La morte di Gesù sulla croce I misteri del dolore Venti Misteri del Rosario, dagli scritti di Maria Valtorta Il Santo Rosario Lode, Onore, Gloria, Adorazione, Venerazione, Riparazione, Benedizione, Ringraziamento, Amore a Te DIO UNO e TRINO

La morte di Gesù sulla croce

Gesù si irrigidisce sulla croce, torna eretto come fosse un sano nella sua forza completa, alza il volto guardando con occhi bene aperti il mondo steso ai suoi piedi, la città lontana, che appena si intravvede come un biancore incerto nella foschia, e il cielo nero dal quale ogni azzurro ed ogni ricordo di luce sono scomparsi.

E a questo cielo chiuso, compatto, basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura, Egli grida a gran voce, vincendo con la forza della volontà, col bisogno dell'anima, l'ostacolo delle mascelle irrigidite, della lingua ingrossata, della gola edematica:

«Eloi, Eloi, lamma scebacteni!»

.

E dalla luce non più luce viene la voce lamentosa di Gesù :

«Ho sete!».

Vi è infatti un vento che asseta anche i sani.
Un vento continuo, ora, violento, pieno di polvere, freddo, pauroso. Penso quale spasimo avrà dato col suo soffio violento ai polmoni, al cuore, alle fauci di Gesù, alle sue membra gelate, intormentite, ferite. Ma proprio tutto si è messo a torturare il Martire.

Un soldato va ad un vaso dove i satelliti del boia hanno messo dell'aceto col fiele, perchè col suo amaro aumenti la salivazione nei suppliziati. Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una canna sottile eppure rigida, che è già pronta lì presso, e porge la spugna al Morente. Gesù si tende avido verso la spugna che viene. Pare un infante affamato che cerchi il capezzolo materno.

Maria, che vede e certo pensa questa cosa, geme, appoggiandosi a Giovanni:

«Oh! ed io neppure una stilla di pianto gli posso dare... Oh! seno mio, chè non gemi latte? Oh! Dio, perchè, perchè così ci abbandoni? Un miracolo per la mia Creatura! Chi mi solleva per dissetarlo del mio sangue, posto che latte non ho?...».

Gesù, che ha succhiato avidamente l'aspra e amara bevanda, torce il capo, avvelenato dal disgusto di essa.

Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate.
Si ritrae, si accascia, si abbandona.
Tutto il peso del corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le estremità ferite quelle che soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un corpo che si abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore.
Dal bacino in su, tutto è staccato dal legno, e tale resta.
La testa pende in avanti tanto pesantemente che il collo pare scavato in tre posti: al giugolo, completamente infossato, e di qua e di là dello sternocleidomastoideo. Il respiro è sempre più anelante, ma interciso. È già più un rantolo sincopato che un respiro. Ogni tanto un colpo di tosse penosa porta una schiuma lievemente rosata alle labbra.
E le distanze fra una espirazione e l'altra diventano sempre più lunghe.
L'addome è già fermo.
Solo il torace ha ancora dei sollevamenti, ma faticosi, stentati... La paralisi polmonare si accentua sempre più.
E sempre più fievole, tornando al lamento infantile del bambino, viene l'invocazione:

«Mamma!».

E la misera mormora: «Sì, tesoro, sono qui».

E quando la vista che si vela gli fa dire:

«Mamma, dove sei? Non ti vedo più. Anche tu mi abbandoni?»,
e non è neanche una parola, ma un mormorio che appena è udibile da chi più col cuore che con l'udito raccoglie ogni sospiro del Morente, Ella dice:

«No, no, Figlio! Non ti abbandono io! Sentimi, caro... La Mamma è qui, qui è... e solo si tormenta di non poter venire dove Tu sei...».

È uno strazio... E Giovanni piange liberamente.

Gesù deve sentire quel pianto. Ma non dice niente. Penso che la morte imminente lo faccia parlare come in delirio e neppure sappia quanto dice e, purtroppo, neppure comprenda il conforto materno e l'amore del Prediletto. Longino - che inavvertitamente ha lasciato la sua posa di riposo, con le mani conserte sul petto e una gamba accavallata, ora una, ora l'altra, per dare sollievo alla lunga attesa in piedi, e ora invece è rigido sull'attenti, la mano sinistra sulla spada, la destra regolarmente tesa lungo il fianco, come fosse sui gradini del trono imperiale non vuole commuoversi.
Ma il suo volto si altera nello sforzo di vincere l'emozione, e gli occhi hanno un luccicore di pianto che solo la sua ferrea disciplina trattiene.
Gli altri soldati, che giocavano a dadi, hanno smesso e si sono drizzati in piedi, rimettendosi gli elmi che avevano servito ad agitare i dadi, e stanno in gruppo presso la scaletta scavata nel tufo, silenziosi, attenti.
Gli altri sono di servizio e non possono mutare posizione.
Sembrano statue.
Ma qualcuno dei più prossimi, e che sente le parole di Maria, mugola qualcosa fra le labbra e scrolla il capo.

Un silenzio. Poi, netta nell'oscurità totale, la parola:

«Tutto è compiuto!»,

e poi l'ansito sempre più rantoloso,

con pause di silenzio fra un rantolo e l'altro,

sempre più vaste.

Il tempo scorre su questo ritmo angoscioso.

La vita torna quando l'aria è rotta dall'anelito aspro del Morente...

La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più.

Si soffre a sentirlo...

si soffre a non sentirlo...

Si dice: «Basta di questa sofferenza!»,

e si dice: «Oh! Dio! che non sia l'ultimo respiro».

Le Marie piangono tutte, col capo contro il rialzo terroso.

E si sente bene il loro pianto, perchè tutta la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente.

Ancora un silenzio.

Poi, pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica:

«Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!».

Ancora un silenzio.

Si fa lieve anche il rantolo.

È appena un soffio limitato alle labbra e alla gola.

Poi, ecco, l'ultimo spasimo di Gesù.

Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il corpo infisso, coi tre chiodi, dal legno,
sale per tre volte dai piedi al capo,
scorre per tutti i poveri nervi torturati;

solleva tre volte l'addome in una maniera anormale,
poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato;

alza, gonfia e contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono,
apparendo sotto l'epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli;

fa rovesciare violentemente indietro,
una,
due,
tre volte il capo,
che percuote contro il legno, duramente;

contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto,
accentuando la deviazione della bocca a destra,
fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica.

Il corpo si tende tutto;

nell'ultima delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera l'aria,


il «grande grido» di cui parlano i Vangeli e che è
la prima parte della parola


«Mamma»...


E più nulla...
La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro.


È spirato.

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