche per vincere un poco il crampo che già tormenta i piedi e che si tradisce con il tremito muscolare. Ma lo stesso tremore è nelle fibre delle braccia, che sono sforzate in quella posizione e devono essere gelate nelle loro estremità, perchè poste più in alto e abbandonate dal sangue, che a fatica giunge ai polsi e poi ne geme dai buchi dei chiodi lasciando senza circolazione le dita.

Specie quelle della sinistra sono già cadaveriche e stanno senza moto, ripiegate verso il palmo. Anche le dita dei piedi esprimono il loro tormento. Specie gli alluci, forse perchè meno è leso il loro nervo, si alzano, si abbassano, si divaricano.

Il tronco, poi, svela tutta la sua pena col suo movimento, che è veloce ma non profondo, ed affatica senza dare sollievo. Le coste, molto ampie e alte di loro, perchè la struttura di questo Corpo è perfetta, sono ora dilatate oltre misura per la posizione assunta dal corpo e per l'edema polmonare che certo si è formato nell'interno. Eppure non servono ad alleggerire lo sforzo respiratorio, tanto che tutto l'addome aiuta col suo muoversi il diaframma, che sempre più si va paralizzando.

E la congestione e l'asfissia aumentano di minuto in minuto, come lo indicano il colorito cianotico che sottolinea le labbra, di un rosso acceso dalla febbre, e le striature di un rosso violaceo, che spennellano il collo lungo le giugulari turgide e si allargano fino sulle guance, verso le orecchie e le tempie, mentre il naso è affilato e esangue, e gli occhi affondano in un cerchio che è livido dove è privo del sangue colato dalla corona.

Sotto l'arco costale sinistro si vede l'urto propagato dalla punta cardiaca, irregolare, ma violento, e ogni tanto, per una convulsione interna, il diaframma ha un fremito profondo che si rivela da una distensione totale della pelle, per quanto può stendersi su quel povero Corpo ferito e morente. Il Volto ha già l'aspetto che vediamo nelle fotografie della Sindone, col naso deviato e gonfio da una parte; e anche il tenere l'occhio destro quasi chiuso, per il gonfiore che è da questo lato, aumenta la somiglianza. La bocca, invece, è aperta, con la sua ferita sul labbro superiore ormai ridotta ad una crosta.

La sete, data dalla perdita di sangue, dalla febbre e dal sole, deve essere intensa, tanto che Egli, con mossa macchinale, beve le stille del suo sudore e del suo pianto, e anche quelle del sangue che scende dalla fronte fin sui baffi, e si bagna con queste la lingua...

La corona di spine gli vieta di appoggiarsi al tronco della croce per aiutare la sospensione sulle braccia e alleggerire i piedi. Le reni e tutta la spina si arcua verso l'esterno, stando staccato dal tronco della croce dal bacino in su per forza di inerzia che fa pendere in avanti un corpo sospeso come era il suo. I giudei, respinti oltre la piazzuola, non cessano di insultare, e il ladrone impenitente fa eco. L'altro, che ora guarda con sempre maggiore pietà la Madre e piange, lo rimbecca aspramente quando sente che nell'insulto è compresa anche Lei.

«Taci. Ricordati che sei nato da una donna. E pensa che le nostre han pianto per causa dei figli. E furono lacrime di vergogna... perchè noi siamo delinquenti. Le nostre madri sono morte... Io vorrei poterle chiedere perdono... Ma lo potrò? Era una santa... L'ho uccisa col dolore che le davo... Io sono un peccatore... Chi mi perdona? Madre, in nome del tuo Figlio morente, prega per me».

La Madre alza per un momento il suo viso straziato e lo guarda, questo sciagurato che attraverso al ricordo di sua madre e alla contemplazione della Madre va verso il pentimento, e pare lo carezzi col suo sguardo di colomba.

Disma piange più forte. Cosa che scatena ancora di più gli schemi della folla e del compagno. La prima urla: «Bravo! Pigliati questa per Madre. Così ha due figli delinquenti! ». E l'altro rincara: «Ti ama perchè sei una copia minore del suo beneamato».


Gesù parla per la prima volta: «Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!».


Questa preghiera vince ogni timore in Disma. Osa guardare il Cristo e dice: «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno. Io è giusto che qui soffra. Ma dammi misericordia e pace oltre la vita. Una volta ti ho sentito parlare e, folle, ho respinto la Tua parola. Ora me ne pento. E dei miei peccati me ne pento davanti aTe, Figlio dell'Altissimo.
Io credo che Tu venga da Dio. Io credo nel tuo potere. Io credo nella Tua misericordia. Cristo, perdonami in nome di Tua Madre e del tuo Padre santissimo».

Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata.
Dice: «Io te lo dico: oggi tu sarai meco in Paradiso».

Il ladrone pentito si mette calmo e, non sapendo più le preghiere imparate da bambino, ripete come una giaculatoria:
«GesùNazareno, Re dei giudei, pietà di me; GesùNazareno, Re dei giudei, io spero in Te; Gesù Nazareno, Re dei giudei, io credo nella tua Divinità».

L'altro continua nelle sue bestemmie.

Il cielo si fa sempre più fosco. Ora difficilmente le nubi si aprono per fare passare il sole. Ma anzi si accavallano a più e più strati plumbei, bianchi, verdognoli, si sormontano, si dipanano secondo i giuochi di un vento freddo, che a intervalli scorre il cielo e poi scende sulla terra e poi tace di nuovo, ed è quasi più sinistra l'aria quando tace, afosa e morta, di quando fischia tagliente e veloce.
La luce, prima viva fin oltre misura, si va facendo verdastra. E i volti prendono bizzarri aspetti.

I soldati, sotto i loro elmi e nelle loro corazze, prima lucenti ed ora divenute come appannate nella luce verdastra e sotto il cielo di cenere, mostrano i duri profili come scalpellati. I giudei, per la maggioranza bruni di pelle ecapelli e barba, paiono degli annegati, tanto il loro volto si fa terreo.
Le donne sembrano statue di nevea zzurrastra per il pallore esangue che la luce accentua.

Gesùsembra illividire sinistramente come per inizio di decomposizione, quasi fosse già morto.
La testa gli comincia a pendere sul petto. Le forze mancano rapidamente. Trema, nonostante la febbre che lo arde. E nella sua debolezza mormora il nome che prima ha solo detto nel fondo del cuore: «Mamma!», «Mamma!».

Lo mormora piano, come in un sospiro, quasi fosse già in un lieve delirio che gli impedisca di trattenere quanto la volontà vorrebbe trattenere.

E Maria, ogni volta, ha un atto infrenabile di tendere le braccia come per soccorrerlo.

E la gente crudele ride di questi spasimi di chi muore e di chi spasima. Salgono da capo sino a dietro i pastori, che però sono sulla piazzetta bassa, i sacerdoti e gli scribi. E poichè i soldati vorrebbero respingerli, reagiscono dicendo: «Ci stanno questi galilei? Ci stiamo anche noi, che dobbiamo verificare che giustizia sia fatta fino in fondo. E da lontano, in questa luce strana, non possiamo vedere».

Infatti molti cominciano a impressionarsi della luce che sta fasciando il mondo, e qualcuno ha paura. Anche i soldati accennano al cielo e ad una specie di cono, che pare di lavagna tanto è cupo e che si leva come un pino da dietro una vetta. Sembra una tromba marina. Si alza, si alza e pare che generi nubi sempre più nere, quasi fosse un vulcano eruttante fumo e lava.

È in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù dà a Maria Giovanni e a Giovanni Maria.
(Come preannunciato al Vol 9 Cap 540. Se Giovanni viene dato a Maria Ss. così come è affidato a Lei tutto il genere umano, Maria Ss. può essere data a Giovanni perchè costui è simile a Gesù, come si rileva al Vol 1 Cap 49,Vol 2 Capp 90-101-106, Vol 3 Cap 222, Vol 7 Cap 494 e Vol 8 Cap 508).

Curva il capo, poichè la Madre siè fatta più sotto alla croce per vederlo meglio, e dice:
«Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre».

Maria ha il volto ancor più sconvolto dopo questa parola che è il testamento del suo Gesù, che non ha nulla da dare alla Madre se non un uomo, Egli che per amore dell'Uomo la priva dell'Uomo-Dio, nato da Lei.
Ma cerca, la povera Madre, di non piangere che mutamente, perchè non può, non può non piangere... Le stille del pianto gemono nonostante ogni sforzo per trattenerle, anche se la bocca ha il suo straziato sorriso, fissato sulle labbra per Lui, per confortare Lui...


Le sofferenze crescono sempre più. E la luce sempre più decresce.
È in questa luce di fondo marino che emergono, da dietro dei giudei, Nicodemo e Giuseppe, e dicono: «Scansatevi! ».

«Non si può. Che volete?», dicono i soldati.

«Passare. Siamo amici del Cristo».

Si voltano i capi dei sacerdoti. «Chi osa professarsi amico del ribelle?», dicono i sacerdoti sdegnati.

E Giuseppe risoluto: «Io, nobile membro del Gran Consiglio, Giuseppe d'Arimatea, l'Anziano, e con me è Nicodemo, capo dei giudei».

«Chi parteggia per il ribelle è ribelle».

«E chi parteggia per gli assassini è assassino, Eleazaro di Anna. Ho vissuto da giusto. E ora vecchio sono e prossimo alla morte. Non voglio divenire ingiusto mentre già il Cielo su me discende e con esso il Giudice eterno».

«E tu, Nicodemo! Mi meraviglio!».

«Io pure. E di una cosa sola: che Israele sia tanto corrotto da non sapere più riconoscere Dio».

«Mi fai ribrezzo».

«Scansati, allora, e lasciami passare. Non chiedo che quello».

«Per contaminarti più ancora?».

«Se non mi sono contaminato a starvi presso, nulla più mi contamina. Soldato, a te la borsa e il segno di lasciapassare».
E passa al decurione più vicino una borsa e una tavoletta cerata. Il decurione osserva e dice ai soldati: «Lasciate passare i due».

E Giuseppe con Nicodemo si avvicinano ai pastori. Non so neppure se Gesù li veda in quella caligine sempre più fitta e con l'occhio che già si vela nell'agonia.
Ma essi lo vedono e piangono senza rispetto umano, nonostante ora su di loro si avventino gli improperi sacerdotali.

Le sofferenze sono sempre più forti. Il corpo ha i primi inarcamenti propri della tetania e ogni clamore di folla li esaspera. La morte delle fibre e dei nervi si estende dalle estremità torturate al tronco, rendendo sempre più difficoltoso il moto respiratorio, debole la contrazione diaframmatica e disordinato il movimento cardiaco.
Il volto di Cristo passa alternativamente da vampe di rossore intensissimo a pallori verdastri di morente per dissanguamento.
La bocca si muove con maggiore fatica, perchè i nervi sovraffaticati del collo e del capo stesso, che hanno per decine di volte fatto da leva al corpo tutto puntandosi sulla sbarra trasversa della croce, propagano il crampo anche alle mascelle.
La gola, enfiata dalle carotidi ingorgate, deve dolere edestendere il suo edema alla lingua, che appare ingrossata e lenta nei movimenti.
La schiena, anche nei momenti che le contrazioni tetanizzanti non la curvano ad arco completo dalla nuca alle anche, appoggiate come punti estremi al tronco della croce, si arcua sempre più in avanti, perchè le membra divengono sempre più pesanti del peso delle carni morte.

La gente vede poco e male queste cose, perchè la luce è ormai di un cenere cupo, e solo chi è ai piedi della croce può vedere bene.

Gesù si affloscia, un certo momento, tutto in avanti e in basso, come già morto; non ansa più, la testa gli pende inerte in avanti, il corpo dalle anche in su è tutto staccato facendo angolo con le braccia alla croce.

Maria ha un grido: «È morto!».

Un grido tragico che si propaga nell'aria nera. E Gesù appare realmente morto.

Un altro grido femminile le risponde e nel gruppo delle donne vedo un tramestio. Poi una decina di persone si allontanano sostenendo qualche cosa. Ma non posso vedere chi si allontana così.
È troppo poca la luce nebbiosa. Sembra di essere immersi in una nube di cenere vulcanica fittissima.

«Non è possibile», urlano dei sacerdoti e dei giudei.

«È una finta per farci andare via. Soldato, pungilo con la lancia. È una buona medicina per ridargli voce». E poichè i soldati non lo fanno, una scarica di pietre e di zolle di terra volano verso la croce, colpendo il Martire e ricadendo sulle corazze romane.

Il farmaco, come ironicamente dicono i giudei, opera il prodigio. Certo qualche sasso ha colpito a segno, forse sulla ferita di una mano, o sul capo stesso, perchè miravano in alto.

Gesù ha un gemito pietoso e rinviene. Il torace torna a respirare con fatica e la testa a muoversi da destra a manca, cercando un luogo dove posarsi per soffrire meno, senza trovare altro che maggior pena.

A gran fatica, puntandosi una volta ancora sui piedi torturati, trovando forza nella sua volontà, unicamente in quella (così come di sua propria volontà Gesù era "superiore al peccato" [lo dichiara Egli stesso nelle ultime righe del capitolo 567 del Vol 9], e così come "di sua spontanea volontà" si era immolato "dandosi in Cibo e Bevanda" [lo dirà Pietro al capitolo 641]. L'abbandono paterno, che ora sta per diventare assoluto [come leggeremo tra poche righe]e che gli lascia solo la forza della propria volontà di Uomo, è previsto e motivato in nota al Cap 59 Vol 1 e al Cap 317 Vol 5 e più volte nel testo dell'opera, per esempio ai capitoli 602 e 603.Di esso si accora la Madre al capitolo 612), Gesù si irrigidisce sulla croce, torna eretto come fosse un sano nella sua forza completa, alza il volto guardando con occhi bene aperti il mondo steso ai suoi piedi, la città lontana, che appena si intravvede come un biancore incerto nella foschia, e il cielo nero dal quale ogniazzurro ed ogni ricordo di luce sono scomparsi.

E a questo cielo chiuso, compatto, basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura, Egli grida a gran voce, vincendo con la forza della volontà, col bisogno dell'anima, l'ostacolo delle mascelle irrigidite, della lingua ingrossata, della gola edematica: «Eloi, Eloi, lamma scebacteni!» (io sento dire così).

Deve sentirsi morire, e in un assoluto abbandono del Cielo, per confessare con tal voce l'abbandono paterno.

La gente ride e lo scherza. Lo insulta: «Non sa che farne Dio di Te! I demoni sono maledetti da Dio!».
Altri gridano: «Vediamo se Elia, che Egli chiama, viene a salvarlo».
E altri: «Dategli un poco d'aceto, che si gargarizzi la gola. Fa bene alla voce! Elia o Dio, poichè è incerto ciò che il folle vuole, sono lontani... Ci vuol voce per farsi sentire!», e ridono come iene o come demoni.

Ma nessun soldato dà l'aceto e nessuno viene dal Cielo per dare conforto.
È l'agonia solitaria, totale, crudele, anche soprannaturalmente crudele, della Grande Vittima.

Tornano le valanghe di dolore desolato che già l'avevano oppresso nel Getsemani. Tornano le onde dei peccati di tutto il mondo a percuotere il naufrago innocente, a sommergerlo nella loro amaritudine.

Torna soprattutto la sensazione, più crocifiggente della croce stessa, più disperante di ogni tortura, che Dio ha abbandonato e che la preghiera non sale a Lui...

Ed è il tormento finale. Quello che accelera la morte, perchè spreme le ultime gocce di sangue dai pori, perchè stritola le superstiti fibre del cuore, perchè termina ciò che la prima cognizione di questo abbandono ha iniziato: la morte.
Perchè di questo per prima cosa è morto il mio Gesù, o Dio, che lo hai colpito per noi!

Dopo il tuo abbandono, per il tuo abbandono, che diventa una creatura?
O un folle, o un morto.

Gesù non poteva divenire folle, perchè la sua intelligenza era divina e, spirituale come è l'intelligenza, trionfava sopra il trauma totale del colpito da Dio.

Divenne dunque un morto: il Morto, il santissimo Morto, l'innocentissimo Morto.

Morto Lui che era la Vita. Ucciso dal tuo abbandono e dai nostri peccati.

L'oscurità si fa ancora più fitta. Gerusalemme scompare del tutto. Lo stesso Calvario pare annullarsi nelle sue falde. Solo la cima è visibile, quasi che le tenebre la tengano alta a raccogliere l'unica e l'ultima superstite luce, posandola come per una offerta, col suo trofeo divino, su uno stagno di onice liquida, perchè sia vista dall'amore e dall'odio.


E dalla luce non più luce viene la voce lamentosa di Gesù: «Ho sete!».

Vi è infatti un vento che asseta anche i sani. Un vento continuo, ora, violento, pieno di polvere, freddo, pauroso. Penso quale spasimo avrà dato col suo soffio violento ai polmoni, al cuore, alle fauci di Gesù, alle sue membra gelate, intormentite, ferite.
Ma proprio tutto si è messo a torturare il Martire.

Un soldato va ad un vaso dove i satelliti del boia hanno messo dell'aceto col fiele, perchè col suo amaro aumenti la salivazione nei suppliziati.
Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una canna sottile eppure rigida, che è già pronta lì presso, e porge la spugna al Morente.

Gesù si tende avido verso la spugna che viene.
Pare un infante affamato che cerchi il capezzolo materno.

Maria, che vede e certo pensa questa cosa, geme, appoggiandosi a Giovanni:
«Oh! ed io neppure una stilla di pianto gli posso dare... Oh! seno mio, chè non gemi latte? Oh! Dio, perchè, perchè così ci abbandoni? Un miracolo per la mia Creatura! Chi mi solleva per dissetarlo del mio sangue, posto che latte non ho?...».

Gesù, che ha succhiato avidamente l'aspra e amara bevanda, torce il capo, avvelenato dal disgusto di essa.
Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate. Si ritrae, si accascia, si abbandona.


Tutto il peso del corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le estremità ferite quelle che soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un corpo che si abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore. Dal bacino in su, tutto è staccato dal legno, e tale resta.

La testa pende in avanti tanto pesantemente che il collo pare scavato in tre posti: al giugolo, completamente infossato, e di qua e di là dello sternocleidomastoideo.
Il respiro è sempre più anelante, ma interciso. È già più un rantolo sincopato che un respiro. Ogni tanto un colpo di tosse penosa porta una schiuma lievemente rosata alle labbra.
E le distanze fra una espirazione e l'altra diventano sempre più lunghe. L'addome è già fermo. Solo il torace ha ancora dei sollevamenti, ma faticosi, stentati... La paralisi polmonare si accentua sempre più.

E sempre più fievole, tornando al lamento infantile del bambino, viene l'invocazione: «Mamma!».

E la misera mormora: «Sì, tesoro, sono qui».

E quando la vista che si vela gli fa dire: «Mamma, dove sei? Non ti vedo più. Anche tu mi abbandoni?», e non è neanche una parola, ma un mormorio che appena è udibile da chi più col cuore che con l'udito raccoglie ogni sospiro del Morente, Ella dice: «No, no, Figlio! Non ti abbandono io! Sentimi, caro... La Mamma è qui, qui è... e solo si tormenta di non poter venire dove Tu sei...».

È uno strazio...

E Giovanni piange liberamente.

Gesùdeve sentire quel pianto. Ma non dice niente.

Penso che la morte imminente lo faccia parlare come in delirio e neppure sappia quanto dice e, purtroppo, neppure comprenda il conforto materno e l'amore del Prediletto.

Longino - che inavvertitamente ha lasciato la sua posa di riposo, con le mani conserte sul petto e una gamba accavallata, ora una, ora l'altra, per dare sollievo alla lunga attesa in piedi, e ora invece è rigido sull'attenti, la mano sinistra sulla spada, la destra regolarmente tesa lungo il fianco, come fosse sui gradini del trono imperiale - non vuole commuoversi. Ma il suo volto si altera nello sforzo di vincere l'emozione, e gli occhi hanno un luccicore di pianto che solo la sua ferrea disciplina trattiene.

Gli altri soldati, che giocavano a dadi, hanno smesso e si sono drizzati in piedi, rimettendosi gli elmi che avevano servito ad agitare i dadi, e stanno in gruppo presso la scaletta scavata nel tufo, silenziosi, attenti. Gli altri sono di servizio e non possono mutare posizione. Sembrano statue. Ma qualcuno dei più prossimi, e che sente le parole di Maria, mugola qualcosa fra le labbra e scrolla il capo.


Un silenzio. Poi, netta nell'oscurità totale, la parola: «Tutto è compiuto!», e poi l'ansito sempre più rantoloso, con pause di silenzio fra un rantolo e l'altro, sempre più vaste.

Il tempo scorre su questo ritmo angoscioso. La vita torna quando l'aria è rotta dall'anelito aspro del Morente... La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più. Si soffre a sentirlo... si soffre a non sentirlo...

Si dice: «Basta di questa sofferenza!», e si dice: «Oh! Dio! che non sia l'ultimo respiro».

Le Marie piangono tutte, col capo contro il rialzo terroso. E si sente bene il loro pianto, perchè tutta la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente.


Ancora un silenzio. Poi, pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica: «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!». Ancora un silenzio. Si fa lieve anche il rantolo. È appena un soffio limitato alle labbra e alla gola.


Poi, ecco, l'ultimo spasimo di Gesù.


Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il corpo infisso, coi tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per tutti i poveri nervi torturati; solleva tre volte l'addome in una maniera anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza, gonfia e contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono, apparendo sotto l'epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli; fa rovesciare violentemente indietro, una, due, tre volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica.

Il corpo si tende tutto; nell'ultima delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera l'aria, il «grande grido» di cui parlano i Vangeli e che è la prima parte della parola «Mamma»...
E più nulla...
(Matteo 27, 50; Marco 15, 37. Ad esso sarà confrontato “il grande grido” al capitolo 619).

La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro.


È spirato.


La Terra risponde al grido dell'Ucciso con un boato pauroso. Sembra che da mille buccine dei giganti traggano un unico suono e su questo tremendo accordo ecco le note isolate, laceranti dei fulmini che rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla folla...

Credo che ci saranno stati dei fulminati, perchè la folla è colpita direttamente. I fulmini sono l'unica luce saltuaria che permetta di vedere. E poi subito, e mentre durano ancora le scariche delle saette, la terra si scuote in un turbine di vento ciclonico.

Il terremoto e l'aeromoto si fondono per dare un apocalittico castigo ai bestemmiatori. La vetta del Golgota ondeggia e balla come un piatto in mano di un pazzo, nelle scosse sussultorie e ondulatorie che scuotono talmente le tre croci che sembra le debbano ribaltare.

Longino, Giovanni, i soldati si abbrancano dove possono, come possono, per non cadere. Ma Giovanni, mentre con un braccio afferra la croce, con l'altro sostiene Maria che, e per il dolore e per il traballio, gli si è abbandonata sul cuore.

Gli altri soldati, e specie quelli del lato che scoscende, si sono dovuti rifugiare al centro per non essere gettati giù dai dirupi.

I ladroni urlano di terrore, la folla urla ancora di più e vorrebbe scappare. Ma non può. Cadono le persone l'una sull'altra, si pestano, precipitano nelle spaccature del suolo, si feriscono, rotolano giù per la china, impazziti.


Per tre volte si ripete il terremoto e l'aeromoto, e poi si fa l'immobilità assoluta di un mondo morto. Solo dei lampi, ma senza tuono, rigano ancora il cielo e illuminano la scena dei giudei fuggenti in ogni senso, con le mani fra i capelli, o tese in avanti, o alzate al cielo, schernito fino allora e di cui ora hanno paura.
La oscurità si tempera di un barlume di luce che, aiutato dal lampeggio silenzioso e magnetico, permette di vedere che molti restano al suolo, morti o svenuti, non so. Una casa arde nell'interno delle mura e le fiamme si alzano dritte nell'aria ferma, mettendo un punto di rosso fuoco sul verde cenere dell'atmosfera.

Maria alza il capo dal petto di Giovanni e guarda il suo Gesù. Lo chiama, perchè mal lo vede nella poca luce e coi suoi poveri occhi pieni di pianto.

Tre volte lo chiama: «Gesù! Gesù! Gesù!».

È la prima volta che lo chiama per nome da quando è sul Calvario. Infine, ad un lampo che fa come una corona sopra la vetta del Golgota, lo vede, immobile, tutto pendente in avanti, col capo talmente piegato in avanti, e a destra, da toccare con la guancia la spalla e col mento le coste, e comprende.

Tende le mani che tremano nell'aria scura e grida: «Figlio mio! Figlio mio! Figlio mio!».

Poi ascolta... Ha la bocca aperta, pare voglia ascoltare anche con quella, come ha dilatati gli occhi per vedere, per vedere... Non può credere che il suo Gesù non sia più...

Giovanni, che anche lui ha guardato e ascoltato, ed ha compreso che tutto è finito, abbraccia Maria e cerca allontanarla dicendo: «Non soffre più».

Ma, prima che l'apostolo termini la frase, Maria, che ha capito, si svincola, gira su se stessa, si curva ad arco verso il suolo, si porta le mani agli occhi e grida: «Non ho più Figlio!».

E poi vacilla e cadrebbe se Giovanni non se la raccogliesse tutta sul cuore, e poi egli si siede, per terra, per sostenerla meglio sul suo petto, finchè le Marie, non più trattenute dal cerchio superiore di armati - perchè, ora che i giudei sono fuggiti, i romani si sono ammucchiati sulla piazzuola sottostante commentando l'accaduto - sostituiscono l'apostolo presso la Madre.

La Maddalena si siede dove era Giovanni, e quasi si adagia Maria sui ginocchi, sostenendola fra le braccia e il suo petto, baciandola sul volto esangue, riverso sulla spalla pietosa.
Marta e Susanna, con la spugna e un lino intrisi nell'aceto, le bagnano le tempie e le narici, mentre la cognata Maria le bacia le mani chiamandola con strazio, e appena Maria riapre gli occhi, e gira uno sguardo che il dolore rende come ebete, le dice: Figlia, figlia diletta, ascolta... dimmi che mi vedi... Sono la tua Maria... Non mi guardare così!...».

E poichè il primo singhiozzo apre la gola di Maria e le prime lacrime cadono, ella, la buona Maria d'Alfeo, dice: «Sì, sì, piangi... Qui con me, come da una mamma, povera, santa figlia mia»; e quando si sente dire: «Oh! Maria! Maria! hai visto?», ella geme: «Sì, sì,... ma... ma... figlia... oh! figlia!...».

Non trova più altro e piange, l'anziana Maria. Un pianto desolato, a cui fanno eco tutte le altre, ossia Marta e Maria, la madre di Giovanni e Susanna.

Le altre pie donne non ci sono più. Penso siano andate via, e con esse i pastori, quando si udì quel grido femminile...

I soldati parlottano fra di loro. «Hai visto i giudei? Ora avevano paura».

«E si battevano il petto».

«I più terrorizzati erano i sacerdoti!».

«Che paura! Ho sentito altri terremoti. Ma come questo mai. Guarda: la terra è rimasta piena di fessure».

«E lì è franato tutto un pezzo della via lunga».

«E sotto ci sono dei corpi».

«Lasciali! Tanti serpenti di meno».

«Oh! un altro incendio! Nella campagna...».

«Ma è morto proprio?».

«E non vedi? Ne hai dubbi?».


Spuntano da dietro la roccia Giuseppe e Nicodemo. Certo si erano rifugiati lì, dietro il riparo del monte, per salvarsi dai fulmini. Vanno da Longino. «Vogliamo il Cadavere».

«Solo il Proconsole lo concede. Andate, e presto, perchè ho sentito che i giudei vogliono andare al Pretorio ed ottenere il crucifragio. Non vorrei facessero sfregio».

«Come lo sai?».

«Rapporto dell'alfiere. Andate. Io attendo».

I due si precipitano giù per la strada ripida e scompaiono.

È qui che Longino si accosta a Giovanni e gli dice piano qualche parola che non afferro. Poi si fa dare da un soldato una lancia. Guarda le donne tutte intente a Maria, che riprende lentamente le forze. Esse hanno, tutte, le spalle alla croce.


Longino si pone di fronte al Crocifisso, studia bene il colpo e poi lo vibra. La larga lancia penetra profondamente da sotto in su, da destra a sinistra.

Giovanni, combattuto fra il desiderio di vedere e l'orrore di vedere, torce per un attimo il viso.

«È fatto, amico», dice Longino e termina: «Meglio così. Come a un cavaliere. E senza spezzare ossa... Era veramente un Giusto!».

Dalla ferita geme molt'acqua e un filino appena di sangue già tendente a raggrumarsi.
Geme, ho detto. Non esce che filtrando dal taglio netto che rimane inerte, mentre, se vi fosse stato del respiro, si sarebbe aperto e chiuso nel moto toracico addominale...

Mentre sul Calvario tutto resta in questo tragico aspetto, io raggiungo Giuseppe e Nicodemo che scendono per una scorciatoia per fare più presto.
Sono quasi alla base quando si incontrano con Gamaliele. Un Gamaliele spettinato, senza copricapo, senza mantello, con la splendida veste sporca di terriccio e strappata dai rovi. Un Gamaliele che corre, salendo e ansando, con le mani nei capelli radi e molto brizzolati di uomo anziano. Si parlano senza fermarsi.

«Gamaliele! Tu?».

«Tu, Giuseppe? Lo lasci?».

«Io no. Ma tu come qui? E così?...».

«Cose tremende! Ero nel Tempio! Il segno! Il Tempio scardinato! Il velo di porpora e giacinto pende lacerato! Il Sancta Santorum è scoperto! Anatema è su noi!». Ha parlato continuando a correre verso la cima, reso pazzo dalla prova.

I due lo guardano andare... si guardano... dicono insieme: «"Queste pietre fremeranno alle mie ultime parole!". Egli glielo aveva promesso!...».

Affrettano la corsa verso la città. Per la campagna, fra il monte e le mura, e oltre, vagano, nell'aria ancora fosca, persone con aspetto di ebeti...

Urli, pianti, lamenti... Chi dice: «Il suo Sangue ha piovuto fuoco!».
Chi: «Fra i fulmini Geovè è apparso a maledire il Tempio!».
Chi geme: «I sepolcri! I sepolcri!».

Giuseppe afferra uno che dà di cozzo la testa contro la muraglia e lo chiama a nome, tirandoselo dietro mentre entra in città: «Simone! Ma che vai dicendo?».

«Lasciami! Un morto anche tu! Tutti i morti! Tutti fuori! E mi maledicono».

«È impazzito», dice Nicodemo.
Lo lasciano e trottano verso il Pretorio.

La città è in preda del terrore. Gente che vaga battendosi il petto. Gente che fa un salto indietro o si volge spaventata sentendo dietro una voce o un passo.

In uno dei tanti archivolti oscuri, l'apparizione di Nicodemo, vestito di lana bianca - perchè, per fare più presto, si è levato sul Golgota il manto oscuro - fa dare un urlo di terrore ad un fariseo fuggente. Poi si accorge che è Nicodemo e gli si attacca al collo con una espansione strana, urlando: «Non mi maledire! Mia madre m'è apparsa e mi ha detto: "Sii maledetto in eterno!"», e poi si accascia al suolo gemendo: «Ho paura! Ho paura!».

«Ma sono tutti folli!», dicono i due. È raggiunto il Pretorio. E solo qui, mentre attendono di essere ricevuti dal Proconsole, Giuseppe e Nicodemo riescono a sapere il perchè di tanti terrori. Molti sepolcri si erano aperti sotto la scossa tellurica, e c'era chi giurava averne visto uscire gli scheletri, che per un attimo si ricomponevano con parvenza umana e andavano accusando i colpevoli del deicidio e maledicendoli.

Li lascio nell'atrio del Pretorio, dove i due amici di Gesù entrano senza tante storie di stupidi ribrezzi e paure di contaminazioni, e torno sul Calvario, raggiungendo Gamaliele che sale, ormai sfinito, gli ultimi metri.

Procede battendosi il petto e, quando giunge sulla prima delle due piazzuole, si butta bocconi, lunghezza bianca sul suolo giallastro, e geme: «Il segno! Il segno! Dimmi che mi perdoni! Un gemito, anche un gemito solo, per dirmi che mi odi e perdoni».

Comprendo che lo crede ancora vivo. Nè si ricrede altro che quando un soldato, urtandolo con l'asta, dice: «Alzati e taci. Non serve! Dovevi pensarci prima. È morto. E io, pagano, te lo dico: Costui, che voi avete crocifisso, era realmente il Figlio di Dio!».

«Morto? Morto sei? Oh!...».
Gamaliele alza il volto terrorizzato, cerca vedere fin lassù in cima, nella luce crepuscolare. Poco vede, ma quel tanto da capire che Gesù è morto lo vede. E vede il gruppo pietoso che conforta Maria, e Giovanni ritto alla sinistra della croce che piange, e Longino ritto a destra, solenne nella sua rispettosa postura.

Si pone in ginocchio, tende le braccia e piange: «Eri Tu! Eri Tu! Non possiamo più avere perdono. Abbiamo chiesto il tuo Sangue su noi. Ed Esso grida al Cielo, e il Cielo ci maledice... Oh! Ma Tu eri la Misericordia!... Io ti dico, io, l'annientato rabbi di Giuda: "Il tuo Sangue su noi, per pietà". Aspergici con Esso! Perchè solo Esso può impetrarci perdono...», piange.

E poi, più piano, confessa la sua segreta tortura: «Ho il segno richiesto... Ma secoli e secoli di cecità spirituale stanno sulla mia vista interiore, e contro il mio volere di ora si drizza la voce del mio superbo pensiero di ieri... Pietà di me!
Luce del mondo, nelle tenebre che non ti hanno compreso fa' scendere un tuo raggio! Sono il vecchio giudeo fedele a ciò che credevo giustizia ed era errore.
Adesso sono una landa brulla, senza più alcuno degli antichi alberi della Fede antica, senza alcun seme o stelo della Fede nuova. Sono un arido deserto. Opera Tu il miracolo di far sorgere un fiore che abbia il tuo nome in questo povero cuore di vecchio israelita pervicace. In questo mio povero pensiero, prigioniero delle formule, penetra Tu, Liberatore. Isaia (53, 12) lo dice: "... pagò per i peccatori e prese su Sè i peccati di molti". Oh! anche il mio, GesùNazareno...

Si alza. Guarda la croce che si fa sempre più nitida nella luce che rischiara e poi se ne va curvo, invecchiato, annichilito.

E sul Calvario torna il silenzio, appena rotto dal pianto di Maria.

I due ladroni, esausti dalla paura, non parlano più. Tornano in corsa Nicodemo e Giuseppe, dicendo che hanno il permesso di Pilato. Ma Longino, che non si fida troppo, manda un soldato a cavallo dal Proconsole per sapere come deve fare anche coi due ladroni. Il soldato va e torna al galoppo con l'ordine di consegnare Gesù e di compiere il crucifragio sugli altri, per volere dei giudei.

Longino chiama i quattro boia, che sono vigliaccamente accoccolati sotto la rupe, ancora terrorizzati dell’accaduto, e ordina che i due ladroni siano finiti a colpi di dava.

Cosa che avviene senza proteste per Disma, al quale il colpo di dava, sferrato al cuore dopo aver già percosso i ginocchi, spezza a metà fra le labbra, in un rantolo, il nome di Gesù.

E con maledizioni orrende da parte dell'altro ladrone.

Il loro rantolo è lugubre. I quattro carnefici vorrebbero anche occuparsi di Gesù, staccandolo dalla croce.

Ma Giuseppe e Nicodemo non lo permettono.

Anche Giuseppe si leva il mantello e dice a Giovanni di imitarlo e di tenere le scale mentre loro salgono con leve e tenaglie.

Maria si alza tremante, sorretta dalle donne, e si accosta alla croce. Intanto i soldati, finito il loro compito, se ne vanno. E Longino, prima di scendere oltre la piazzuola inferiore, si volta dall'alto del suo morello a guardare Maria e il Crocifisso.

Poi il rumore degli zoccoli suona sulle pietre e quello delle armi contro le corazze, e si allontana sempre più.

Il palmo sinistro è schiodato.

Il braccio cade lungo il Corpo, che ora pende semistaccato.

Dicono a Giovanni di salire lui pure, lasciando le scale alle donne. E Giovanni, montato sulla scala dove prima era Nicodemo, si passa il braccio di Gesù intorno al collo e lo tiene così, tutto abbandonato sul suo òmero, abbracciato dal suo braccio alla vita e tenuto per la punta delle dita per non urtare l'orrendo squarcio della mano sinistra, che è quasi aperta.

Quando i piedi sono schiodati, Giovanni fatica non poco a tenere e sostenere il Corpo del suo Maestro fra la croce e il suo corpo.

Maria si pone già ai piedi della croce, seduta con le spalle alla stessa, pronta a ricevere il suo Gesù nel grembo.

Ma schiodare il braccio destro è l'operazione più difficile.

Nonostante ogni sforzo di Giovanni, il Corpo pende tutto in avanti e la testa del chiodo sprofonda nella carne. E, poichè non vorrebbero ferirlo di più, i due pietosi faticano molto.

Finalmente il chiodo è afferrato dalla tenaglia e estratto piano piano. Giovanni tiene sempre Gesù per le ascelle, con la testa rovesciata sulla sua spalla, mentre Nicodemo e Giuseppe lo afferrano uno alle cosce, l'altro ai ginocchi, e cautamente scendono così dalle scale.

Giunti a terra, vorrebbero adagiarlo sul lenzuolo che hanno steso sui loro mantelli.

Ma Maria lo vuole. Si è aperta il manto, lasciandolo pendere da una parte, e sta con le ginocchia piuttosto aperte per fare cuna al suo Gesù.

Mentre i discepoli girano per darle il Figlio, la testa coronata ricade all'indietro e le braccia pendono verso terra, e struscerebbero al suolo con le mani ferite se la pietà delle pie donne non le tenessero per impedirlo.


Ora è in grembo alla Madre...

E sembra uno stanco e grande bambino che dorma tutto raccolto sul seno materno. Maria lo tiene col braccio destro passato dietro le spalle del Figlio e il sinistro passato al disopra dell'addome per sorreggerlo alle anche.

La testa è sulla spalla materna. E Lei lo chiama... lo chiama con voce di strazio. Poi se lo stacca dalla spalla e lo carezza con la sinistra, ne raccoglie e stende le mani e, prima di incrociarle sul grembo spento, le bacia, e piange sulle ferite. Poi carezza le guance, specie là dove è il livido e il gonfiore, bacia gli occhi infossati, la bocca rimasta lievemente storta a destra e socchiusa.
Vorrebbe ravviargli i capelli, come gli ha ravviato la barba ingrommata di sangue. Ma nel farlo incontra le spine. Si punge per levare quella corona e non vuole farlo che Lei, con l'unica mano che ha libera, e respinge tutti dicendo: «No, no! Io! Io!», e pare abbia fra le dita il capo tenerello di un neonato, tanto va con delicatezza nel farlo.
E quando può levare questa torturante corona, si curva a medicare tutti gli sgraffi delle spine con i baci.

Con la mano tremante divide i capelli scomposti, li ravvia e piange, e parla piano piano, e asciuga con le dita le lacrime che cadono sulle povere carni gelide e sanguinose, e pensa di pulirle col pianto e col suo velo, che è ancora ai lombi di Gesù. E ne tira a sè una estremità, e con quella si dà a detergere ed asciugare le membra sante.
E sempre torna in carezze sul volto, e poi sulle mani, e poi carezza le ginocchia contuse, e poi risale ad asciugare il Corpo, su cui cadono lacrime e lacrime.

È nel fare questo che la sua mano incontra lo squarcio del costato. La piccola mano, coperta dal lino sottile, entra quasi tutta nell'ampia bocca della ferita.

Maria si curva per vedere, nella semiluce che si è formata, e vede. Vede il petto aperto e il cuore di suo Figlio.

Urla, allora. Sembra che una spada apra a Lei il cuore.

Urla, e poi si rovescia sul Figlio e pare morta Lei pure. La soccorrono, la confortano. Le vogliono levare il Morto divino e, poichè Ella grida: «Dove, dove ti metterò, che sia sicuro e degno di Te?», Giuseppe, tutto curvo in un inchino riverente, la mano aperta appoggiata sul petto, dice: «Confortati, o Donna! Il mio sepolcro è nuovo e degno di un grande. Lo dono a Lui. E questo, Nicodemo, amico, già nel sepolcro ha portato gli aromi, chè egli questo vuole offrire di suo.
Ma, te ne prego, poichè la sera si avvicina, lasciaci fare... È Parasceve. Sii buona, o Donna santa!».

Anche Giovanni e le donne pregano in tal senso, e Maria si lascia levare dal grembo la sua Creatura, e si alza, affannosa, mentre lo avvolgono nel lenzuolo, pregando: «Oh! fate piano!».

Nicodemo e Giovanni alle spalle, Giuseppe ai piedi, sollevano la Salma avvolta non solo nel lenzuolo, ma appoggiata anche sui mantelli che fanno da portantina, e si avviano giù per la via.

Maria, sorretta dalla cognata e dalla Maddalena, seguita da Marta, Maria di Zebedeo e Susanna, che hanno raccolto i chiodi, le tenaglie, la corona, la spugna e la canna, scende verso il sepolcro.

Sul Calvario restano le tre croci, di cui quella di centro è nuda e le due altre hanno il loro vivo trofeo che muore.
Prima Parola sulla croce: Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!
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Gesù parla per la prima volta:
Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!
Seconda Parola sulla croce: oggi tu sarai meco in Paradiso
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Disma osa guardare il Cristo e dice: «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno. Io è giusto che qui soffra. Ma dammi misericordia e pace oltre la vita. Una volta ti ho sentito parlare e, folle, ho respinto la Tua parola. Ora me ne pento. E dei miei peccati me ne pento davanti aTe, Figlio dell'Altissimo.
Io credo che Tu venga da Dio. Io credo nel tuo potere. Io credo nella Tua misericordia. Cristo, perdonami in nome di Tua Madre e del tuo Padre santissimo».

Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata.


Dice: «Io te lo dico: oggi tu sarai meco in Paradiso».

Il ladrone pentito si mette calmo e, non sapendo più le preghiere imparate da bambino, ripete come una giaculatoria:
«GesùNazareno, Re dei giudei, pietà di me; GesùNazareno, Re dei giudei, io spero in Te; Gesù Nazareno, Re dei giudei, io credo nella tua Divinità».


Terza Parola sulla croce: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre
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È in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù dà a Maria Giovanni e a Giovanni Maria.
(Come preannunciato al Vol 9 Cap 540. Se Giovanni viene dato a Maria Ss. così come è affidato a Lei tutto il genere umano, Maria Ss. può essere data a Giovanni perchè costui è simile a Gesù, come si rileva al Vol 1 Cap 49,Vol 2 Capp 90-101-106, Vol 3 Cap 222, Vol 7 Cap 494 e Vol 8 Cap 508).

Curva il capo, poichè la Madre siè fatta più sotto alla croce per vederlo meglio, e dice:
«Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre».

Maria ha il volto ancor più sconvolto dopo questa parola che è il testamento del suo Gesù, che non ha nulla da dare alla Madre se non un uomo, Egli che per amore dell'Uomo la priva dell'Uomo-Dio, nato da Lei.
Ma cerca, la povera Madre, di non piangere che mutamente, perchè non può, non può non piangere... Le stille del pianto gemono nonostante ogni sforzo per trattenerle, anche se la bocca ha il suo straziato sorriso, fissato sulle labbra per Lui, per confortare Lui...
Quarta Parola sulla croce: Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?
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A gran fatica, puntandosi una volta ancora sui piedi torturati, trovando forza nella sua volontà, unicamente in quella (così come di sua propria volontà Gesù era "superiore al peccato" [lo dichiara Egli stesso nelle ultime righe del capitolo 567 del Vol 9], e così come "di sua spontanea volontà" si era immolato "dandosi in Cibo e Bevanda" [lo dirà Pietro al capitolo 641]. L'abbandono paterno, che ora sta per diventare assoluto [come leggeremo tra poche righe]e che gli lascia solo la forza della propria volontà di Uomo, è previsto e motivato in nota al Cap 59 Vol 1 e al Cap 317 Vol 5 e più volte nel testo dell'opera, per esempio ai capitoli 602 e 603.Di esso si accora la Madre al capitolo 612), Gesù si irrigidisce sulla croce, torna eretto come fosse un sano nella sua forza completa, alza il volto guardando con occhi bene aperti il mondo steso ai suoi piedi, la città lontana, che appena si intravvede come un biancore incerto nella foschia, e il cielo nero dal quale ogniazzurro ed ogni ricordo di luce sono scomparsi.

E a questo cielo chiuso, compatto, basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura, Egli grida a gran voce, vincendo con la forza della volontà, col bisogno dell'anima, l'ostacolo delle mascelle irrigidite, della lingua ingrossata, della gola edematica: «Eloi, Eloi, lamma scebacteni!» (io sento dire così).

Deve sentirsi morire, e in un assoluto abbandono del Cielo, per confessare con tal voce l'abbandono paterno.

La gente ride e lo scherza. Lo insulta: «Non sa che farne Dio di Te! I demoni sono maledetti da Dio!».
Altri gridano: «Vediamo se Elia, che Egli chiama, viene a salvarlo».
E altri: «Dategli un poco d'aceto, che si gargarizzi la gola. Fa bene alla voce! Elia o Dio, poichè è incerto ciò che il folle vuole, sono lontani... Ci vuol voce per farsi sentire!», e ridono come iene o come demoni.

Ma nessun soldato dà l'aceto e nessuno viene dal Cielo per dare conforto.
È l'agonia solitaria, totale, crudele, anche soprannaturalmente crudele, della Grande Vittima.

Tornano le valanghe di dolore desolato che già l'avevano oppresso nel Getsemani. Tornano le onde dei peccati di tutto il mondo a percuotere il naufrago innocente, a sommergerlo nella loro amaritudine.

Torna soprattutto la sensazione, più crocifiggente della croce stessa, più disperante di ogni tortura, che Dio ha abbandonato e che la preghiera non sale a Lui...

Ed è il tormento finale. Quello che accelera la morte, perchè spreme le ultime gocce di sangue dai pori, perchè stritola le superstiti fibre del cuore, perchè termina ciò che la prima cognizione di questo abbandono ha iniziato: la morte.
Perchè di questo per prima cosa è morto il mio Gesù, o Dio, che lo hai colpito per noi!

Dopo il tuo abbandono, per il tuo abbandono, che diventa una creatura?
O un folle, o un morto.

Gesù non poteva divenire folle, perchè la sua intelligenza era divina e, spirituale come è l'intelligenza, trionfava sopra il trauma totale del colpito da Dio.

Divenne dunque un morto: il Morto, il santissimo Morto, l'innocentissimo Morto.

Morto Lui che era la Vita. Ucciso dal tuo abbandono e dai nostri peccati.
Quinta Parola sulla croce: Ho sete!
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E dalla luce non più luce viene la voce lamentosa di Gesù: «Ho sete!».

Vi è infatti un vento che asseta anche i sani. Un vento continuo, ora, violento, pieno di polvere, freddo, pauroso. Penso quale spasimo avrà dato col suo soffio violento ai polmoni, al cuore, alle fauci di Gesù, alle sue membra gelate, intormentite, ferite.
Ma proprio tutto si è messo a torturare il Martire.

Un soldato va ad un vaso dove i satelliti del boia hanno messo dell'aceto col fiele, perchè col suo amaro aumenti la salivazione nei suppliziati.
Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una canna sottile eppure rigida, che è già pronta lì presso, e porge la spugna al Morente.

Gesù si tende avido verso la spugna che viene.
Pare un infante affamato che cerchi il capezzolo materno.

Maria, che vede e certo pensa questa cosa, geme, appoggiandosi a Giovanni:
«Oh! ed io neppure una stilla di pianto gli posso dare... Oh! seno mio, chè non gemi latte? Oh! Dio, perchè, perchè così ci abbandoni? Un miracolo per la mia Creatura! Chi mi solleva per dissetarlo del mio sangue, posto che latte non ho?...».

Gesù, che ha succhiato avidamente l'aspra e amara bevanda, torce il capo, avvelenato dal disgusto di essa.
Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate. Si ritrae, si accascia, si abbandona.
Sesta Parola sulla croce: Tutto è compiuto!
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Un silenzio. Poi, netta nell'oscurità totale, la parola: «Tutto è compiuto!», e poi l'ansito sempre più rantoloso, con pause di silenzio fra un rantolo e l'altro, sempre più vaste.

Il tempo scorre su questo ritmo angoscioso. La vita torna quando l'aria è rotta dall'anelito aspro del Morente... La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più. Si soffre a sentirlo... si soffre a non sentirlo...

Si dice: «Basta di questa sofferenza!», e si dice: «Oh! Dio! che non sia l'ultimo respiro».

Le Marie piangono tutte, col capo contro il rialzo terroso. E si sente bene il loro pianto, perchè tutta la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente.
Settima Parola sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!
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Ancora un silenzio. Poi, pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica: «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!». Ancora un silenzio. Si fa lieve anche il rantolo. È appena un soffio limitato alle labbra e alla gola.


Poi, ecco, l'ultimo spasimo di Gesù.


Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il corpo infisso, coi tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per tutti i poveri nervi torturati; solleva tre volte l'addome in una maniera anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza, gonfia e contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono, apparendo sotto l'epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli; fa rovesciare violentemente indietro, una, due, tre volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica.

Il corpo si tende tutto; nell'ultima delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera l'aria, il «grande grido» di cui parlano i Vangeli e che è la prima parte della parola «Mamma»...
E più nulla...
(Matteo 27, 50; Marco 15, 37. Ad esso sarà confrontato “il grande grido” al capitolo 619).

La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro.


È spirato.
Prima Parola sulla croce: Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!
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Poichè la croce era il trono della maestà del nostro Maestro e la cattedra da cui voleva insegnare la scienza della vita, Egli, innalzato su di essa, avendo confermato la dottrina con l'esempio, pronunciò le parole che comprendevano il sommo grado di carità e perfezione: «Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno».

Aveva vincolato se stesso a questo principio dell'amore fraterno, chiamandolo il suo comandamento.
E per rafforzare la verità del Suo insegnamento, lo praticò sul duro legno, non soltanto amando e perdonando i suoi nemici, ma perfino scusandoli per la loro stessa ignoranza.

E lo fece nel momento in cui la loro cattiveria giunse al vertice, quando cioè perseguitarono, crocifissero e bestemmiarono il loro Dio.

Questo è ciò che l'ingratitudine umana operò dopo aver ricevuto tanta luce, tanti precetti e soprattutto tanti benefici; e questo invece è ciò che il nostro Salvatore fece con la sua ardentissima carità, avendo in contraccambio i tormenti, le spine, i chiodi, la croce e le bestemmie.
Oh, fervore impenetrabile!
Oh, soavità ineffabile!
Oh, pazienza mai immaginata dagli uomini, ammirata dagli angeli e temuta dai demoni!
Seconda Parola sulla croce: oggi tu sarai meco in Paradiso
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Uno dei ladroni, chiamato Dima, intuì un barlume di questo arcano: fu illuminato interiormente dalla preghiera di intercessione di Maria, perchè potesse riconoscere il suo Redentore dalle prime parole che pronunciò sulla croce.

Mosso da profonda sofferenza e contrizione dei suoi peccati, rimproverò il suo compagno: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perchè riceviamo il giusto per le nostre azioni, Egli invece non ha fatto nulla di male».

E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».

Gli effetti della redenzione trovarono terreno fertile nel cuore del buon ladrone, del centurione e di tutti coloro che ebbero il coraggio di confessare il Signore elevato sulla croce; ma il più fortunato fu Dima, che meritò di sentire le sue seconde parole: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

Oh, felice ladrone!

Tu solo ottenesti la parola bramata da tutti i santi e giusti!

Agli antichi patriarchi e profeti non fu concesso di udirla: si reputarono già favoriti di scendere nel limbo e ivi aspettare per lunghi secoli il paradiso che tu guadagnasti in un attimo dando lietamente altra forma al tuo mestiere.

Ora cessi di rubare le cose altrui e terrene e subito rapisci il cielo dalle mani di sua Maestà; ma tu lo rapisci giustamente perchè egli te lo dona per grazia.

Tu fosti l'ultimo discepolo del suo ammaestramento nella vita e il primo a metterlo in pratica dopo averlo appreso. Amasti e corregesti il tuo fratello, riconoscesti il tuo Creatore e riprendesti coloro che lo oltraggiavano; lo imitasti nel patire con docilità, lo pregasti con umiltà affinchè in avvenire si rammentasse delle tue miserie.

Egli volle esaudire all'istante i tuoi desideri senza differire il premio che conseguì per te e per tutti i mortali.
Terza Parola sulla croce: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre
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Cristo posò gli occhi colmi di amore sulla Madre che stava afflitta con Giovanni ai piedi della croce e, rivolgendosi ad entrambi, disse prima a lei: «Donna, ecco il tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!».

Chiamò Maria "donna" e non "madre", perchè questo secondo nome conteneva qualcosa di dolce e delicato e il pronunciarlo gli avrebbe arrecato una sensibile consolazione.

Durante la sua passione Egli non si concesse alcun conforto o sollievo esteriori, giacchè vi aveva rinunciato totalmente, ma con la parola "donna" volle tacitamente intendere ciò: «Donna, che sei benedetta fra tutte le donne e la più saggia tra i figli di Adamo.
Donna forte e perfetta, mai vinta dal peccato, fedelissima nell'amarmi, indefettibile nel servirmi, il cui amore le molte acque del mio supplizio non hanno potuto nè spegnere nè travolgere, vado dal Padre mio e da adesso in poi non posso stare con voi, ma il mio discepolo prediletto vi assisterà e avrà cura di voi come madre: sarà vostro figlio
».

Da quell'ora Giovanni la prese con sè e la venerò e servì per tutto il resto della sua vita.
Il suo spirito venne rischiarato da una nuova luce, affinchè potesse conoscere e apprezzare degnamente il bene che gli era stato affidato: il più prezioso ed eccelso creato dal braccio dell'Onnipotente dopo l'umanità di Gesù.

Anche la Regina, che aveva compreso tutto, con umile riconoscenza lo accolse come figlio.

Gli immensi benefici della passione non impedirono al Suo cuore generoso e colmo di benevolenza di prestargli obbedienza; Ella, infatti, agiva sempre al sommo grado di perfezione.
Quarta Parola sulla croce: Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?
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Si avvicinava già l'ora nona, sebbene per l'oscurità e la confusione sembrasse essere una notte tenebrosa.
Allora il nostro Salvatore proferì a gran voce la quarta parola dalla croce: «Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?».

Non tutti capirono quantunque Egli avesse parlato nella sua lingua.

Poichè la prima locuzione si esprime in ebraico con i vocaboli "Elì, El", alcuni pensarono che invocasse Elia, mentre altri, beffeggiandolo, dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!».

Il mistero di queste parole fu tanto profondo quanto occulto ai giudei e ai pagani e in esse si trovano i molti significati che i dottori di sacra Scrittura hanno loro conferito.

A me fu rivelato che il suo abbandono non consistette nella separazione della divinità dalla sua santissima umanità, così che cessasse la visione beatifica o si sciogliesse l'unione sostanziale ipostatica, che ebbe fin dall'istante in cui fu concepita per opera dello Spirito Santo nel talamo verginale e mai lasciò.

Questa dottrina è cattolica e vera. È certo che anche l'umanità santissima fu abbandonata dalla divinità nella misura in cui non fu preservata dalla morte e dai dolori dell'acerbissima passione; il Padre, però, non lasciò del tutto il Figlio in quanto prese la difesa del suo onore e lo testimoniò permettendo alle creature di muoversi e di mostrare sentimento nel momento in cui Egli spirò.

Il Signore espresse un altro abbandono attraverso il lamento che sgorgò dal suo immenso affetto verso il genere umano, quello dei reietti e dei dannati.
Se ne dolse nell'ultima ora come aveva fatto nella preghiera nell'orto degli Ulivi, quando la Sua santissima anima si era rattristata fino alla morte; infatti, la sua copiosa ed abbondante redenzione offerta per tutti non sarebbe stata efficace per essi, ed Egli sarebbe stato rifiutato da loro nella beatitudine eterna per la quale li aveva fatti e riscattati.

E poichè tutto ciò avvenne secondo il decreto dell'Onnipotente, Gesù eruppe in questo gemito generato dall'amore e dal dolore, volendo intendere: «Perchè mi hai lasciato senza la compagnia degli empi?».
Quinta Parola sulla croce: Ho sete!
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Il Signore aggiunse subito la quinta parola: «Ho sete».

I tormenti e le angosce dovettero suscitare in Lui una sete naturale, ma non era tempo di manifestarla e tanto meno di appagarla: Egli non avrebbe mai parlato in tal senso, sapendo che si trovava vicino al trapasso.

L'espressione aveva un altro significato: la sua sete era che gli schiavi discendenti di Adamo non sciupassero la libertà che aveva guadagnato loro.

Desiderava ardentemente che tutti gli uomini, mediante la fede e la carità, la grazia e l'amicizia, traessero vantaggio dai suoi meriti e dalle sue sofferenze e non perdessero l'eterno gaudio lasciato in eredità.

Questa sola era la sete del nostro Maestro e solo Maria ne penetrò perfettamente il segreto.

Con il cuore colmo di struggimento e di tenerezza, chiamò interiormente a sè i poveri, gli afflitti, gli umili, i disprezzati e gli oppressi e li invitò ad accostarsi al Redentore perchè mitigassero parzialmente - completamente sarebbe stato impossibile - la sua sete di anime.

I perfidi giudei e gli sbirri, coerenti con la loro infelice crudeltà, gli porsero, deridendolo e schernendolo, una spugna imbevuta di aceto e fiele in cima ad una canna e gliela accostarono alla bocca, perchè ne bevesse e si adempisse così la profezia di Davide: Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto.

Egli lo gustò pazientemente e ne inghiottì qualche sorso significando misteriosamente quanta pena gli avrebbe recato la dannazione dei reprobi, ma su richiesta della Vergine lo rifiutò subitaneamente e smise di bere; Ella, infatti, sarebbe stata la porta e la mediatrice per tutti coloro che avrebbero tratto profitto dalla passione e dalla redenzione.
Sesta Parola sulla croce: Tutto è compiuto!
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Quindi Gesù pronunciò la sesta parola avvolta nel mistero: «Consumatum est», cioè «Tutto è compiuto!».

E volle intendere: «È compiuta l'opera della mia missione e del riscatto del genere umano, come è compiuta l'obbedienza con cui il Padre mi inviò a patire e morire per esso.
Si sono adempiute le Scritture, le profezie e gli esempi dell'Antico Testamento, come è compiuto il corso della vita sofferente e mortale che accettai nel castissimo grembo di mia Madre.

Lascio al mondo il mio esempio, l'insegnamento, i sacramenti e gli aiuti per rimediare al male e al peccato.
È soddisfatta la giustizia dell'Altissimo ed è assolto il debito della posterità di Adamo.

La Chiesa è già in possesso del perdono dei peccati che saranno commessi, e tutta l'opera dell'incarnazione e della redenzione ha raggiunto la massima perfezione per la parte che mi riguarda come Salvatore.

Per l'edificazione della Chiesa trionfante è stato già posto il sicuro fondamento nella Chiesa militante: nessuno potrà alterarlo nè mutarlo
».
Tutti questi misteri sono contenuti nelle brevi parole "Consumatum est!".
Settima Parola sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!
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Volgendosi l'opera della redenzione verso la perfezione del compimento, ne conseguì che, come il Verbo incarnato era uscito dal Padre per mezzo della vita mortale ed era venuto nel mondo, così, per mezzo della morte, ritornasse da questa vita al Padre con l'immortalità.

A questo punto Cristo pronunciò l'ultima parola: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», e lo fece gridando a gran voce affinchè tutti i presenti potessero udire.

Alzò gli occhi al cielo come se parlasse con Dio e subito, chinato il capo, rese il suo spirito.

In virtù della forza divina di quest'ultima parola, Lucifero fu sconfitto e scaraventato con tutti i suoi demoni nel precipizio profondo dell'inferno, dove rimasero atterrati, come avrò modo di riferire nel prossimo capitolo.

L'invincibile Regina, quale Madre del Redentore e Corredentrice, penetrò tali arcani più profondamente di tutte le altre creature, e, come aveva sentito i dolori corrispondenti ai tormenti del suo Unigenito, così sentì i dolori e i tormenti che Egli patì nel momento della morte senza perdere la vita, e l'Eterno gliela conservò miracolosamente allorchè avrebbe dovuto morire realizzando un miracolo più grande di quelli con cui le aveva recato conforto nell'intero corso dell'esistenza terrena.

Quest'ultima sofferenza fu più forte, intensa e viva di tutte le altre.


Tutto ciò che subirono i martiri e gli uomini giustiziati dall'inizio dei tempi non è paragonabile a quello che Maria provò e sopportò nel martirio del Figlio.


Ella rimase ferma ai piedi della croce fino a sera, quando le sacre membra furono sepolte, e in ricompensa di questa particolare angoscia venne ancor più spiritualizzata in quel poco che il suo corpo verginale aveva conservato dell'essere perituro.
Prima Parola sulla croce: Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno!
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Crocifisso mio Bene,
Ti vedo sulla croce come sul tuo trono di trionfo, in atto di conquistare tutto e tutti i cuori e di attirarli tanto a Te, che tutti sentano il tuo sovrumano potere.

La natura, inorridita di tanto misfatto, si prostra innanzi a Te ed in silenzio aspetta un tuo detto, per renderti onore e far riconoscere il tuo dominio;
il sole piangente ritira la sua luce, non potendo sostenere la vista di Te, troppo dolorosa; l’inferno sente terrore e, silenzioso, aspetta.

Sicchè tutto è silenzio.

La tua trafitta Mamma, i tuoi fidi, sono tutti muti e pietrificati alla vista,
ahi! troppo dolorosa della tua squarciata e slogata Umanità e, silenziosi, aspettano una tua parola.
La tua stessa Umanità che giace in un mare di dolori tra gli spasimi atroci dell’agonia, è silenziosa, tanto che si teme che da un respiro all’altro Tu muoia.
Che più?
Gli stessi perfidi giudei, gli stessi spietati carnefici che sino a poco fa Ti oltraggiavano, Ti schernivano, Ti chiamavano impostore, malfattore, gli stessi ladroni che Ti bestemmiavano, tutti tacciono, ammutoliscono; il rimorso li invade e, se qualche insulto si sforzano di lanciarti, questo muore sulle loro labbra.
Ma penetrando nel tuo interno, vedo che l’amore rigurgita, Ti soffoca e non puoi contenerlo e, costretto dal tuo amore, che Ti tormenta più delle stesse pene, con voce forte e commovente Tu parli.

Da quel Dio che sei, levi i morenti tuoi occhi al cielo ed esclami:

Padre, perdona loro, chè non sanno quel che fanno!”.

E di nuovo Ti chiudi nel silenzio, immerso in pene inaudite.

Crocifisso Gesù, possibile tanto amore?

Ah!
Dopo tante pene ed insulti, la prima parola è il perdono e ci scusi, innanzi al Padre, di tanti peccati.

Ah!
Questa parola la fai scendere in ogni cuore dopo la colpa, e sei Tu il primo ad offrire il perdono.

Ma quanti la respingono, e non l’accettano!

Il tuo amore allora va in follie, perchè Tu, smaniando, vuoi dare a tutti il perdono ed il bacio di pace.

A questa tua parola l’inferno trema e Ti riconosce Dio, la natura e tutti restano attoniti e riconoscono la tua Divinità, il tuo inestinguibile amore e, silenziosi, aspettano per vedere dove esso giunge.

E non è solo la tua voce, ma anche il tuo Sangue, le tue piaghe, che gridano ad ogni cuore dopo il peccato:

Vieni nelle mie braccia,
chè ti perdono e il suggello del perdono è il prezzo del mio Sangue
”.

O mio amabile Gesù, ripeti ancora questa parola a quanti peccatori stanno nel mondo.
Per tutti implora misericordia, per tutti applica i meriti infiniti del tuo preziosissimo Sangue, per tutti, o buon Gesù, continua a placare la Divina Giustizia e dà grazia a chi, trovandosi in atto di dover perdonare, non ne sente la forza.

Mio Gesù, Crocifisso adorato, in queste tre ore di amarissima agonia Tu vuoi dare compimento a tutto.

E mentre, silenzioso, Te ne stai su questa croce, vedo che nel tuo interno vuoi soddisfare in tutto il Padre.
Lo ringrazi per tutti, soddisfi Tu per tutti, per tutti chiedi perdono e a tutti impetri grazia che mai più Ti offendano;

e per impetrare ciò dal Padre, riepiloghi tutta la tua vita, dal primo istante del tuo concepimento fino all’ultimo respiro.

Mio Gesù, amore interminabile, lascia che anch’io riepiloghi tutta la tua vita con Te, con l’inconsolabile Mamma, con San Giovanni e con le pie donne.
Seconda Parola sulla croce: oggi tu sarai meco in Paradiso
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Il tuo amore contenuto è più forte della stessa morte, e Tu, volendolo sfogare, guardando il ladrone alla tua destra, lo rubi all’inferno.
Con la tua grazia gli tocchi il cuore e quel ladro è tutto mutato, Ti riconosce, Ti confessa per Dio, e tutto contrito dice:
“Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno”.

E Tu non esiti a rispondergli:

Oggi sarai con Me in Paradiso”.

E così ne fai il primo trionfo del tuo amore.
Ma nel tuo amore vedo che non è al solo ladrone che rubi il cuore, ma anche a tanti morenti.
Ah! Tu metti a loro disposizione il tuo Sangue, il tuo amore, i tuoi meriti ed usi tutti gli artifizi e stratagemmi divini per toccare i loro cuori e rubarli tutti a Te.

Ma anche qui il tuo amore è contrastato.
Quante ripulse, quante sconfidenze, quante disperazioni!

È tanto il dolore, che di nuovo Ti riduce al silenzio.

Intendo, o mio Gesù, riparare per quelli che disperano della divina Misericordia in punto di morte.

Dolce Amor mio, ispira a tutti fiducia e confidenza illimitata in Te, specialmente a quelli che si trovano fra le strette dell’agonia, e in virtù di questa tua parola, concedi loro luce, forza e aiuto per poter morire santamente e volare da questa terra al Cielo.

Nel tuo santissimo Corpo, nel tuo Sangue, nelle tue piaghe, tutte, tutte contieni le anime, o Gesù.

Per i meriti dunque di questo tuo preziosissimo Sangue, non permettere che anche un’anima sola vada perduta.
Il tuo Sangue gridi ancora per tutte, insieme con la tua voce:

Oggi sarete con Me in Paradiso”.
Terza Parola sulla croce: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre
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In queste torture va investigando che altro può dare all’uomo per vincerlo, e Ti fa dire:

Vedi, o anima, quanto ti ho amato!
Se non vuoi aver pietà di te stessa,
abbi pietà almeno del mio amore!
”.
Intanto, vedendo che non hai più che dargli, avendogli dato tutto, volgi il tuo languido sguardo alla tua Mamma.
Anch’Essa è più che morente per le tue pene, ed è tanto l’amore che la tortura, che la rende crocifissa al par di Te.
Madre e Figlio vi intendete, e Tu sospiri con soddisfazione e Ti conforti nel vedere che puoi dare alla creatura la tua Mamma.

E, considerando in Giovanni tutto il genere umano, con voce così tenera da intenerire tutti i cuori, dici:

Donna, ecco il tuo figlio

ed a Giovanni:

Ecco la Madre tua”.

La tua voce scende nel suo Cuore materno, ed unita alle voci del tuo Sangue continua a dire:

Madre mia,
ti affido tutti i miei figli;
tutto l’amore che senti per Me, sentilo per loro. Tutte le tue premure e tenerezze materne siano per i miei figli,
Tu Me li salverai tutti
”.

La tua Mamma accetta.

Intanto le pene sono così forti che Ti riducono di nuovo al silenzio.

Intendo, o mio Gesù , riparare le offese che si fanno alla Santissima Vergine, le bestemmie e le ingratitudini di tanti che non vogliono riconoscere i benefizi che Tu hai fatto a tutti, dandocela per Madre.

Come possiamo noi ringraziarti di tanto benefizio?

Ricorriamo, o Gesù , alla tua stessa fonte e Ti offriamo il tuo Sangue, le tue piaghe, l’amore infinito del tuo Cuore.
O Vergine Santissima, quale non è la tua commozione nell’udire la voce del buon Gesù che Ti lascia a noi tutti per Madre.
Te ne ringraziamo, o Vergine benedetta, e, per ringraziarti come meriti, Ti offriamo gli stessi ringraziamenti del tuo Gesù .
O dolce Mamma, sii Tu la nostra Madre, prendi cura di noi e non permettere mai che Ti offendiamo anche menomamente.
Tienici sempre stretti a Gesù , con le tue mani legaci tutti, tutti a Lui, in modo da non potergli sfuggire più mai. Con le tue stesse intenzioni, intendo per tutti riparare le offese che si fanno al tuo Gesù ed a Te, dolce Mamma mia.
Quarta Parola sulla croce: Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato?
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Penante Gesù, mentre stretta al tuo Cuore io mi sto abbandonata, numerando le tue pene, vedo che un tremito convulso invade la tua santissima Umanità;
le tue membra si dibattono come se uno si volesse distaccare dall’altro, e tra i contorcimenti per gli atroci spasimi,
Tu gridi forte:

Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?”.

A questo grido tutti tremano, le tenebre si fanno più fitte, la impietrita Mamma impallidisce e sviene.

Mia Vita, mio Tutto, mio Gesù, che vedo?
Ah!, Tu sei vicino a morire.
Le stesse pene tanto a Te fedeli, stanno per lasciarti. Ed intanto, dopo tanto patire, con immenso dolore, vedi le anime non tutte incorporate in Te, anzi scorgi che molte andranno perdute, e senti la dolorosa separazione di esse che si distaccano dalle tue membra.

E Tu, dovendo soddisfare la Divina Giustizia anche per loro, senti la morte di ciascuna e le stesse pene che soffriranno nell’inferno, e gridi forte a tutti i cuori:

Non Mi abbandonate;
se volete più pene sono pronto,
ma non vi separate dalla mia Umanità.

Questo è il dolore dei dolori, è la morte delle morti.

Tutto il resto Mi sarebbe nulla, se non subissi la vostra separazione da Me.

Deh!
Pietà del mio Sangue, delle mie piaghe, della mia morte. Questo grido sarà continuo ai vostri cuori: deh, non Mi abbandonate!
”.
Quinta Parola sulla croce: Ho sete!
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O mio Crocifisso moribondo, abbracciata alla croce, sento il fuoco che brucia tutta la tua santissima Persona;
il Cuore Ti batte sì forte che, sollevandoti le costole,
Ti tormenta in modo sì straziante e orribile, che tutta la tua santissima Umanità subisce una trasformazione da renderti irriconoscibile.
L’amore da cui è avvampato il tuo Cuore tutto Ti dissecca e brucia;
e Tu, non potendo contenerlo, senti forte il tormento, non solo della sete corporale, per lo spargimento di tutto il tuo Sangue, ma molto più della sete ardente della salute delle anime nostre.

Tu, come acqua vorresti beverci per metterci tutti in salvo dentro di Te. Perciò raccogliendo le tue affievolite forze, gridi:
Ho sete!”.

Ah!
Questa voce la ripeti ad ogni cuore:

Ho sete della tua volontà,
dei tuoi affetti,
dei tuoi desideri,
del tuo amore;
acqua più fresca e dolce non puoi darmi che la tua anima.

Deh,
non farmi bruciare!

Ho sete ardente, per cui non solo Mi sento bruciare la lingua e la gola, tanto che non posso più articolare parola, ma Mi sento anche disseccare il Cuore e le viscere.

Pietà della mia sete, pietà!
”.

E come delirante per la gran sete, Ti abbandoni alla Volontà del Padre.

Ah!
Il mio cuore non può più vivere nel vedere l’empietà dei tuoi nemici che, invece di acqua, Ti danno fiele e aceto, e Tu non li rifiuti.
Ah!
Comprendo:
è il fiele di tante colpe, è l’aceto delle nostre passioni non domate che vogliono darti e che, invece di ristorarti, Ti bruciano di più.
Sesta Parola sulla croce: Tutto è compiuto!
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Morente mio Bene, il mare interminabile delle tue pene, il fuoco che Ti consuma e più che tutto il Volere Supremo del Padre, che vuole che Tu muoia, non ci fanno più sperare che Tu possa continuare a vivere.

Ed io, come potrò vivere senza di Te?

Già le forze Ti mancano, gli occhi si velano, il Volto si trasforma e si copre di pallore mortale, la bocca è semiaperta, il respiro affannoso ed interrotto, tanto che non vi è più speranza che Ti possa rianimare.
Al fuoco che Ti brucia, sottentra un gelo ed un sudore freddo che Ti bagna la fronte.
I muscoli e i nervi si contraggono sempre di più per l’ acerbità dei dolori e per le trafitture dei chiodi, le piaghe si squarciano ancora; ed io tremo, mi sento morire.
Ti guardo, o mio Bene, e vedo scendere dai tuoi occhi le ultime lacrime, foriere della vicina morte, mentre a stento fai sentire ancora una parola:

Tutto è consumato!”.

O mio Gesù, già tutto hai esaurito, altro non Ti resta, l’Amore è giunto al suo termine.
Ed io, mi son consumata tutta del tuo Amore? Qual ringraziamento non dovrò io renderti, qual non dovrà essere la mia gratitudine per Te?
Settima Parola sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!
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Mio Crocifisso spirante Gesù, già stai per dare gli ultimi aneliti della vita mortale, la tua santissima Umanità è già irrigidita, il Cuore sembra che più non Ti batte.
Con la Maddalena mi abbraccio ai tuoi piedi, e vorrei, se fosse possibile, dare la mia vita per animare la tua.
Intanto, o Gesù, vedo che riapri i tuoi occhi moribondi e guardi intorno alla croce, come se volessi dare l’ultimo addio a tutti.
Guardi la tua morente Mamma che non ha più moto e voce, tante sono le pene che sente, e dici:

Addio,
Mamma, Io parto,
ma Ti terrò nel mio Cuore;
Tu abbi cura dei miei e dei tuoi figli
”.

Guardi la piangente Maddalena, il fido Giovanni, e con i tuoi sguardi dici loro:
Addio”.

Con amore guardi gli stessi tuoi nemici, e con i tuoi sguardi dici loro:
Io vi perdono, vi do il bacio di pace”.
Al tuo sguardo niente sfugge, da tutti Ti licenzi e perdoni a tutti. Poi raccogli tutte le tue forze e con voce forte e tonante gridi:

Padre, nelle tue mani raccomando lo Spirito mio!”.

E chinato il Capo, spiri...