[….] Gli legano di nuovo le mani. E la corda torna a segare là dove è già un rosso braccialetto di pelle scorticata.
«E ora? Che ne facciamo? Io mi annoio!».
«Aspetta. I giudei vogliono un re. Ora glielo diamo. Quello lì...», dice un soldato.
E corre fuori, in un retrostante cortile certo, dal quale torna con un fascio di rami di biancospino selvatico,
ancora flessibili perchè la primavera tiene relativamente morbidi i rami, ma ben duri nelle spine lunghe e
acuminate.
Con la daga levano foglie e fioretti, piegano a cerchio i rami e li calcano sul povero capo. Ma la
barbara corona ricade sul collo.
«Non ci sta. Più stretta. Levala».
La levano e sgraffiano le guance, risicando di accecarlo, e strappano i capelli nel farlo. La stringono. Ora è
troppo stretta e, per quanto la pigino conficcando gli aculei nel capo, essa minaccia di cadere. Via di nuovo
strappando altri capelli. La modificano di nuovo.
Ora va bene. Davanti è un triplice cordone spinoso. Dietro,
dove gli estremi dei tre rami si incrociano, è un vero nodo di spini che entrano nella nuca.
«Vedi come stai bene? Bronzo naturale e rubini schietti. Specchiati, o re, nella mia corazza», motteggia
l'ideatore del supplizio.
«Non basta la corona a fare un re. Ci vuole porpora e scettro. Nella stalla è una canna e nella cloaca è una
clamide rossa. Prendile, Cornelio».
E, avutele, mettono il sudicio straccio rosso sulle spalle di Gesù e, prima di mettergli fra le mani la canna,
gliela dà danno sul capo inchinandosi e salutando:
«Ave, re dei Giudei», e si sbellicano dalle risa.
Gesù li lascia fare.
Si lascia mettere seduto sul «trono» - un mastello capovolto, certo usato per abbeverare i
cavalli - si lascia colpire, schernire, senza mai parlare. Li guarda solo... ed è uno sguardo di una dolcezza e di
un dolore così atroce che non lo posso sostenere senza sentirne ferita al cuore.
I soldati smettono lo scherno solo alla voce aspra di un superiore che ordina la traduzione davanti a Pilato del
reo.
Reo!
Di che?
Gesù è riportato nell'atrio, ora coperto da un prezioso velario per il sole. Ha ancora la corona, la clamide e la
canna.
«Vieni avanti. Che io ti mostri al popolo».
Gesù, già franto, si raddrizza dignitoso. Oh! che è veramente re!
«Udite, ebrei. Qui è l'uomo. Io l'ho punito. Ma ora lasciatelo andare».
«No, no! Vogliamo vederlo! Fuori! Che si veda il bestemmiatore!».
«Conducetelo fuori. E guardate non sia preso».
E mentre Gesù esce nel vestibolo e si mostra nel quadrato dei soldati, Ponzio Pilato lo accenna colla mano
dicendo:
«Ecco l'Uomo. Il vostro re. Non basta ancora?».
Il sole di una giornata afosa, che ormai scende quasi diritto perché si è a metà tra terza e sesta, accende e dà
risalto agli sguardi e ai volti: sono uomini quelli? No: iene idrofobe. Urlano, mostrano i pugni, chiedono
morte...
Gesù sta eretto.
E le assicuro che mai ebbe la nobiltà di ora. Neppure quando faceva i più potenti miracoli.
Nobiltà di dolore. Ma talmente divino che basterebbe a segnarlo del nome di Dio. Ma per dire quel Nome
bisogna essere almeno uomini. E Gerusalemme non ha uomini, oggi. Ma solo demoni.
Gesù gira lo sguardo sulla folla, cerca, trova, nel mare dei visi astiosi, i volti amici. Quanti? Meno di venti
amici in migliaia di nemici... E curva il capo colpito da questo abbandono.
Una lacrima cade... un'altra...
un'altra...
La vista del suo pianto non genera pietà, ma ancor più fiero odio.
Viene riportato nell'atrio.
«Dunque? Lasciatelo andare. È giustizia».
«No. A morte. Crocifiggi».
«Vi do Barabba».
«No. Il Cristo!».
«E allora prendetelo voi. E da voi crocifiggetelo. Perchè io non trovo alcuna colpa in Lui per farlo».
«Si è detto Figlio di Dio. La nostra legge commina la morte al reo di tale bestemmia».
Pilato si fa pensoso. Rientra. Si siede sul suo tronetto. Pone una mano alla fronte e il gomito sul ginocchio e
scruta Gesù
«Avvicinati, dice.
Gesù va ai piedi della predella.
«È vero? Rispondi».
Gesù tace.
«Da dove vieni? Chi è Dio?».
«È il Tutto».
«E poi? Che vuol dire il Tutto? Che è il Tutto per chi muore? Sei folle... Dio non è. Io sono».
Gesù tace.
Ha lasciato cadere la grande parola e poi torna a fasciarsi di silenzio.
«Ponzio, la liberta di Claudia Procula chiede di entrare. Ha uno scritto per te».
«Domine! Anche le donne ora! Venga».
Entra una romana e si inginocchia porgendo una tavoletta cerata. Deve essere quella su cui Procula prega il
marito di non condannare Gesù. La donna si ritira a ritroso mentre Pilato legge.
«Mi si consiglia evitare il tuo omicidio. è vero che sei più di un aruspice? Mi fai paura».
Gesù tace.
«Ma non sai che ho potere di liberarti o di crocifiggerti?».
«Nessun potere avresti, se non ti fosse dato dall'alto. Perciò, chi mi ha dato nelle tue mani è più colpevole di
te».
«Chi è? Il tuo Dio? Ho paura...».
Gesù tace.
Pilato è sulle spine. Vorrebbe e non vorrebbe. Teme il castigo di Dio, teme quello di Roma, teme le vendette
giudee. Vince un momento la paura di Dio. Va sul davanti dell'atrio e tuona: «Non è colpevole».
«Se lo dici, sei nemico di Cesare. Chi si fa re è suo nemico. Tu vuoi liberare il Nazzareno. Faremo sapere a
Cesare questo».
Pilato viene preso dalla paura dell'uomo.
«Lo volete morto, insomma? E sia. Ma il sangue di questo giusto non sia sulle mie mani», e fattosi portare un
catino si lava le mani alla presenza del popolo, che pare preso da frenesia mentre urla:
«Su noi, su noi il suo
sangue. Su noi ricada e sui nostri figli. Non lo temiamo. Alla croce! Alla croce!».
Ponzio Pilato torna sul tronetto, chiama il centurione Longino e uno schiavo. Dallo schiavo si fa portare una
tavola su cui appoggia un cartello e vi fa scrivere:
«Gesù Nazareno, Re dei Giudei».
E lo mostra al popolo.
«No. Non così. Non re dei Giudei. Ma che ha detto che sarebbe re dei Giudei», così urlano in molti.
«Ciò che ho scritto, ho scritto»,
dice duro Pilato e, dritto in piedi, stende la mano a palma in avanti e volta in
basso e ordina:
«Vada alla croce. Soldato, va'. Prepara la croce». (Ibis ad crucem! I, miles, expedi crucem).
E
scende senza neppure più voltarsi verso la folla in tumulto, né verso il pallido Condannato. Esce dall'atrio...
Gesù resta al centro di esso, sotto la guardia dei soldati, in attesa della croce.