Io, Maria, ho redento la donna con la mia Maternità divina.
Ma non fu che l'inizio della redenzione della
donna, questo.
Negandomi ad ogni umano sponsale col voto di verginità, avevo respinto ogni soddisfazione concupiscente meritando grazia da Dio. Ma non bastava ancora.
Perché il peccato d'Eva era albero di quattro rami:
superbia,
avarizia,
golosità,
lussuria.
E tutti e quattro andavano stroncati prima di sterilire l'albero dalle
radici.
Umiliandomi sino al profondo, ho vinto la superbia.
Mi sono umiliata davanti a tutti. Non parlo della mia umiltà verso Dio. Questa è dovuta all'Altissimo da ogni
creatura. L'ebbe il suo Verbo. La dovevo avere io, donna.
Ma hai mai riflettuto quali umiliazioni dovetti
subire, e senza difendermi in nessuna maniera, da parte degli uomini?
Anche Giuseppe, che era giusto, mi aveva accusata nel suo cuore. Gli altri, che giusti non erano, avevano peccato di mormorazione verso il mio
stato, e il rumore delle loro parole era venuto come onda amara a frangersi contro la mia umanità .
E furon le prime delle infinite umiliazioni che la mia vita di Madre di Gesù e del genere umano mi
procurarono.
Umiliazioni di povertà,
umiliazioni di profuga,
umiliazioni per rimproveri di parenti e amici che, non sapendo la verità, giudicavano debole il mio modo d'esser madre verso il mio Gesù fatto giovane uomo,
umiliazioni nei tre anni del suo ministero,
umiliazioni crudeli nell'ora del Calvario,
umiliazioni fin nel dover riconoscere che non avevo di che comperare luogo e aromi per la sepoltura del Figlio mio.
Ho vinto l'avarizia dei Progenitori rinunciando in anticipo di tempo alla mia Creatura.
Una madre non rinuncia mai che forzatamente alla sua creatura. La chiedano al suo cuore la patria, l'amore di
una sposa, o Dio stesso, ella recalcitra alla separazione. È naturale. Il figlio ci cresce in seno e non è mai reciso completamente il legame che tiene la sua persona congiunta alla nostra. Se anche è spezzato il canale
del vitale ombelico, resta sempre un nervo che parte dal cuore della madre, un nervo spirituale e più vivo e
sensibile di un nervo fisico, il quale si innesta nel cuore del figlio. E si sente stirare sino allo spasimo se
l'amore di Dio o di una creatura, o le esigenze della patria, allontanano il figlio dalla madre. E si spezza
lacerando il cuore se la morte strappa un figlio ad una madre.
Ed io ho rinunciato, dal momento che l'ho avuto, al Figlio mio. A Dio l'ho dato. A voi l'ho dato. Io, del Frutto
del mio seno, me ne sono spogliata per riparare al furto di Eva del frutto di Dio.
Ho vinto la golosità, e del sapere e del godere, accettando di sapere unicamente ciò che Dio voleva sapessi,
senza chiedere a me o a Lui più di quanto mi fosse detto.
Ho creduto senza investigare.
Ho vinto la golosità del godere, perchè mi sono negata ogni sapore di senso. La mia carne l'ho messa sotto ai piedi. La carne, strumento di Satana, l'ho confinata con Satana sotto al mio calcagno per farmene scalino per avvicinarmi al Cielo. Il Cielo! La mia meta. Là dove era Dio. L’unica mia fame. Fame che non è gola ma necessità benedetta da Dio, il quale vuole che appetiamo di Lui.
Ho vinto la lussuria, la quale è la golosità portata all'ingordigia. Perchè ogni vizio non frenato conduce ad un
vizio più grande. E la golosità di Eva, già riprovevole, la condusse alla lussuria. Non le bastò più il darsi
soddisfazione da sola. Volle spingere il suo delitto ad una raffinata intensità, e conobbe e si fece maestra di
lussuria al compagno. Io ho capovolto i termini e, in luogo di scendere, sono sempre salita. In luogo di far
scendere, ho sempre attirato in alto, e del mio compagno, un onesto, ho fatto un angelo.
Ora che possedevo Iddio e con Lui le sue ricchezze infinite, mi sono affrettata a spogliarmene dicendo:
"Ecco, sia fatta per Lui e da Lui la tua volontà".
Casto è colui che ha ritenutezza non solo di carne, ma anche di affetti e di pensieri.
Io dovevo esser la Casta per annullare l'Impudica della carne, del cuore e della mente.
E non uscii dal mio ritegno dicendo neppure del mio Figlio, unicamente mio sulla terra come era unicamente
di Dio in Cielo: " Questo è mio e lo voglio ".
Eppure non bastava ancora per ottenere alla donna la pace perduta da Eva.
Quella ve la ottenni ai piedi della
Croce.
Nel veder morire Quello che tu hai visto nascere. Nel sentirmi strappare le viscere al grido della mia
Creatura che moriva, sono rimasta vuota di ogni femminismo: non più carne ma angelo.
Maria, la Vergine
sposata allo Spirito, morì in quel momento. Rimase la Madre della Grazia, quella che vi ha dal suo tormento
generata la Grazia e ve l'ha data. La femmina che avevo riconsacrata donna la notte del Natale, ai piedi della
Croce acquistò i mezzi di divenire creatura dei Cieli.
Questo ho fatto io per voi, negandomi ogni soddisfazione anche santa.
Di voi, ridotte da Eva femmine non
superiori alle compagne degli animali, ho fatto, sol che lo vogliate, le sante di Dio.
Sono ascesa per voi.
Come feci con Giuseppe, vi ho portate più in alto.
La roccia del Calvario è il mio monte degli Ulivi. Da lì
presi il balzo per portare ai Cieli l'anima risantificata della donna insieme alla mia carne, glorificata per aver
portato il Verbo di Dio e annullato in me anche l'ultima traccia di Eva, l'ultima radice di quell'albero dai
quattro venefici rami e dalla radice confitta nel senso, che aveva trascinato alla caduta l'umanità e che fino
alla fine dei secoli e all'ultima donna vi morderà le viscere.
Da là, dove ora splendo nel raggio dell'Amore, io
vi chiamo e vi indico la Medicina per vincere voi stesse: la Grazia del mio Signore e il Sangue del Figlio
mio.